E' un pezzo che Marty Stuart batte le polverose strade del sud degli states. Le sue prime incisioni risalgono infatti alla fine dei settanta e col tempo, insieme a qualche lavoro di successo, si è costruito una solida credibilità nell'ambiente che l'ha portato lontano dal mainstream country e a fianco degli interpreti più genuini del genere (consigliato da questo punto di vista, l'ascolto della raccolta di duetti Compadres).
Al pari dell'amico Johnny Cash, Stuart attraverso la sua arte si è spesso schierato a favore dei reietti della società, arrivando anche a pubblicare un concept sui nativi americani (Badlands: Ballads of the Lakota).
Con questo Way out west, Marty dà ancora una volta sfoggio del suo enorme eclettismo musicale, componendo un'opera che ha come protagonista principale il deserto, i confini dei territori, la deriva nella natura. Musicalmente parlando, l'album è una goduria pura per tutti quelli che, oltre a cullarsi nella melodia, si divertono a trovare riferimenti nelle composizioni.
L'alternanza tracce strumentali/cantate offre infatti infinite suggestioni, con i pezzi senza voce che rimandano all'epopea Morricone/Leone, ma anche a certa surf music tanto cara a Tarantino.
I testi e gli stili degli altri pezzi non sono da meno, spaziando dal migliore Joe Ely (Lost on the desert, con la camera puntata su un bandito alla ricerca di un bottino nascosto sotto il sole impietoso del deserto), alla splendida, lisergica, title track che richiama nel tappeto sonoro il brand classico dei Greateful dead.
Per arrivare al primo country/blugrass, bisogna attendere Air mail special, la traccia numero nove, ma ne vale la pena, perché il richiamo a Gram Parson è abbagliante e sincero, così come il ritornello di Whole lotta highway (With a million miles to go) è un telegramma affettuoso e urgente per Tom Petty e i suoi Heartbreakers.
Non vorrei con tutte questi riferimenti dare l'idea di un disco impersonale, derivativo o privo di spunti personali. Al contrario, Way out west ci consegna un autore che, alla soglia dei settant'anni, regala al suo pubblico e a tutti gli appassionati di border music un disco che è un compendio evocativo di tanta cultura del west più libero, pericoloso e selvaggio, con un approccio che più cinematografico non potrebbe essere.
Musica (anche) per gli occhi, insomma.
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