martedì 29 marzo 2011

It's never too late to mend / No better than this, John Mellencamp


Beh, avessi una dignità o un qualche orgoglio professionale da tutelare, la cosa sarebbe decisamente imbarazzante. Magari continuerei ad ascoltare No better than this di Mellencamp in privato, senza per forza andare a raccontare in giro che la mia stroncatura iniziale era stata frettolosa e superficiale. Ma visto che professionista non lo sono e la vergogna non la temo, l'outing ci sta tutto. Fanculo all'emmepitre e alla bulimia musicale, per certe cose ci vuole tempo, è vino di qualità, mica Coca-Cola.
E' vero, non avevo capito questo disco, anche se a mia parziale discolpa posso portare la qualità lo-fi della registrazione, vero e proprio muro di mattoni contro il quale si è accartocciato il mio gusto musicale. Bene, anche questo aspetto, alla luce della storia che ha dietro, assume adesso connotati diversi e affascinanti.


Sotto l'attenta supervisione di T-Bone Burnette, John ha infatti registrato l'album in una serie di location storiche per la tradizione musicale americana servendosi esclusivamente di un registratore portatile Ampex del 1955. Questo è il metodo che usavano i bluesman e i folksinger per incidere i loro pezzi tra il 1930 e il 1940. I posti scelti per le session sono i Sun Studios di Memphis, la Prima Chiesa Battista Africana di Savannah e lo Sheraton Gunter Hotel di San Antonio (celebre perchè Robert Johnston ci registrò Sweet home Chicago e Crossroad blues). Le canzoni (30 in origine, ridotte poi a 13) sono state quindi registrate in mono, con un solo microfono e i musicisti raccolti tutti attorno ad esso. Un'operazione che fatta oggi, con i dischi che grazie alla tecnologia si compongono anche a distanze siderali tra un musicista e l'altro, assume dei connotati davvero suggestivi.


Il disco è essenzialmente costruito intorno alla voce di Mellencamp e alle chitarre acustiche. Non mancano tuttavia eccezioni a questa regola.Come per Save some times to dream che apre l'album, classica ballata Mellecampiana dal testo esistenzialista e refraian evocativo. La successiva The west end richiama anch'essa le tematiche sociali care alla poetica del rocker dell'Indiana: l'attuale decadenza dei luoghi americani, la nostalgia per il passato.

Il violino impreziosice Right behind me, che nel suo incedere ricorda un pò la versione di Springsteen di Mary don't you weep (oltre a decine di altre canzoni del fine ottocento americano). Con la titletrack si accelera, entra la batteria e si svolta in direzione del rock. E' uno dei pezzi di punta del disco e così come Comin' down the road è strutturato sopra ad un tappeto di boom chicka boom, timbro di fabbrica del sound di Johnny Cash. Due pezzi formidabili, che però si devono inchinare davanti alla tranquilla grandezza di un brano come No one cares about me, brano countryfolk nel solco della tradizione hobo della great depression americana, Woodie Guthrie e Pete Seeger celebrati in maniera sublime, sia nello stile che nel testo. Ma la qualità complessiva di queste composizioni è tale che non si può abbassare nemmeno per un momento l'attenzione, anche procedendo con l'ascolto random è pressochè impossibile non intercettare brani deliziosi, come Love at first sight, Don't forget about me,Graceful fall o la sommessa ballata irish Easter Eve.


John Mellencamp, a giudicare da questo lavoro, è in uno stato di grazia. Ha voluto fortemente questo tipo di risultato, concepito come un'operazione politica:la grande depressione degli anni zero fotografata con la stessa camera della prima great depression. Il risultato è più nitido che un servizio del telegiornale girato in alta definizione. Allo stesso tempo, con No better than this, il cinquantanovenne rocker compie un'operazione di recupero, analoga a quella fatta da Springsteen con le Seeger Sessions, ma con pezzi esclusivamente inediti e se vogliamo ancora più filologica e rispettosa degli standards americani.


E' insomma imperdonabile non aver avuto la pazienza di approfondire questo lavoro al momento della sua uscita, l'ho rimesso su da una settimana e non riesco ad ascoltare altro. Di certo sarebbe entrato nei migliori cinque dischi del 2010.


Se penso che ho ripreso No better than this alla notizia del primo tour italiano di Mellencamp, mi rendo conto che a questo punto l'attesa si fa febbrile.

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