Quando la situazione in casa lo consente, il bagno in vasca diventa uno dei momenti di massimo relax della giornata. Me la prendo comoda preparando accuratamente l'acqua, spegnendo le luci e accendendo magari delle candele, comunque mettendo sempre della musica di sottofondo.
La prima volta che ho ascoltato Metamodern sounds in country music mi trovavo in questo stato, completamente immerso nell'acqua profumata e bollente, con la mente che vagava libera. Avvertivo la musica come provenire da un luogo lontano, imprecisato. In quel limbo tra coscienza e incoscienza, non mi sono accorto subito che la delicata melodia acustica di Just let go era già da qualche istante confluita in un impasto acido psichedelico fatto di riverberi, distorsioni e sovrastrati sonori non dissimili a quelli usati dai Led Zeppelin in Whole lotta love. Ero precipitato nella traccia numero nove della tracklist: It ain't all flowers. Un'esperienza quasi mistica, anche se non esattamente quello che ti aspetti da un album di traditional country.
D'altro canto la copertina dell'album (che in qualcosa richiama Red headed stranger di Willie Nelson) avrebbe dovuto instradarmi. Quello sfondo cosmico ad incorniciare l'immagine seppiata di Sturgill non poteva essere buttato lì ad minchiam.
E infatti Simpson, dall'alto di una voce perfettamente coerente con il genere honky tonk ma capace di spaziare praticamente in ogni stile, dopo aver fatto intravedere le sue potenzialità nell'esordio dell'anno scorso (o meglio del 2013), ha fatto emergere più pienamente la sua personalità e le sue sfaccettate influenze con un disco che appena sotto la patina di ottimi pezzi country nasconde tutto un universo allargato di mondi oscillanti e dissonanze.
L'ottimo attacco di Turtles on the way down e il successivo outlaw style Life of sin (Quality of life has got me down / Well sex is cheap and talk is overrated / And the boys and me still working on the sound) mettono subito in chiaro la disinvoltura con cui l'artista del Kentucky si muove nel campo da gioco del country tradizionale (che molto deve a Haggard e Jennings) e la sua ottima capacità di songwriting.
Come una formidabile sirena Simpson dipana le sue straordinarie melodie attirando l'ascoltatore in mare aperto grazie al fascino di pezzi come Living the dream (a dispetto del titolo una corrosiva critica sul vivere americano con versi come I don't have to do a goddamn thing / except sit around and wait to die), la cover di The promise della band inglese When in Rome interpretata con piglio da cantante confidenziale, il pure honky tonk di Long white line, il delizioso country gospel di A little light fino all'introspettiva Just let go di cui parlavo in premessa. A quel punto, l'incauto marinaio/ascoltatore non può più sottrarsi alle spire soniche che lo spingono giù, nel vortice psichedelico nei quasi sette minuti di It ain't all flowers. E se non proprio dolce, il naufragar in questo mare, è sicuramente molto sciamanico.
Ci sono vari modi di immettere linfa vitale nel country sottraendolo alla mercificazione spicciola propria di uno dei pochi generi rimasti (insieme al metal) a reggere le sorti del mercato discografico. Di certo è maledettamente complicato coniugare l'amore per questa musica con la spinta innovativa necessaria a tirarla fuori dai rassicuranti schemi moderni. Si rischia l'isolamento (come gli outsider Bob Wayne o Matt Woods) o di perdere la brocca (come purtroppo a volte capita a Hank III). Sturgill Simpson sta cercando la sua via al country percorrendo una strada che, sebbene sia solo agli inizi, già ha detto molto. La curiosità sulle scelte future di un così dotato artista è tanta: continuerà a produrre musica al tempo stesso confortevole e spiazzante o accetterà un produttore di successo e si consegnerà alla corazzata CMT?
Probabilmente lo scopriremo presto. Intanto Metamodern sounds in country music è uno dei dischi più significativi dell'anno appena terminato.
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