lunedì 24 giugno 2013

Black Sabbath, 13


Ok giovani, giù le chitarre. Spegnete gli amplificatori, mettetevi comodi. E' venuto il momento di tornare a scuola, di rivedere il programma didattico che era fermo al 1978. I Black Sabbath nella formazione (quasi totalmente) originale sono tornati e per voi replicanti il gioco si fa dannatamente duro. Già, perchè al mondo esistono poche bands che hanno avuto un'influenza su un genere (l'heavy metal) tanto rilevante quanto quello del combo guidato da Iommi e Osbourne e perchè ce ne sono ancora meno che hanno un'impronta sonora così inconfondibile, originale e saccheggiata, rispetto ai quattro (oggi tre, al netto della defezione del batterista storico Bill Ward) di Birmingham.

Questo "13" (stesso titolo della recente release dei Suicidal Tendencies, alla faccia dell'originalità) è senza dubbio alcuno tra i due-tre dischi più attesi dell'anno. Annunciato all'inizio del 2012, più volte rinviato a causa dello stato di salute di Iommi (affetto da linfoma), prodotto, e non poteva essere diversamente, dal guru Rick Rubin, è finalmente arrivato nei negozi all'inizio di giugno a soddisfare l'atavica fame di materiale nuovo di milioni di fans dell Sabba Nero. E una volta tanto l'attesa non viene tradita, perchè l'album si raccorda con il discorso interrotto non nel 1978 con i Black Sabbath allo sbando e una release dalla gestazione tribolatissima come Never say die!, ma con il poker d'assi che la band ha calato dal 1970 al 1972, quando, opere come Black Sabbath, Paranoid, Master of reality e Vol. 4 scrivevano un nuovo capitolo nell'enciclopedia del rock and roll. In questo senso End of the beginning (la traccia d'apertura), nelle atmosfere si allaccia direttamente al primo brano inciso dai Sabbath, omonimo della ragione sociale e del debutto self titled della band, connessione poi esplicitamente confermata dalla coda di Dear father (brano conclusivo del disco) che riprende gli inquietanti rumori di fondo (tuoni e pioggia) che di quel pezzo epocale costituivano l'allora terrorizzante prologo.

Stilisticamente emerge la scelta di orientare il suono del disco decisamente verso quella cadenza tra il lento e il midtempo che storicamente ha assunto il nome di doom, fonte alla quale, come accennavo in premessa, si sono abbeverate decine di bands (Candlemass, Cathedral, Paradise Lost, Pantera nel recente passato e più di recente Sword, Orchid e Kadavar, solo per citare le più importanti) e generati dozzine di sottogeneri musicali. Questo indirizzo potrebbe essere stato condizionato anche dallo stato fisico di Ozzy, che probabilmente comincia ad andare in difficoltà sui cambi di tonalità, di tempo o di velocità mentre si barcamena più che dignitosamente sulle parti più rallentate. Per quanto riguarda Tony Iommi, avrà anche ragione chi sostiene che suoni sempre lo stesso riff, ma per miseria, quanta emozione nel tornare a sentire il suo marchio di fabbrica, le sue progressioni i suoi cambi di registro all'interno delle singole canzoni. Prendete ad esempio God is dead?, che ha anticipato la release dell'album fissandone, a scanso di equivoci, con i suoi quasi nove minuti di timing, le coordinate a livello di mood e durata dei pezzi: atmosfere cupe, utilizzo della cosiddetta nota del diavolo, voce fredda al limite dell' inespressività, liriche che sfrucugliano col sovrannaturale. In pratica un bigino aggiornato al 2013 della consolidata architettura musicale del combo inglese.

