sabato 30 gennaio 2010

Get a grip

Da non credere il tempismo di merda che al solito dimostra l'influenza, quando si tratta di me. Tra tutti i momenti in cui poteva manifestarsi, proprio adesso, nelle due settimane di lavoro più intenso dell'anno, tra assemblee a tre al giorno, spostamenti coi mezzi pubblici su e giù per Milano, mille cose da organizzare, interventi da scrivere, in poche parole, un pezzo di congresso da preparare. Ergo: impossibile mandare il certificato rosso dell'Inps.

L'unica via è affidarsi all'ormai fidata farmacista dell'aeroporto per avere un doping sicuro. La dritta questa volta non è clamorosa, il farmaco è noto. Però, a differenza di altri mi ha tenuto in piedi in un momento in cui non lo credevo possibile. Tre pastiglie al giorno per quattro giorni. Oggi siamo appunto all'ultima tripletta. Lo so, è un pessimo modo di (non) guarire da una brutta sindrome influenzale . Tra l'altro febbre e raffreddore sembrano spariti, ma continuo a sentire la testa come se fosse in preda a qualche sostanza allucinogena, i neuroni rimbalzano tra loro mandandosi allegramente affanculo.

Oh beh, non è mai morto nessuno per un'influenza fatta in piedi.

A differenza di un conoscente mio coetaneo che è spirato per infarto durante il suo consueto giro di footing serale, come mi ha fatto delicatamente notare la mia signora lunedì, mentre mi accingevo a raggiungere gli amici al campo di calcetto.

Ma questa è un'altra storia...

venerdì 29 gennaio 2010

J.D.Salinger, 1919/2010


Il giovane Holden l'ho letto troppo tempo fa per dire esattamente cosa mi colpì in quel racconto (strano, ne parlavo giusto qualche giorno fa con un'amica). Certo è che un segno lo lasciò. Era uno di quei libri che quando l'hai finito te lo giri tra le mani un pò perplesso. Ne vorresti ancora, anche se non sai bene perchè.

Beh, J.D. Salinger non solo non ha aggiunto niente a quella storia, ma non lo ha fatto in senso assoluto, vista la sua scelta di ritirarsi a vita privata poco dopo la pubblicazione di quel romanzo (1951) e di sospendere la sua attività di scrittore.

Qualcuno individua le cause di questa scelta nel suo (presunto) fanatismo religioso, altri in un'improvviso e drammatico inaridimento della vena creativa, lui ha lasciato ad ognuno le sue congetture ed ha continuato il suo eremetismo.

Sono sicuro che quando i telegiornali di ieri hanno dato la notizia della sua morte, saranno stati in molti a pensare (come avviene per Bela Lugosi in Ed Wood): - ma perchè, era ancora vivo?- Altri si staranno fregando le mani all'idea di potersi introdurre nella sua fantomatica cassaforte zeppa di inediti, e qualcuno giù a Hollywood starà pensando che finalmente, senza il suo autore a porre divieti, potrà fare il suo filmone su The catcher in the rye.


So long, J.D.

martedì 26 gennaio 2010

I have a dream...




"Combatteremo il terrore con il terrore". Si esprime parafrasando Bush con l'Afghanistan, il cattivissimo colonnello Quaritch prima di iniziare quello che nelle sue intenzioni doveva essere un'indiscriminato massacro di uomini, donne e bambini di una popolazione indigena pressochè indifesa. E' questa dell'ex-marine americano la battuta che più esplicitamente critica la precedente amministrazione USA, ma come si evince già dai trailer, tutto il film è una favola sui valori ecologisti e un potente reminder sui massacri della storia, perpetrati di volta in volta dai conquistadores spagnoli ai danni dei popoli indigeni delle Americhe, dai futuri australiani ai danni degli aborigeni, dei futuri americani ai danni dei pellerossa, nativi americani.

