Quanto si sarà stufato degli Slipknot (e forse anche della side-band degli Stone Sour) Corey Taylor? Parecchio, a giudicare dal tempo che ormai passa tra un album e l'altro di ciascuna formazione e dal sound che permea il debutto solista, CMFT (Corey Mother Fucker Taylor?), completamente avulso dallo stile di quelle due band.
E, sebbene abbia un senso compiuto registrare un disco a proprio nome con sonorità che si affrancano da quelle di provenienza, davvero non si riesce a capire cosa abbia trovato Corey (o i suoi produttori) in una raccolta di canzoni come quelle qui contenute. Siamo infatti davanti perlopiù ad una tracklist di quello che una volta si sarebbe definito rock radiofonico e fin qui niente di male, se non si trattasse di materiale stucchevole e fuori tempo massimo persino per chi ha gusti vintage come il sottoscritto.
Sul serio, pezzi dal pattern totalmente prevedibile (HWY 666; Black eyes blue; Halfway down; Culture head), o ballate bollite (mi permetto l'allitterazione) come Home o Silverfish mettono quasi in imbarazzo, data la statura del personaggio. Hai voglia di ascoltare e riascoltare l'album alla ricerca della fulminazione: chest'è, come direbbero in Gomorra. Per trovare minimi motivi di interesse bisogna trascinarsi fino all'ultima parte della tracklist con la tirata Everybody dies on my bithday, l'hardcore di European tour bus bathroom song o la contaminazione col rap di CMFT must be stopped (featuring Tech N9ne e Kid Bookie). Anche qui tutto già ampiamente sentito, ma almeno ci si diverte un pò. Insomma, un disco che se fosse uscito a nome di un anonimo interprete non se lo sarebbe filato nessuno.
Peccato per Corey, che, senza mascheramenti, ispira istintiva simpatia, ma questo è proprio un lavoro talmente inutile che...boh!
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