Correva il 1999, per le notizie sul mondo dello spettacolo ci si affidava esclusivamente agli strumenti canonici della carta stampata, della tv, del passaparola. Nella comunità degli springstiniani ad esempio, girava la voce della presenza di Little Steven (nelle vesti di attore) in questo telefilm su una famiglia mafiosa che stava avendo un grosso successo in USA. I tempi non permettevano le scorciatoie che oggi conosciamo per ridurre il gap tra le produzioni originali e il loro arrivo in Italia e dunque si dovette attendere quasi due anni perchè una televisione italiana (Canale 5) cominciasse a trasmettere le gesta dell'ipotetica cupola del New Jersey. Gesta, per inciso, che in breve riusciranno nell'impresa di sostituire nell'immaginario collettivo del pubblico americano, l'iconografia classica della Famiglia mafiosa rappresentata per quasi trent'anni dai Corleone (e da Il Padrino di F.F. Coppola), andando ad abbattersi prepotentemente sulla cultura pop a stelle e strisce. Tutto questo (e molto altro) hanno rappresentato The Sopranos.
A titolo personale, la serie, ideata dallo sceneggiatore David Chase, è stata anche una sorta di apripista ai serial moderni, visto che mi ha indotto per la prima volta a ragionare in termini di "stagioni" oltre che ad approfondire quel concetto di serialità che oggi domina le produzioni televisive che, a loro volta, sia a livello di investimenti che di nomi, hanno abbandonato definitivamente lo status di parente povero del cinema.
L'idea di base di Chase è stata quella di mostrare, in tutta la sua ordinarietà, la vita del boss Anthony (Tony) Soprano, della sua cricca malavitosa, della moglie Carmela, dei figli Anthony Junior (A.J.) e Meadow. Chiari i riferimenti alla lunga filmografia sul tema (i lavori di Scorsese ed ovviamente i tre capitoli della saga de Il Padrino di Coppola), ma in questo caso lo sguardo degli autori è più focalizzato sulle questioni private di Tony (un boss che va in analisi dopo ripetute crisi di panico) attraverso un approccio disincantato, a rimuovere ogni presunta virtù connessa alle attività illecite dei cartelli mafiosi. Qui non esistono business disonorevoli, non ci sono vecchi saggi, il codice d'onore è carta straccia. Il profitto e il potere rappresentano tutto.
La maggior parte dei protagonisti non brilla per intelligenza, è culturalmente sotto la media, usa la violenza senza ripensamenti ed è unicamente guidato dall'avidità, dall'arroganza e dal doppiogiochismo. La cerchia familiare dei protagonisti è costituita da mogli compiacenti che godono dei benefici della loro posizione passando ipocritamente sopra a tradimenti e illeciti e figli viziati che frequentano le migliori scuole infischiandosene delle origini del loro benessere.
Le prime tre stagioni della serie filarono via che fu un piacere, anche grazie a quelli di Canale 5 che, per recuperare il ritardo accumulato sulla programmazione originale, nel volgere di poco più di un anno si portarono quasi in pari con gli USA. Poi improvvisamente (calo di audience? problemi con i diritti?) un nuovo stop di due anni, e finalmente, nel 2004, la ripresa, penalizzata però da una programmazione irriguardosa (collocazione con orari ballerini che oscillavano tra la seconda e terza serata e improvvise modifiche del giorno di programmazione) che mi ha allontanato dal telefilm.
Da un pezzo mi ero messo in testa di recuperare i fili narrativi della vicenda (lasciati con Tony sempre più potente, l'ex boss "zio" Junior a processo, l'irritante sorella Janice a fare da mina vagante, la figlia Meadow in procinto di iscriversi al college, la tormentata moglie Carmela sempre in cerca di redenzione e il nipote Christopher Multisanti insoddisfatto della sua posizione nella Famiglia) ma le stagioni 4 e 5, acquistate in dvd non meno di sei,sette anni fa, continuavano a prendere polvere sullo scaffale fissandomi con aria severa ogni qual volta mi ci appropinquavo finendo però per scegliere qualcos'altro. Alla fine,ironia della sorte, il momento di rimettere la serie nel lettore dvd è giunto proprio a ridosso dell'improvvisa dipartita di James Gandolfini, grande attore e indiscusso mattatore del progetto Sopranos.
