Show me a hero è una mini serie auto conclusiva in sei parti del tipo che, spiace dirlo perchè le produzioni italiane hanno fatto enormi passi in avanti, ci vorrà ancora molto tempo prima che saremo in grado di replicare da queste parti.
Perchè questo film a episodi riprende dei fatti realmente accaduti nella provincia piccolo borghese americana (Yonkers, New Jersey) riuscendo nell'impresa di illustrarli eludendo agiografia e paternalismo.
La storia ruota attorno alla figura di Nick Wasicsko, nel 1987 il più giovane sindaco di una città USA, che si trova a gestire una situazione complicatissima e totalmente antipopolare: un operazione di de-segregrazione che prevede l'insediamento di un lotto di duecento case destinate alle fasce più povere della popolazione nera dentro spazi fino a quel momento utilizzati dalla parte bianca e benestante della città. Il progetto è approvato da anni ma le precedenti giunte hanno fatto ricorso ad ogni espediente per evitarne l'adozione, fino a quando, in corrispondenza con l'elezione di Wasicsko (interpretato da un quasi irriconoscibile Oscar Isaac), la magistratura minaccia di portare il comune in bancarotta se non verranno avviate le pratiche per l'avvio dei lavori.
Senza alcun appoggio da parte del proprio Partito (i democratici), con i suoi elettori bianchi contro e senza riuscire ad avere nemmeno il sostegno dei votanti neri, i cui leader sono scettici sul progetto, Wasicsko, letteralmente travolto dagli eventi, riesce a far approvare il piano edilizio, pagandone in seguito un prezzo altissimo.
Come nella tradizione delle storie raccontate da David Simon (su tutte The Wire e Treme), l'autore tesse una tela formata da tante storie diverse, che vanno tutte insieme ad intrecciarsi fino a formare l'opera finale, astenendosi da dare giudizi ma mostrando l'America più reale, quella che faticosamente emerge dalla cronaca locale.
In molte dinamiche raccontate dagli sceneggiatori, come il tentativo di convincere i cittadini ostili del pericolo al quale sarebbe andata incontro la città se non avesse iniziato i lavori oppure l'atteggiamento di alcuni politici locali che, pur sapendo di non potere fermare l'operazione, si schierano con la popolazione per raggiungere traguardi personali, ho rivisto come in uno specchio nitidissimo situazioni che nella mia attività sindacale vivo in continuazione, e,beh, non nascondo che la cosa mi abbia, per una volta, gratificato, facendomi sentire virtualmente meno solo.
Poi certo, un altro elemento per me a fortissimo impatto emotivo è stato l'ampio contributo della musica di Bruce Springsteen quale commento alle immagini. Mai in passato il boss aveva aperto così ampiamente l'armadio del suo repertorio per concederlo ad un'opera cinematografica o televisiva. In ogni episodio suonano, a volte anche citati dai protagonisti, la media di due-tre pezzi di Springsteen, ma io vorrei concentrarmi su due di essi, considerati minori e che fanno viceversa un figurone. Si tratta di Give it a name (da Tracks) sui titoli di testa dell'episodio uno e Lift me up (inedito sulla prima versione del 2003 di Essential) che accompagna il finale.
Opera asciutta, potente, magnifica. E di soli sei episodi. Anche i non adepti alle serie non hanno scuse.