giovedì 4 giugno 2015

Sonisphere, Milano 2 giugno 2015


“Oggi è la festa della Repubblica: che cazzo ci fate qui?”. Già Mike. Che cazzo ci faccio qui? Mi sono posto questa domanda ripetendola tipo mantra dal primo momento in cui ho messo piede nella cosiddetta "area concerti" adiacente al forum di Assago. E ora ci si mette pure Patton, nel corso del set dei suoi Faith No More, a sfrucugliarmi. Già, perché io sarò anche troppo vecchio per manifestazioni che richiamano una folla di queste dimensioni, ma il rettangolo di asfalto lungo e stretto nel quale hanno infilato a forza oltre trentamila spettatori accorsi da tutta italia per assistere al Sonisphere, è senza dubbio il luogo più indecente che io abbia mai calcato in tre decenni di concerti. 
Alle 17:30 del pomeriggio già non si poteva arrivare nemmeno alla zona del mixer distante decine di metri dal palco. Muoversi, alla velocità di tipo cinque metri in mezzora, era un’impresa. Aggiungiamoci che, appena arrivato, qualcuno ha pensato bene di semidistruggere i miei occhiali, accidentalmente caduti a terra, e il quadro era talmente completo che la tentazione di levare le tende ha quasi preso il sopravvento. Avessi saputo di trovarmi in una gabbia abusiva di polli avrei sicuramente venduto il mio biglietto ai tanti bagarini che cercavano tagliandi all’esterno. Per recuperare quel minimo di condizione psicologica (tradotto: per farmi passare l'incazzatura) ho dovuto buttare giù un paio di birre, successivamente alle quali ho recuperato il mio sangue freddo  e mi sono guadagnato un posto per godermi i Meshuggah.

Il combo svedese vale tutta la quota parte di prezzo del biglietto:  un concentrato di brutalità con una sezione ritmica esaltata dalla doppia cassa del batterista Thomas Haake, rispetto la quale il termine devastante una volta tanto non è buttato lì a cazzo. Dall’opening Rational gaze, e per una cinquantina di minuti fino alla conclusione di Bleed non c’è davvero un attimo di respiro. E anche questa non è una frase fatta. Con gente così, ti puoi anche dimenticare il posto di merda in cui ti trovi e soprattutto la cifra che hai sborsato per trovartici.
Con molta pazienza e fatica riesco ad avvicinarmi di qualche centimetro rispetto allo stage per godermi i Faith No More, in una posizione che almeno all’inizio riserva una mattonella di ossigeno. I tecnici cominciano ad allestire il palco e subito emerge, ironica e potentissima, la personalità anarchica che caratterizza la band. Per prima cosa dalle casse che, tra un act e l'altro, diffondono musica, fino a quel momento rigorosamente metal, cominciano ad uscire le note easy listening di musical (Hair) e di autori come Burt Bacharach e Henry Mancini (Baby elephant walk, Moon river, Raindrops keeps falling on my head). Ma il vero colpo di genio è l’allestimento della scena, dove tutto viene ricondotto al colore bianco. Gli abiti dei roadies, il pianoforte, l’enorme tendaggio che fa da sfondo, persino gli ampli Marshall, sono ricoperti da teli bianchi. Oltre a questo, il bordo del palco è adornato di fiori, manco fossimo a Sanremo. Cosa si poteva inventare in rottura ad una schema da manuale rock che prevede una tetra prevalenza di nero nell’abbigliamento degli spettatori e una pesantezza nella musica proposta? Semplice. Uno scenario a metà tra il flower power e l’ecclesiastico. E così quando Patton e compari fanno capolino, nei loro immacolati completi di lino, ovviamente bianco, nessuno può dirsi stupito.


