Di norma non è che mi servano tutti questi stimoli per attivare i ricettori di memoria e cercare sullo scaffale dischi dimenticati o accantonati, per una ripassatina. Stavolta però le forze occulte hanno congiurato tutte insieme, intercciandosi in pochi giorni su diversi livelli, per farmi tirare giù dalla mensola Bob Marley. Il primo invito mi è arrivato dalle pagine della biografia dei Led Zeppelin da poco recensita, dove si riportava come, durante il tour americano del 1973, la band, nei momenti di riposo dai concerti, faceva girare senza soluzione di continuità sullo stereo Burnin'. Il secondo segnale è giunto attraverso il televisore, attraverso l'episodio 1x8 di Vinyl, la serie co-prodotta da Scorsese e Jagger sull'industria musicale della Grande Mela durante i settanta, in una sequenza in cui vediamo (attori impersonare) i Wailers sul palco del Max's Kansas City sempre nell'anno di grazia '73. Buon ultimo l'incolpevole mio figlio al quale, durante una gita scolastica a Verona, è stato regalato da un venditore ambulante un braccialetto dai tipici colori rasta accompagnato dalla frase: "questo è il braccialetto di Bob Marley!".
Non mi sono dovuto neanche scomodare, è stato come se i ciddì dalla mensola siano spontaneamente venuti a me nella mia selezione preferita, quella cioè che considero la migliore triade di lavori mai prodotta da Marley e soci: Catch a fire; Burnin' e Natty Dread.
Vorrei dilungarmi sulla magia racchiusa in questi solchi, sulle contaminazioni tra reggae e funk, errebì e attitudine rock, amore, religione e militanza politica, ma non è questo lo scopo del post. Magari un'altra volta.