L'affresco dipinto da Cameron è affascinate e curato nei minimi dettagli, alcune particolarità del popolo dei Na'vi (come la loro "connettività" con il loro ambiente e con i loro animali, che riprende in chiave eco-tecnologica quella dei loro ideali antenati terrestri, che vivevano in simbiosi con l'ambiente), intuizioni narrative fantastiche. Gli euro extra spesi per il 3D e il fastidio degli occhialoni, per una volta (la prima!) sono ampiamente giustificati.

A fronte di questa maestosità cinematografica, non si può fare troppo i fighetti e storcere il naso sulla prevedibilità della trama e sulla banalità dei dialoghi, nel nostro essere bambini con la bocca spalancata di stupore davanti alle meraviglie e ai pericoli del mondo di Pandora, è esattamente così che ci piace che sia, un'avventura incredibile e mozzafiato, un sogno.
Un sogno che vogliamo vivere per quasi tre ore. "Anche se poi, alla fine, bisogna svegliarsi", e ricordare che delle popolazioni alle quali rende tributo James Cameron oggi quasi non c'è più traccia.

lunedì 25 gennaio 2010

La fiera della vacuità

Stuart Craspedacusta e Murray Olongapo sono gli sfidanti elettorali in una piccola cittadina Californiana. Sono sostenuti da un manipolo di spin doctors ambiziosi e senza scrupoli, che mettono in gioco tutte le loro astuzie nel giorno della festa del paese, che diventa una sorte di D-Day per la contesa. L'utilizzo, da parte del team di Olongapo di un maestoso dirigibile costringerà gli avversari, guidati dal subdolo Sergei Andropov, ad adottare disperate contromosse.


Dave Eggers è uno dei più promettenti nuovi scrittori americani, tra romanzi e racconti ha già al suo attivo un'invidiabile numero di opere. In questa breve storia prende di mira la società americana stessa. Attraverso la metafora della contesa elettorale, tira in ballo un pò tutti, politici, giornalisti, cittadini, usi e costumi a stelle e strisce.


Il tono della satira oscilla tra il realistico (la prima parte) e il surreale (la seconda, nettamente migliore), con momenti davvero esilaranti (la conferenza stampa, la grossa palla nera, il modellino di aeroplano), ma è nell'affresco generale della fiera di paese, nel comportamento dei bambini, dei candidati e delle persone che fanno da contorno alla storia, che emerge tutta la spietata critica che Eggers fa della società americana.




Una lettura scorrevole, spassosa ed opportuna.

domenica 24 gennaio 2010

The dark side of Juliet, naked

Tutta un'altra musica visto da un altro punto di vista, quello femminile della Lisa. A Hornby fischieranno per un pò le orecchie...

venerdì 22 gennaio 2010

Cash's list


Dunque, l'aneddoto che gira intorno a questo disco di cover è proprio carino. La dodicenne Rosanne Cash decide di intraprendere la carriera musicale. Papà John la asseconda. "Prima però", le dice, "devi conoscere le canzoni del panorama country/folk più importanti di sempre ". E stila una lista di cento brani, dalla quale lei, nel 2009 (più di quarant'anni dopo), ne estrae dodici che finiscono su The List (appunto).

Come da stile consolidato della cantautrice, la raccolta si muove principalmente tra atmosfere acustiche folk e country. Nel disco troviamo la presenza di ospiti di prestigio, che offrono una presenza discreta, non invasiva, limitandosi quasi sempre al controcanto.

Miss the Mississippi and you è l'open track. Il pezzo, portato per la prima volta alla notorietà da Doc Watson, è molto suggestivo e fa opportunamente intendere quale sarà l'atmosfera dell'intero album. A seguire Motherless children, traditional ripreso dalla Carter Family, che molti di noi ricordano sicuramente per la versione electric blues che Clapton fece su 461 Ocean Boulevard.

Bruce Springsteen è il primo guest della scaletta. Si misura con una malinconica Sea of heartbreak, pezzo dei fifties composto e portato al successo da Don Gibson. Sentire il boss così ispirato su questi canoni musicali rafforza la mia convinzione che sia questo il genere di musica che Bruce dovrebbe ormai perseguire, invertendo la rotta più recente, fatta di dischi fotocopia in cui si autocoverizza continuamente. Ma questo è un altro discorso, per tornare a The list, la traccia numero nove, la suadente She's got you, è un'altra storia sull'abbandono, e riprende una hit di Patsy Cline.