Ma una band che ha svolto così assiduamente il ruolo di nave scuola nei confronti di un intero movimento musicale è giusto che a sua volta si faccia influenzare da chi magari ha preso in mano per la prima volta chitarra e microfono dopo aver consumato Paranoid. Ascoltando Zeitgeist registro in questo senso un flusso di andata e ritorno con i Pantera che fecero una straordinaria cover di Planet caravan, pezzo che i Sabbath registrarono per l'album Paranoid e che qui, in qualche misura, sono richiamati dai Nostri. Descrivevo la media della velocità del disco come medio-bassa, ecco l'unica eccezione è probabilmente rappresentata da Live forever, non a caso il pezzo più accattivante della tracklist per il quale è facile pronosticare un futuro da singolo. Con Damage soul abbiamo invece quasi otto minuti di irresistibile doom-blues che dovrebbe definitivamente accontentare i nostalgici (mi ci metto anch'io) dell'origine del suono sabbathiano, che affondava le sue radici nei potenti riff blues degli antenati.

"13" è stato pubblicato in due versioni, una standard, composta di otto pezzi per cinquantatre minuti di durata, una deluxe su doppio cd, con tre pezzi in più, e una per il mercato giapponese con le tre canzoni aggiuntive della deluxe più un'ulteriore traccia (Naivetè in black). Normalmente queste strategie commerciali non mi appassionano più di tanto, visto che riguardano pezzi minori giustamente scartati dalle take finali e destinate esclusivamente ad un pubblico di collezionisti o die-hard fan motivati dal must-have, ma in questo caso il discorso si fa più complesso. Sì, perchè le tracce aggiuntive (Methademic; Peace of mind e Pariah) non solo sono al livello delle principali otto (forse anche di più, in qualche caso)  ma, per una curiosa scelta della produzione, si rivelano essere anche i pezzi più veloci dell'intero lotto. Insomma, a mio avviso non si tratta di un surplus evitabile, ma di tessere indispensabili a completare il quadro generale dell'opera "13" e pertanto, nonostante con queste aggiunte l'album arrivi a sfiorare gli ottanta minuti, il mio suggerimento è di orientarsi proprio verso l'edizione deluxe, approcciandosi al tutto come se fosse un doppio lp dei bei tempi che furono.

Insomma, la band, nonostante gli acciacchi, è in stato di grazia. E se i riflettori dei media sono costantemente puntati sul duopolio Ozzy/Iommi, noi faremmo un grosso errore a non considerare l'enorme importanza del ruolo di Geezer Butler visto che, come per i gloriosi anni degli esordi, anche per questo album, il bassista, oltre a partecipare al processo creativo della parte musicale, ha anche composto tutte le liriche , muovendo come d'abitudine la sua prosa nelle zone d'ombra dell'esistenza, tra occulto e decadenza, facendo ancora una volta un lavoro superlativo.

La considerazione finale è di totale coinvolgimento con questo ultimo capitolo della saga Black Sabbath: personalmente non osavo sperare in un prodotto così potente, dignitoso e coerente con la storia del gruppo come effettivamente "13" dimostra di essere. Sono perplesso di fronte a quanti criticano l'album definendolo superfluo. Ma che cazzo vuol dire? E' chiaro che se ti devi approcciare con i Sabbath per la prima volta non è da qui che parti, ma diamine, se applichiamo questa critica a tutte le band/artisti storici del rock, allora quanto dobbiamo considerare superflui i lavori attuali di Springsteen, U2, Stones, Who e compagnia cantante? E quanto è invece più centrato e non agiografico questo lavoro dei BS? Mi accontenterei di averne anche solo uno all'anno, di album di questa fattura, altro che seghe mentali da hipster. 


10/10


3 commenti:

jumbolo ha detto...

Allora, due cose.
La prima, dissento su alcune cose, quali l'atmosfera del disco e lo stile di Iommi. Ma concordo nel ritenere 13 un disco valido e per nulla superfluo.
La seconda, stavolta non rispetterò il "patto di non belligeranza" attendendo un mese per pubblicare la mia, perché devo scriverne su richiesta di un amico/fan sabbathiano.
Giusto per precisare.

monty ha detto...

Bene, sono curioso di leggere le
tue osservazioni sul disco e a questo
punto ben venga la deroga al mese
di moratoria :D
Hai ascoltato anche le bonus track?

jumbolo ha detto...

macché. riprovo a cercarle. mi hai incuriosito. altrimenti dovrai passarmele. anzi, potresti metterle nella usb.