lunedì 30 giugno 2014

MFT, giugno 2014

LA MUSICA

Sturgill SimpsonMetamodern sounds in country music
Dave and Phil Alvin, Common ground
Miss May I , Rise of the lion
5 Finger Death Punch, American Capitalist
Hank III, Ramblin man
Bob Mould, Beauty and ruin
Tesla, Simplicity
Paolo Nutini, Caustic love
Kaiser Chiefs, Souvenir - The singles
John Fogerty, Centerfield
Matt Woods, With love from brushy mountain

I SERIAL

The Wire, stagione 4
24, stagione 2
Orange is the new black, stagione 2





giovedì 19 giugno 2014

Matt Woods, With love from Brushy Muntain

Matt Woods – With Love From Brushy Mountain (2014) [MP3]

Il mainstrean country americano si aspettava molto dal nuovo disco di Eric Church, così come quello indipendente/outlaw attendeva con impazienza il ritorno di Bob Wayne. Beh, in questo settore musicale specifico può anche capitare che, contemporaneamente, la nuova star country (Church, appunto) sforni un disco confuso e pasticciato, letteralmente senza capo ne coda e che lo spirito anarcoide insito nel country di Wayne esca molto annacquato dai solchi della nuova release Back to the camper. Capita allora che i riflettori del sincero appassionato di redneck music si spostino verso altri obiettivi. Sturgill Simpson per esempio, che solo l'anno scorso ci aveva fatto godere con l'ottimo esordio High top mountain e che ha già sfornato un secondo lavoro, ma, soprattutto, e finalmente arrivo al motivo del post, Matt Woods, autore che ho scoperto di recente grazie al pezzo Deadman's blues (inserito nelle mie migliori canzoni del 2013) e che, con With love from Brushy Mountain, si dimostra artista versatile e raffinato, decisamente a disagio nel recinto limitato del country e capace invece di abbracciare con successo sia il folk indipendente che quello più commerciale con qualche incursione nel southern più spontaneo e vibrante.

Il risultato è un disco incantevole che nell'ultimo mese, nell'ambito della mia playlist, non ha fatto prigionieri. A cominciare dalla eaglesiana Ain't no living, propedeutica ad introdurci nel mood di frontiera dell'album, per proseguire poi con West Texas wind, che accarezza dolcemente lo spirito di Gram Parsons e passando per Tiny anchors, meravigliosa ed accorata introspezione tra i Mumford & Sons e Bon Iver, tutto è al posto giusto, in un contesto di grande bellezza che sfiora la magia e che si verifica solo con i grandi artisti.
Anche la quota drinkin song, da intonare rigorosamente con boccale alzato e sguardo assente, è rispettata: Woods ci consegna infatti una Drinking to forget che richiama clamorosamente le atmosfere di Steve Earle, collocandole in un testo che è tutto un programma ("I'm drinking to forget/How drunk I got last night").Questo inno alla morte per coma etilico è però piazzato strategicamente prima della corazzata Deadman's blues (qui il video, molto esplicativo dei contenuti del pezzo) che sui temi degli eccessi e della vita border line riesce a fare un'autocritica lucidamente spietata che, di fatto, compensa i contenuti della traccia precedente. Siamo esattamente a metà disco e l'euforia ha già raggiunto livelli di fanatismo: l'esperienza ci fa temere un crollo fisiologico, ma la meravigliosa title track, che torna a tributare il songwriting di Don Henley e l'infuocato southern di Real hard times spazzano via ogni  residuale perplessità sulla qualità dell'opera. 
In coda rimane spazio per un altro gioiellino: Lucero song è infatti esattamente quello che sembra: una sincera e suggestiva celebrazione dell'ottima band di Ben Nichols conterranea (del Tenneessee) di Woods, giunta al terzo lustro di attività e ancora in grado di infiammare il pubblico grazie alla suo brand musicale che attraversa tutti gli spettri più genuini del genere americana. Si capisce che Matt Woods tende artisticamente a quell'esito. Musicalmente ha ancora spazi di crescita, ma dal punto di vista della scrittura non teme rivali.