La premessa mi è venuta più lunga della recensione in se stessa, ma leggendola spero converrete con me che, nello spirito personalistico del blog, non potevo proprio risparmiarvela. Dunque, la quarta stagione dei Soprano ci consegna un Tony all'apice della carriera di malavitoso che si trova a dover gestire le grane dei rapporti con alcuni suoi luogotenenti, validi ma umanamente abietti come Ralph Cifaretto (interpretato da un eccellente Joe Pantoliano), ma anche fedelissimi come Silvio Dante (Little Steven) o Paulie che nutrono, per ragioni diverse,rancore nei suoi riguardi. Grosse preoccupazioni gli arrivano anche dal nipote Chris Multisanti, che scala le posizioni di vertice dell'organizzazione e contestualmente scivola sempre più nella spirale dell'eroina, non accorgendosi che la sua fidanzata Adriana è stata agganciata dall'FBI. Per quanto riguarda i legami familiari, la trascurata Carmela è segretamente innamorata di Furio, il picciotto che Tony si è portato da Napoli a seguito del suo viaggio di affari (narrato nella seconda stagione) e che la ricambia anch'egli platonicamente. I rapporti con la psicanalisi e con la dottoressa Melfi cominciano a mostrare le prime crepe, causate da qualche incomprensione e da un'insorgente insofferenza che porterà Tony a lasciare le sedute.
Gli sceneggiatori concedono invece poco spazio ad un evento come il processo a carico di zio Junior, che in un serial "normale" sarebbe stato posizionato sicuramente in primo piano, catalizzando viceversa l'attenzione dello spettatore su fatti apparentemente minori e irrilevanti, ma che alla fine hanno conseguenze determinanti. Il rapporto tra Tony e Ralph Cifaretto ad esempio, viene gestito magistralmente. Il riscossore non viene infatti eliminato quando offende pesantemente la moglie di un affiliato importante, perchè manca di rispetto Paulie o quando uccide di botte una spogliarellista del Bada Bing, ma a causa del suo probabile coinvolgimento nel rogo di una scuderia di cavalli che ha portato alla morte di una puledra alla quale Tony era affezionatissimo, e l'assassinio è contestualizzato in un momento in cui l'umanità di Cifaretto sembrava finalmente emergere a seguito di un grave incidente che ha coinvolto il figlio.
Si conferma una caratteristica degli screenplay de I Soprano: la violenza irrompe sempre all'improvviso, spesso nelle situazioni più inaspettate e sovente non ha a che fare con i classici regolamenti di conti ma con questioni personali che deflagrano fino alle estreme conseguenze.
James Gandolfini riempie con la sua presenza ogni inquadratura nella quale è presente. La sua mole riesce a conferire autorità ed incutere timore con la stessa facilità con la quale, in situazioni diverse, appare impacciata e fuori posto. Le emozioni alle quali è chiamato a dare forma attraversano il suo viso che mostra rabbia, incredulità, commozione, felicità o sarcasmo spesso nel breve volgere di due/tre inquadrature (si veda ad esempio la bellissima scena del colloquio con Meadow per convincerla a rinunciare all'anno sabbatico). I suoi scoppi d'ira trasformano questa fisicità, apparentemente dimessa, in una micidiale macchina da offesa, sia che Anthony si scagli contro l'avversario, sia che si avvicini a lui serrando gli occhi e sventolandogli l'indice davanti al viso per minacciarlo. I suoi improbabili capi d'abbigliamento casual e la bulimia che lo porta a trangugiare compulsivamente qualunque alimento, dai prelibati manicaretti della moglie o dell'amico ristoratore Artie al peggiore junk food in circolazione, sono diventati un classico nel classico del serial.
Al suo fianco sarebbe delittuoso trascurare l'altrettanto brava Edie Falco nei panni della moglie Carmela che ben si cala nel ruolo de "la moglie del mafioso", con tutte le ipocrisie ed i turbamenti del caso. Il finale di stagione è tutto per lei.
Mentre mi appresto alla visione della quinta stagione, non avendolo fatto il 19 giugno, rivolgo un ultimo saluto a Gandolfini, morto a Roma all'età di 51.
Bella lì e fanculo anche a te, James.