Ci sono anche Elvis Costello in Heartaches by number, un classicissimo honky tonk; Rufus Wainwright in Silver Wings, struggente pezzo di Merle Haggard e Jeff Tweedy, che insieme a Rosanne riesce ancora ad emozionare l'ascoltatore nell'ennesima versione di The long black veil, che adoro, ma che è una delle canzoni più coverizzata di sempre nella storia della musica.

Chiude l'opera un altro pezzo della Carter Family, Bury me under the weeping willow, anche questo patrimonio della cultura folk USA e di chiunque apprezzi la musica rurale americana.

The list è in definitiva un disco piacevole, anche se sicuramente un pò prevedibile, nel suo collocarsi in un contesto ormai caratterizzato di female country (di cui ad ogni modo la figlia del man in black è capostipite). La selezione delle tracce è comunque vincente, le loro interpretazioni calde e appassionate, la produzione discreta ma opportuna. Tutti elementi che portano ad un risultato che alla fine convince appieno. Si sente che la Cash è a suo agio e il cd fila via proprio bene, prestandosi ad ulteriori ascolti.
Un doveroso recupero dell'anno appena terminato.



P.S. Alla lista dei cento di papà Cash ne mancano ancora un bel pò (88 per la precisione) qualcuno nutre dei dubbi sul fatto che ci sarà un The List vol II?

giovedì 21 gennaio 2010

MFT, gennaio 2010

ALBUM



Foo Fighters, Greatest hits
Cò Sang, Vita bona
Eli Paperboy Reed, Roll with you
Moltheni, Ingrediente novus
John Mayer, Battle studies
Joe Pug, Nation of the heat

Nick Cave, Abbattoir blues/The lyre of Orpheus
Eels, End times
Bob Marley, Natty dread
Rosanne Cash, The list
Madonna, Celebration
Coldplay, Singles
Il Teatro degli Orrori, Dell'impero delle tenebre
Rory Gallagher, Tattoo


mercoledì 20 gennaio 2010

(Troppo) Elementare, Watson


Ho l'impressione che poco resterà, nella storia del cinema, di questa ennesima rappresentazione di Sherlock Holmes portata sullo schermo da Guy Ritchie. Uno di quei tanti film formalmente ben fatti, con un manipolo di attori (Downey jr e Law su tutti, ovviamente) ruffiani ed accattivanti, scene di azione in ossequio alle più moderne tecniche cinematografiche ed il finale aperto ad un probabile sequel, ma che davvero lascia poco e niente, una volta che ti accendi la canonica sigaretta fuori dal multisala e ti incammini verso casa. Forte è l'impressione che, tempo qualche mese, ci ritroveremo il dvd nei cestoni della Coop ad un prezzo stracciato.


Personalmente l'unico sussulto vero l'ho avuto nel sentire la voce di Donnie Drew dei Dubliners intonare, durante la scena del combattimento nell'arena e sui titoli di coda, un'essenziale quanto splendida versione di Rocky road to Dublin, uno delle mie classic irish song preferite di sempre.

E' valsa questa emozione il prezzo del biglietto?
Mmmmhhh...Forse sì, se ci si accontenta.

martedì 19 gennaio 2010

The heat of the moment


C'è poco da fare,quando uno è bravo, gli basta poco per fare breccia. Nel caso di Joe Pug, 23enne americano di Chicago, bastano le sette tracce acustiche di Nation of the heat, un EP autoprodotto, pubblicato qualche settimana fa.

Un disco acustico, che affronta con orgoglio la sua vicinanza ad un artista come Dylan, periodo Freewheelin', riuscendo, grazie alla forza delle composizioni e all'interpretazione trascinante, ad essere classico e moderno allo stesso tempo, e ad evitare abilmente noia e snobismo, che sono la vera insidia di produzioni come queste.

