La mia idea di cinema di genere è che debba sempre avere una quota parte di assenza di pudore. E' un anticorpo naturale di quel cinema popolare, necessario a compensare la carenza di affetto da parte della critica colta.
E' solo così che esso può trovare il coraggio, nel 2019, di far uscire nelle sale il quinto episodio di una saga, quella di John Rambo, legata così saldamente agli anni ottanta, che nemmeno Reagan, la Milano da bere, le spalline sotto la giacca o i capelli cotonati.
Dunque, John Rambo, al termine degli eventi narrati nell'ultimo film del 2008, si è ritirato in un ranch in Arizona, dove oggi alleva cavalli assieme ad una vecchia donna ed una ragazzina (Yvette Monreal) che si intuisce essere una sorta di figlia adottiva.
Bene, questa ragazzina, ovviamente non ascoltando i consigli della donna (sua zia?) e di cotanto patrigno, decide di recarsi nei peggiori bassifondi messicani a cercare il padre che l'ha abbandonata.
Ovviamente finirà in cattivissime mani e la sua sorte scatenerà la vendetta e la rabbia (soprattutto la rabbia) del vecchio soldato.
Chiariamolo subito, molto nel film: situazioni, dialoghi, personaggi di contorno, sembrano scritti negli anni ottanta e, quindi, fastidiosamente fuori tempo massimo, a partire dall'inutile ed irritante prologo/filler, con Stallone/Rambo eroe a cavallo dentro una tempesta.
Però, a un certo punto tutto cambia.
Succede quando John Rambo si accanisce all'arma bianca contro la sua prima vittima, uno del cartello che aveva adescato la figlia adottiva per consegnarla al cartello, colpendolo prima al torace ed infilando poi le dita nella ferita per farsi dare le informazioni richieste.
Si passa poi ad un brutale assalto a colpi di martello che fracassa teste e ossa dei malcapitati gangster con generosissimi fiotti di sangue ad imbrattare le pareti. Il tutto in previsione dell'attesa mattanza finale.
Il film resta quindi nel cinema di genere, ma vira dall'action puro ad un semi slasher violento e liberatorio (per Rambo), e così farà fino alla fine, con lo showdown tra il nostro e l'esercito del cartello messicano, che si consuma (remore forse delle tattiche vietcong contro gli americani) nei tunnel costruiti da John sotto la sua fattoria, per una lunga sequenza davvero avvincente, ipercinetica e violentissima, rigogliosamente accompagnata da Five to one dei Doors ( la canzone dal famoso verso "No one here gets out alive"), sparata da Rambo a tutto volume per confondere il nemico, in ossequio ad un'altra nota tattica di battaglia.
Insomma, Rambo Last blood chiede allo spettatore un enorme sforzo di sospensione dell'incredulità (come quando assistiamo ad un pestaggio ai danni di un settantenne che prende in cinque minuti più legnate di chiunque altro in tutta la sua esistenza e qualche giorno dopo è in piena forma), ma in cambio intrattiene e diverte, riconciliando con il franchise e senza bruciarsi nessun ponte, visto il finale subdolamente aperto.
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