Non è che il mondo si fermi e suonino le fanfare quando esce un nuovo disco dei Dogs D'amour, però questi debosciati riescono sempre a catturare l'attenzione di un manipolo di nostalgici dotati di pazienza da monaco tibetano, che non si scoraggiano quindi a dover attendere lustri su lustri per ascoltare materiale nuovo.
E di pazienza qui ce n'è voluta davvero tanta, se l'ultimo full lenght della band è datato 2005 (Let sleeping dogs...) e l'unico cenno di vita in questo orizzonte temporale è stato contrassegnato dal pur ottimo EP Cyber recordings del 2013.
E' da tempo ormai che il gruppo, inteso in senso letterale, non c'è più, con il solo il buon Tyla (al secolo Timothy Taylor) a tirare la baracca.
Perciò, per la release di In vino veritas il frontman deve aver deciso di rendere ancora più evidente la cosa, abbinando il proprio nome allo storico monicker.
Cambia poco: prima di abbandonarsi agli epici midtempos che hanno fatto la fortuna dei DDA, l'album parte con "111" una traccia che è una frustata da cattedra universitaria dello sleaze-metal.
Poi ci si assesta nella confort zone di Tyla, con una serie di pezzi che non si vergognano (per fortuna!) di rallentare il ritmo, flirtare con il pop (Empire; Everything to me) o di abusare magnificamente del contributo del sax (Black confetti; Bottle of red; In vino veritas), per poi tornare al blues (Fuck off devil; Monster) e quindi chiudere il cerchio tornando al glam (Chicago Typewrter; Movie star).
Insomma, una festa per quei pochi che hanno amato i Dogs D'amour e, a quanto pare, niente di che per tutto il resto del mondo.
Perchè è dannatamente vera la massima che cantava il buon Hank 3: "Not everybody's likes us, but we drive some folks wild".
P.S. La release è stata accompagnata da un album di cover a tiratura limitata intitolato In musica veritas.