La breve raccolta di canzoni si apre con la delicatezza delle composizioni Hymn #101 e Call it what you will, poi è la volta della folk ballad Nobody's man, nella quale la voce di Joe spicca in tutta la sua bellezza e si coniuga come meglio non potrebbe al testo .

L'armonica si affaccia per la prima volta in Hymn #35, la traccia che più delle altre paga meravigliosamente tributo a Bob Dylan.
La tripletta finale è forse l'acme del disco, I do my father drugs, Speak plainly Diana e la title track convincono definitivamente sulle qualità di questo artista di origini italiane (il cognome completo è Pugliese), e pazienza se il break chitarra/armonica di Speak plainly Diana è copiato paro paro da quello che fa Springsteen in Atlantic City, ai giovani davvero bravi si perdona tutto.


Per febbraio è prevista l'uscita del suo primo disco full-lenght.

lunedì 18 gennaio 2010

Deja voodoo


No, perchè se uno poi continua a lamentarsi va a finire che stufa. Però cazzo, chiunque si stia divertendo a praticare il voodoo ad una bambolina con le mie fattezze, potrebbe anche ritenersi soddisfatto da tutte le sfighe che mi ha procurato e passare a questo punto ad un altro cliente.

Nelle ultime settimane mi hanno sfasciato a più riprese il pavimento del bagno a causa di una perdita all'appartemento di sotto, salvo poi accorgersi che il problema non originava da lì.
A causa di questo scherzo, per due volte in pochi giorni ho dovuto: soddisfare le esigenze fisiologiche in trasferta, traslocare la famiglia, pulire da cima a fondo la casa e comprare piastrelle per tutto il bagno. Oltre che litigare con i muratori ( che hanno fatto un lavoro da schifo) e con l'amministratore.

Ma evidentemente non bastava, venerdì infatti anche la Clio mi ha tradito, lasciandomi a piedi in mezzo alla Rivoltana e obbligandomi a chiamare il carro attrezzi.
La diagnosi dell'officina è stata agghiacciante: l'alternatore andato, preventivo 600€.
L'auto, dal valore affettivo inestimabile, sul mercato è però quotata meno di 1000 euro. Che faccio?
Per ora stoppo la riparazione e mi guardo in giro alla difficile ricerca di un buon affare.

Mentre faccio due calcoli veloci su quanto tempo dovrò restare appiedato (la stazione dista da casa mia un paio di chilometri, per fortuna sto in forma), mi tocca anche il turno delle pulizie del palazzo.
E, ah giusto, domani sono di nuovo in trasferta a Roma.

Direi che gli spilloni possono bastare, grazie.






sabato 16 gennaio 2010

Kill the disease


Michael C. Hall, uno dei miei attori (per ora) televisivi preferiti (il becchino David Fisher in Six Feet Under e il serial killer dei cattivi Dexter) ha contratto una grave malattia.

Anche se non lo conosco personalmente (non so quindi che tipo di persona sia), gli faccio i miei auguri di salvare la pelle, dicono che ci siano molte possibilità che possa farcela.

venerdì 15 gennaio 2010

Juliet, naked


Tucker Crowe è stato per alcuni anni una rockstar americana di culto. Come un Salinger delle sei corde però, dopo la pubblicazione del suo album migliore nel 1986, si è misteriosamente ritirato dalle scene e da allora di lui non si è saputo più nulla. Oggi nel mondo sono pochi a ricordarsi di lui, ma questa manciata di fans sono davvero irriducibili. Il loro ritrovo è ovviamente la rete, e più in particolare un forum di discussione gestito dall'inglese Duncan, quarantenne archetipo del feticista musicale. Ha tutto e sa tutto di Crowe. Duncan convive da vent'anni con Annie. La loro relazione è stanca e routinante. Proprio grazie ad un vecchio disco di Tucker, pubblicato come inedito dalla sua casa discografica, e agli eventi che questo scatenerà, lei troverà la forza di provare a reagire alla sua situazione di insoddisfazione mista a pigra indolenza.