 Che ve lo dico a fare? Ad oggi, senza esitazione, disco dell'anno.

martedì 10 giugno 2014

Per fortuna c'è Matt Woods

Lo so, sono incline alla lamentela. Sopportatemi ancora per qualche riga di questo post. Non vi ho più aggiornato sulla situazione della mia azienda perché mi sembrava di aver ripetuto gli stessi concetti un numero sufficiente di volte. Sì insomma, siamo in crisi, chiuderemo e riapriremo con un taglio retributivo/normativo. Sapete anche che, oltre a subire questa situazione da dipendente c'è l'ho addosso anche come responsabile sindacale (RSU) presente nella delegazione trattante e pertanto deputato a portare le brutte nuove ai colleghi, ruolo questo che se di norma sarebbe già infausto, lo diventa ancora di più in una società che fino a una quindici di anni fa lavorava in totale monopolio (con tutto quanto ne derivava in termini di privilegi contrattuali) e che, nonostante da un pezzo sia stata scaraventata nella concorrenza più selvaggia che ci sia, ha mantenuto fino ad oggi le condizioni pre liberalizzazione insieme alla radicata convinzione da parte di molti di aver acquisito i diritti di una casta intoccabile.
Una serie di eventi interni al mio sindacato ha fatto anche sì che mi sia toccato, proprio in questa fase tremenda, di diventare responsabile (sul campo, senza gradi) del mio stabilimento e quindi sobbarcarmi tutti gli oneri (gli onori non sono pervenuti) della vicenda.
Se vi state chiedendo "chi te lo fa fare?" sappiate che è la stessa domanda che mi sto insistentemente ponendo anch'io.
Il tempo che sto concedendo al lavoro (cioè tutto, al netto delle poche ore di sonno) è interamente sottratto, in ordine di priorità: alla famiglia, agli amici, alla musica, alle letture e ai serial tv. Spero che gli affetti più importanti mi diano l'opportunità di recuperare.
Dal punto di vista degli ascolti Matt Woods, con il nuovo, incantevole With love from brushy mountain ha appaltato prepotentemente le mie orecchie: il suo cd è stabilmente nel lettore con la funzione repeat inserita senza soluzione di continuità.
Sono pronto a scommettere che tra qualche anno, riascoltandolo mi rimanderà a questo terribile, intenso periodo della mia vita.

lunedì 2 giugno 2014

Aloe Blacc, Lift your spirit


Tutti i problemi che sto attraversando in questi mesi con il lavoro mi hanno portato a formulare un concetto che utilizzo come risposta pronta a chi mi chiede come sto: vorrei svegliarmi tra qualche mese, quando sarà tutto finito. E che pezzo mi tira fuori come traccia d'apertura del suo nuovo disco Aloe Blacc? Wake me up, che nel refrain recita esattamente "So wake me up when it's all over / When I'm wiser and I'm older". Ehi mister, ma ce l'hai con me? 
Per forza deve rivolgersi a me Aloe, tutto torna. La folgorazione del precedente Good things mi fa fiondare a scatola chiusa su questo Lift your spirit e come premio la traccia d'apertura mi guarda negli occhi e mi parla al cuore come una canzone non riusciva più a fare da tempo. 
Vado oltre e mi trovo un'altra volta piacevolmente invischiato  nella formula vintage-moderno del cantante originario di Orange County, California che ancora una volta trova un perfetto equilibrio tra mainstream e classico, divertendosi a mischiare le carte attraverso la realizzazione di brani buoni per le classifiche (la già citata Wake me up, I'm a man, che dopo i primi secondi di ascolto pensavo essere una revisione di Your Song di Elton John, Lift you spirit, pop-soul che ricorda le cose dei bianchi quando vogliono fare i neri), nitidissimi flashback seventies (Soldier in the city, Love is the answer; Can you do this; Eyes of a child) e volgari dimostrazioni di classe (Red velvet seat; Ticking bomb).
A conti fatti insomma Aloe Blacc tira fuori un altro disco elegante ma che non impegna, spensierato con momenti di riflessione, scritto e prodotto con la massima attenzione ai ganci assassini che restano in testa, ma che tenta di lanciare anche un messaggio o due in tema di sociale.

Tutti questi elementi mi portano ad affermare che, ruffiano o genietto a seconda dei punti di vista, con Lift your spirit il Blacc si conferma uno dei più interessanti interpreti di modern soul della sua generazione.