Spulciando un pò il blog, mi sono reso conto di aver parlato quasi nulla di Prince. Eppure c'è stato un periodo abbastanza ampio, diciamo dai primi ottanta ai primi novanta, nel quale l'artista di Minneapolis ha occupato una buona porzione dei miei ascolti. In più, nella comitiva di amici dell'epoca, spesso era l'anello di congiunzione che conciliava i diversi gusti musicali. Piaceva insomma ai fan di Springsteen come a quelli dei Duran Duran, a quelli degli U2 e a chi ascoltava Vasco Rossi. Molti album di quel periodo (ma non Purple rain, con il quale fece il botto in Italia), per motivi squisitamente soggettivi, potrebbero tranquillamente rientrare nella lista dei miei dischi da isola deserta (1999, Around the world in a day, Parade, Sign o' the times, Lovesexy). Da li in avanti mi sono spostato su altro e poi, beh, la storia di Prince è nota, le proteste contro le major, la rinuncia al nome, la bulimia discografica, i dischi finiti e bloccati, gli anni zero un pò in ombra, la morte nel 2016.
Welcome 2 America non è il primo suo disco postumo (il terzo, per la precisione) e, come spesso mi accade, non so esattamente perchè abbia deciso di ascoltarlo, a differenza degli altri, fatto sta che l'ho fatto e ci sono rimasto sopra anche parecchio. L'opera non è il capolavoro che da qualche parte ho letto, probabilmente in qualche giudizio prevalgono i sentimentalismi per l'uomo che non c'è più. La tracklist avrebbe bisogno a mio avviso di una sforbiciata di brani e, inoltre, alcuni pezzi dubito avrebbero visto la luce se Prince fosse ancora tra noi, tuttavia un nucleo di sei - otto pezzi è di assoluto valore. A partire dalla title track, uno spoken che rimanda, nelle modalità e nelle tematiche sociali trattate, alla buonanima di Gil Scott-Heron. Poi abbiamo il classico soul nero princiano di Born 2 die, il power pop di Hot summer, l'hip hop di Check the record, la ballatona a forti tinte erotiche When she comes e la perfetta gemma di chiusura One day we will all B free.
Insomma, a giudicare da buona parte di queste canzoni, i cassetti lasciati da Rogers Nelson pare abbondino di roba buona. Purtroppo non è lui a selezionarla e deciderne il rilascio, ed eventualmente anche a metterci mano per correggerne in difetti, pertanto i diamanti vanno un pò separati dalla fuffa, ma anche così i (ritardatari) nostalgici degli anni che furono, dovrebbero trovare pane per i loro denti.
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