Anche se Nick Hornby torna a scrivere di musica, del rapporto che la musica ha nella vita delle persone, stavolta lo fa utilizzando questa sua passione per raccontare solitudini di coppia, insoddisfazioni ventennali, vite all'insegna dell'accontentiamoci del meno peggio. La protagonista principale è senza dubbio Annie, e in questo caso la sindrome di Peter Pan che attanaglia Duncan, il suo fidanzato, non scatena nel lettore musicofilo nessuna empatia, perchè lui è talmente superficiale e tutto piegato su se stesso e sulla sua professione di Croweologo da non lasciare la porta aperta a nient'altro.

Come sempre lo stile dello scrittore è perlopiù divertente, riesce a raccontare la miseria del rendersi conto di aver buttato via la parte migliore della vita con la persona sbagliata riuscendo a strappare sorrisi più che lacrime, però più di una volta perde di incisività smarrendo un pò per strada la concentrazione del lettore.
Hornby utilizza una miriade di personaggi secondari, alcuni veramente spassosi e azzeccati (Malcolm, lo psicologo sui generis di Annie e "Cazzo" il vicino di casa di Crowe), altri invece che sembrano messi lì solo perchè farebbero bella figura nella versione cinematografica (prossima futura) del film. D'altro canto un pò tutto il libro sembra essere scritto pensando molto al grande schermo.


Tutta un'altra musica è in definitiva un libro sul coraggio di fare scelte difficili, di cambiare vita in qualunque momento della propria esistenza e di avere poi la forza di conviverci, pagarne il prezzo insomma. Ma è anche un libro che descrive bene come la passione per un'arte nobile come quella della musica possa essere distorta e diventare fanatismo, una compulsione talmente ingombrante da occupare gli spazi di una vita intera, di sostituirsi a ogni altra cosa.


P.S. Il titolo del post è quello della versione originale del libro, ed è anche il titolo del disco di Crowe che fa da miccia agli eventi della storia

giovedì 14 gennaio 2010

Keep on dancin'


E' ascoltando dischi come la colonna sonora di Saturday night fever che mi rendo conto di quanto sia bello essere musicalmente onnivori. E' ormai piuttosto normale apprezzare questo soundtrack, ma all'epoca (1977) si era scatenata una vera e propria guerra di religione tra quelli che consideravano la ost (e i suoi discendenti) come spazzatura che uccideva la musica eleggendo il neonato punk a unica, vera espressione musicale e chi invece faceva razzia dell'ellepì nei negozi di dischi e magari emulava John Travolta sfoggiando terrificanti camicie a collo lungo.

Che fortuna abbiamo a poter amare senza contraddizioni Johnny Rotten e i Tavares (che secondo me sulla versione di More than a woman qui danno la birra ai Bee Gees). Quante canzoni straordinarie, tamarre, improbabili, sexy e cafone ci sono qui dentro. Un vero terremoto culturale, che ha l'epicentro nell'indice alzato di Tony Manero che punta dritto alle luci strobo (e ai fratelli Gibb) e che ha avuto una longevità propria dei capolavori, con buona pace di tutti.


mercoledì 13 gennaio 2010

Via Craxi!

Ancora sulla vicenda Craxi, visto che è di ieri la notizia che un'altro comune, Alessandria, ha deciso di intitolare un via al latitante socialista (ed una ad Almirante, ma vabbeh). Ho scovato questo breve corsivo di Franceso Piccolo sull'Unità, che esprime bene quello che ho sempre pensato (ma che ero incapace di articolare) sulla figlia Stefania (sottosegretaria a qualcosa nel PdL) e sulla sua furia vendicatrice nei confronti dei nemici del padre. Ve lo propongo, è breve ma di sostanza.

Craxi e la valanga emotiva, di Francesco Piccolo

In questi giorni del decennale della morte di Craxi, la discussione sulla sua storia politica e giudiziaria è accesa e contrastata. Il difensore più presente è in questi giorni come in questi ultimi anni, sua figlia, Stefania Craxi. Non voglio qui giudicare le scelte politiche di Stefania Craxi, né la continua analogia che fa con la vicenda di Berlusconi; così come non è il caso in poco spazio dire la mia su Bettino Craxi. È ovvio, ho il rispetto assoluto per il dolore di una figlia nei confronti del padre. E il dolore di Stefania Craxi è vivo come dieci anni fa, ogni volta che parla è rabbiosa, commossa, piena di sofferenza e di orgoglio nel difendere il padre, dal punto di vista politico e giudiziario.

