Danko Jones non molla. La band di Toronto festeggia gli oltre vent'anni di carriera (quindici discograficamente parlando) con un ottavo album che racchiude le caratteristiche ormai note del gruppo (vigore, linearità delle composizioni e refrain assassini) completando però l'opera di affrancamento dai modelli di metal anni ottanta (Motley, AC/DC, GNR), che avevano caratterizzato suoi album precedenti come Below the belt e Rock n' roll is black and blue, attraverso un'operazione di ulteriore arretramento della macchina del tempo, fino alla seconda metà dei settanta.
Fermo restando il brand di pezzi che riescono nella non semplice operazione di coniugare immediato impatto e buona longevità, il suono di Wild cat risulta subito essere più asciutto ed essenziale: basso/chitarra/batteria non si perdono in fronzoli e vanno diritto al punto richiamando appunto la stagione del primo hard rock dei settanta e band come Aerosmith, Kiss, Queen, Thin Lizzy (una clamorosa You are my woman) e perfino Hendrix, che si affaccia sulla conclusiva Revolution (but then we make love).
Il rock, inteso come argomento, e i rapporti con l'altro sesso si prendono la centralità del songwriting, ma anche qui siamo lontani dalle smargiassate misogine di qualche anno fa: la crescita della band si misura anche in questo.
Sebbene risulti evidente che non stiamo parlando di un disco che cambierà le sorti della musica, sarebbe un errore bollare Wild cat dopo un primo e magari frettoloso ascolto come "la solita roba dei Danko".
Con un pò di fiducia questo lavoro potrebbe viceversa regalare momenti di esaltante intrattenimento rock.
Nessun commento:
Posta un commento