Al momento di esibirsi però, i FNM perdono ogni presunta gentilezza, sia per la precisione con la quale trafiggono l’audience, sia perché il pezzo di apertura, si, insomma... si chiama Motherfucker. Sapendo dell’ottimo rapporto di Mike Patton con la lingua italiana (ex moglie nostrana, residenza in Emilia, dischi nella nostra lingua), speravo che il frontman potesse intrattenere il pubblico con disinvoltura e confidenza. Purtroppo il singer ha deciso invece di fare perlopiù lo straniero in vacanza, si è cioè esibito nel classico florilegio di italiche parolacce (arrivando in un caso a tirare giù un bel bestemmione) senza capo ne coda. Niente di scandaloso intendiamoci: quelli vicino a me che si sono offesi per un “cantate, coglioni!”, sono gli stessi che un secondo prima rispondevano “yeahh!!!” a chi, sul palco, si rivolgeva a loro usando fuck come prefisso, solo quella di Patton mi è sembrata un’occasione persa.
Sulla sua performance invece, niente da dire: voce incredibilmente versatile, in grado di passare da Be aggressive a Evidence e da Epic a Easy e di nuovo a We care a lot con una naturalezza spaventosa. Dietro di lui, un gruppo che tecnicamente vale altrettanto. Un grande concerto.
Concluso l’act dei FNM, sono sull’orlo di un attacco di panico per l’impossibilità a muovere anche un solo muscolo nella calca che, come la Morte cantata da Vecchioni in Samarcanda, mi ha raggiunto anche lì. Decido di mollare ogni velleità di resistenza e arretro definitivamente, rassegnato a seguire gli headliner dai pochi schermi presenti.
I Metallica si fanno attendere qualche minuto in più del previsto. Annunciati dalle note di The ecstasy of gold di Morricone e dalle immagini de Il buono, il brutto e il cattivo, i four horseman si presentano on stage attorniati da qualche decina di fans che, non so come, hanno guadagnato il diritto di assistere allo show sulle assi del palco, alle spalle dei loro beniamini. L’attacco è per Fuel, seguita da For whom the bell tolls e addirittura da Metal militia. Nonostante la mia posizione non sia delle migliori (in pratica non riesco a scorgere il palco e seguo il concerto dai maxischermi), la band mi sembra in buona forma e il suono preciso e potente come deve essere. In oltre due ore di show i Tallica sciorinano una setlist a mio dire molto ben bilanciata tra classiconi (Sad but true, One, Master of puppets, Seek and destroy, Nothing else matters, Enter sandman, Creeping death) e recuperi non scontati (King nothing, The frayed ends of sanity, Disposable heroes, The unforgiven II). Non mancano i momenti di comicità involontaria, come quando Hetfield chiede ai presenti se sono veri fan, ottenendo come risposta il prevedibile boato e subito dopo spara un "e allora amate anche l'album Death magnetic!" stavolta riscontrando un assai poco convinto brusio. Prendi e porta a casa.

Allontanandomi dal Forum prima della fine del concerto,  torna ad assalirmi l'incazzatura per un festival con un bill di tutto rispetto rovinato da un'organizzazione penosa e in assoluta mancanza di rispetto verso il pubblico pagante. Qualcuno tra i presenti si è chiesto perché non si sia usato San Siro. La risposta è prontamente arrivata da altri lì vicino: "quello lo danno solo a Vasco Rossi...".

6 commenti:

Anonimo ha detto...

Finalmente un post divertente! Mi spiace aver perso i Faith no more, tuttavia avevo sentito parlare malissimo di quel posto...non erano solo dicerie!

monty ha detto...

Sono contento ti sia piaciuto.
La cosa comica è che ero in apprensione per la location
originaria (rho) perchè ne avevo sentito parlare malissimo.
Alla fine parlando con la gente è venuto fuori che lì era
cento volte peggio!
Vedi te :D

jumbolo ha detto...

un commento post al post su Patton. purtroppo, a dispetto di quanto dicono gli ottusi, sul palco è sempre stato un coglione. a volte, fatico a credere che sia la stessa persona delle interviste, e che ha messo in piedi una carriera di tutto rispetto.

monty ha detto...

Dunque non è stato un caso isolato. Boh, tipo bizzarro
con un gran talento.

Anonimo ha detto...

Ma dove si è tenuto allora, se non a rho? Mica l'hai scritto.

monty ha detto...

Terza riga del post :)