Però ritengo ingiusto che un qualsiasi critico di Craxi si trovi di fronte una valanga emotiva come quella di Stefania Craxi, come succede da anni. Credo che l’emotività eccessiva di una figlia abbia legittimità in privato, ma in un dibattito politico rende il confronto impari. Un ragionamento, messo di fronte al dolore di una figlia, distorce ogni possibilità di confronto e mette sempre in soggezione, perché ogni parola sembra voglia ferire sul piano personale. Con tutto il rispetto per il dolore privato di Stefania Craxi, lei e il suo dolore dovrebbero fare un passo indietro nel dibattito storico-politico, e lasciare spazio alla ragione, al giudizio meno implicato, a una visione più distaccata dei fatti. In un dibattito politico, il dolore di una figlia è sempre, ne sia consapevole o no, ricattatorio.

martedì 12 gennaio 2010

Il sottocosto della fede

Nel leggere questo commovente articolo di Daniele Mastrogiacomo di Repubblica, che riporta le parole pesanti come macigni dell'omelia di don Pino Varrà, il prete di Rosarno, mi è parsa chiara la concezione di cristianesimo che abbiamo oggi in Italia. Non voglio entrare nel merito di quanto successo nella cittadina calabrese: uno stato che permette a migliaia di persone ogni anno di vivere come schiavi ai margini della società non è un paese civile. Lo penso davvero, non è uno slogan. Non è però di questo che volevo scrivere, ma di come i politici che ci governino rappresentino bene molti italiani cattolici, e la loro abitudine a recepire della religione solo quello che più gli aggrada.

Berlusconi, Bossi e soci si pongono strategicamente sempre dalla parte del Vaticano, aumentano i finanziamenti alle scuole private cattoliche, diventano integralisti se si parla di eutanasia, diritti alle coppie di fatto (etero ed omosessuali), inseminazione artificiale, insomma sposano in toto la linea di PapaRatzy.

Picchiano i pugni sul tavolo per il crocifisso in classe , con tanto di canini scoperti e di "possono morire tutti ammazzati, noi il crocifisso non lo toglieremo mai", perchè "fa parte della tradizione italiana", o perchè è un "argine contro l'avanzata dell'islamismo", ma poi, con arroganza e sarcasmo si scagliano contro quella parte della Chiesa che si occupa di immigrazione, e che (magari non sempre per ragioni nobili) prova ad alzare la voce contro i rimpatri coatti, che portano persone africane indietro, verso i loro luoghi di provenienza, mandandoli incontro il più delle volte ad un tragico destino.


Noi siamo così, la religione la viviamo come un portafortuna, un amuleto, un talismano, una foto di Padre Pio sul TIR (magari accanto al calendario di una bonazza), una catena d'oro con croce al collo, un tatuaggio del proprio santo protettore, un rosario sfoggiato ma mai sgranato. La accompagniamo con ipocrisia e un sano razzismo, dichiarato o meno che sia. La carità verso i più deboli non fa parte del pacchetto religioso che abbiamo scelto, che ci siamo ritagliati su misura neanche fosse un'assicurazione o un abbonamento alla pay-tv.

Non credo nemmeno sia un problema solo italiano, alla fine. Piuttosto di una grande bolla d'egoismo che ci prende e ci solleva tutti quanti, attraverso la quale pensiamo di vedere e giudicare le miserie degli altri da una posizione di miglior favore. Quanto può durare davvero non so, visto che ogni bolla, prima o poi, è destinata a scoppiare.

domenica 10 gennaio 2010

Low down

Da giovedì scorso e per tutto il week-end, sono stato impegnato a Roma per lavoro. E stavolta è stata una trasferta interminabile. Dovevamo fermarci un giorno, poi sono diventati due, e alla fine si è arrivati al pomeriggio del terzo, cioè sabato.

