Ho sempre pensato che la migliore ispirazione dei rapper bruci più forte di quella degli altri artisti e che, come conseguenza diretta, si esaurisca anche prima. Sono tanti gli esponenti di questo genere che dopo il secondo-terzo album hanno cominciato ad arrancare vivendo del loro fulgido passato prossimo, sfornando lavori insinceri, privi della cattiveria, del veleno di strada che, assieme all'urgenza comunicativa, fungevano da potentissimo propellente iniziale.
Anche Eminem è scivolato in questa spirale. Infatti, nonostante l'affetto dei fan sia rimasto forte e i suoi dischi si siano sempre venduti bene, è indubbio che nei lavori più recenti (soprattutto quelli a cavallo tra gli anni zero e i dieci) la straordinaria verve di Marshall Mathers fosse annacquata tra produzioni troppo pulite e featuring non sempre azzeccati.
E' allora strabiliante come, a pochissimi mesi dal mestiere di Revival (dicembre 2017), ad agosto 2018, questo Kamikaze (album uscito, praticamente a fari spenti) ci restituisca un Eminem in forma smagliante, avvelenato ed ispirato come da tanti anni non lo si sentiva.
Dietro ad una copertina tributo al grandioso Licensed to III dei compianti Beastie Boys, il rapper del Missouri torna a spiegare le vele del suo inconfondibile flow per tredici pezzi e tre quarti d'ora di musica che tolgono il fiato (letteralmente: come nel caso di Lucky you), tengono botta senza annoiare mai con il loro inevitabile carico di dissing (quello contenuto in Not alike, contro il rapper Machine Gun Kelly, ha dato vita ad un botta e risposta in rime che è andato avanti settimane) misoginia e omofobia.
Ma questo è Eminem e non lo scopriamo oggi.
E comunque io di rap non ne capisco un cazzo.
3 commenti:
ahahaha! La chiusura è notevole.
Voleva essere un assist per il Sindaco, che avrebbe dovuto rispondere: "de, neanche del resto!"
:D
Ti lascio il beneficio del dubbio, dude. Ma secondo me dovrebbero premiarci quantomeno perché we keep on tryin'
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