In mezzo, un paio di cambi (mutande-magliette) comprati per garantire quel minimo di decenza olfattiva a quanti mi stavano vicini, un biglietto del Freccia Rossa scaduto e semi-perso (rimborsano solo fino all'80% del valore), una multa di 50€ (su una tariffa di 89€) per essere saliti al volo sul treno delle 16:15 senza il biglietto giusto e, per finire in bellezza, oltre ad un bell'acquazzone che ci aspettava a Milano, la mia (finora) fidata Clio che non ne ha voluto sapere di partire (la batteria ).

Anche le mie di batterie sono piuttosto scariche, la domenica testè trascorsa non è minimamente bastata a ricaricarle. Qualcuno ha dei cavi?

giovedì 7 gennaio 2010

I migliori dischi del 2009, parte due


5.Pearl jam – Backspacer (qui la recensione)

A partire da Riot Act ogni disco dei Pearl Jam ha diviso sempre più fans e critica sul valore da attribuire all’opera. Backspacer è probabilmente l’apice di questo contraddittorio percorso. Liriche, musiche e stili sono semplificati come la band di Vedder mai aveva fatto in passato, e questo, comprensibilmente, ha allontanato dal combo molti seguaci della prima ora. A mio avviso il disco ha invece un bel tiro, e funziona sia nei pezzi veloci che in quelli acustici o nelle ballate full-band. C'è da dire che io non sono un die hard fan della band, e questo, forse, per una volta, aiuta.





4. Gossip – music for men (qui una breve recensione)

L’impressione è che questo disco segni la fine della carriera artistica dei Gossip e spalanchi quella del percorso solista di Beth Ditto. Troppa è la distanza tra l’incredibile versatilità della voce della singer americana e i limiti tecnici dei suoi amici. La produzione di Rick Rubin estende come un elastico lo spettro sonoro della band , tira fuori il combo dalla nicchia indie in cui era , e lo lancia nella stratosfera delle charts mondiali (e negli spot dei telefonini del belpaese). Un disco gioiosamente commerciale, con tutte le note al posto giusto e con la Ditto a farla da padrona, pardon, da dominatrice.





3. Paolo Nutini – Sunny Side up (qui la recensione)

Ci fosse un premio al coraggio lo meriterebbe senza dubbio alcuno Nutini Paolo da Paisley (Scozia). Reduce dall’ottimo esordio pop di These streets, l’italo-scozzese ha lasciato tutti di stucco abbandonando l’autostrada sicura di quelle sonorità commerciali e avventurandosi nello sterrato della musica più viscerale e onesta che ci sia. Sunny side up è come un enciclopedia sonora che spazia imprevedibilmente dallo ska, al classic soul, al folk, al rockabilly passando dalla ballata d’autore, con una naturalezza e una credibilità che è solo dei grandi. Aspettiamo la prova del nove del terzo album. Ma intanto, applausi!




2. Eels – Hombre lobo (qui la recensione)


Tutta l’arroganza e la disperazione, l’euforia e la solitudine tipica di un disco blues. Un opera d’una simmetria d’altri tempi, quelli dei vinili che duravano in media una quarantina di minuti, durante i quali i pezzi lenti si alternano in maniera implacabile a quelli tirati. Un album a suo modo semplice, quasi banale, che riesce tuttavia ad essere perfetto, anche se l’incontentabile mr. E ha già pronto il suo seguito, End Times, che sarà nei negozi tra pochi giorni, il 19 gennaio.




1. Il teatro degli orrori – A sangue freddo (qui la recensione)


In realtà prima e seconda posizione sono praticamente ad ex aequo. Metto il numerino uno davanti al Teatro degli Orrori probabilmente per un po’ di sano patriottismo. Il che è paradossale, se si pensa che le liriche di Capovilla non fanno che distruggerlo questo nostro belpaese, o almeno le ipocrisie e le falsità che esso custodisce. Un album che quando deve picchiare, picchia duro davvero, ma che si apre con una nenia disperata e avvolgente. Che sa trastullarsi con l’elettronica e che ha un gusto per l’uso dell’italiano e per la ricerca della parola giusta da incastrare in un testo, che è merce piuttosto rara, di questi tempi. Un album che fa pensare e al tempo stesso ti spinge a furiosi headbangin’.
Disco del 2009 per Bottle of Smoke!

mercoledì 6 gennaio 2010

API operose...

Mentre continua incessante da parte dell'esercito mediatico di San Silvio Addolorato la demolizione dei Nemici dell'Amore Fini e DiPietro, Il Giornale si prodiga in una meravigliosa marchetta elettorale al nuovo movimento di Rutelli (l'API: Alleanza per l'Italia), che da bamboccione un pò pirla diventa il nuovo faro della politica italiana.
Hai visto mai che possa tornare utile alle regionali...

martedì 5 gennaio 2010

Frogs


La Disney torna (finalmente oserei dire) a produrre un cartoon tradizonale, rigorosamente disegnato a mano e in 2D. L'ultimo era stato il flop di Mucche alla riscossa, nel 2004.

Torna anche (e qui non ne sentivo la nostalgia) il formato musical d'animazione e il respiro tipico della fiaba classica.
E poi il jazz, tanto jazz, come ai tempi de Il libro della giungla.
Ah, e un magnifico cattivo come da troppo non se ne vedeva, il mirabolante Uomo Ombra.
Infine una bella location, la New Orleans anni venti con relativo Bayou e un opportuno contorno di buffi personaggi che bene s'incasellano in tutto il contesto.

Quando l'ho proposto a Stefano, all'inizio ha alzato un pò il sopracciglio e mi ha chiesto se per caso non fosse un film "da femmine", ma poi si è convinto e divertito. Credo che come personaggio preferito abbia scelto il principe. Quando è tramutato in ranocchio però.

lunedì 4 gennaio 2010

Uomo dell'anno (di qualunque anno)


Vederlo al Processo del Lunedì di Biscardi è stata la conferma (assolutamente non necessaria) che Daniele Capezzone è l'uomo per tutte le stagioni, in questo desolante tempo.

Forse nelle diverse incarnazioni dei Radicali la sua irresistibile verve e il suo stile da autentico azzeccagarbugli era castrato da altre personalità, che avevano intuito le sue enormi potenzialità e, temendolo, reprimevano la sua creatività.
Ma lui ha finalmente spezzato le catene. Ora nel PdL è finalmente libero di dire e fare ciò che vuole, libero di contraddire ciò che, da laico in un movimento laico, diceva solo due anni fa.

Oh che sommo gaudio esprimersi contro l'inseminazione artificiale! Oh che soddisfazione rinnegare i millemila referendum che aveva proposto, ma che il nuovo Capo non gradisce! Che meraviglia per un antivaticanista ritrovarsi ad essere portavoce del partito che è daccordo col Papa ancora prima che il pontefice che esprima un opinione! Quale massima felicità per uno che era arrivato a chiedere l'abolizione dell'otto per mille alla chiesa cattolica essere la punta della lingua che il Popolo della Libertà offre incessantemente alla Chiesa!

Basta vincoli, basta catene, basta coi direttivi radicali che duravano giorni e notti, discussioni infinite con Pannella, stanze piene di fumo del sigaro del Marco nazionale. Adesso solo salotti buoni. Sedi pulite. Ordine. Essenze profumate rilasciate dappertutto. Belle fighe come collaboratrici. Brunch con la Carfagna. Fisso da Biscardi. Da Fede. Su Radio 24. Nei lanci dei tiggì. Sempre il primo a parlare, eh, è il portavoce del PdL, mica un pirla qualunque!


Eh sì. Lo vedi quando ti fissa e si produce nel suo famosissimo ghigno storto, che adesso è felice come non mai, Danielone nostro. Speriamo che il prossimo Santo Subito da Arcore non glielo levi sto giocattolino ar pupo, non vorrei mai ricominciasse a guardarsi in giro...