mercoledì 30 giugno 2010

Tedeschi, gente seria




Come si dice in tedesco "chiamate la protezione animali" ?


Il polpo ha "parlato": vince la Germania

Finora l'animale ha azzeccato tutti i risultati. Ma solo all'ultimo ha scelto il contenitore con la bandiera tedesca

MILANO - Ai quarti di finale tra Argentina e Germania vinceranno i tedeschi. La previsione arriva da una fonte al di sopra di ogni sospetto: il polpo Paul, 2 anni di età, ormai rinomato dato che ha azzeccato il risultato di tutte e quattro le partite giocate dalla squadra di Loew (le vittorie con Inghilterra, Ghana, Australia e la sconfitta con la Serbia). Dall'acquario di Oberhausen, dove vive, Paul ha dato anche questa volta il suo verdetto. (...)

martedì 29 giugno 2010

Cleaning out my closet




Uno degli scheletri più ingombranti nel mio armadio è rappresentato dalla frenesia compulsiva con la quale ho seguito la prima edizione del Grande Fratello. Quell'anno (mi pare fosse il 2000) mi sono trovato in una situazione analoga a quella raccontata da Moretti in Caro Diario, dove il professorone di sinistra, che ovviamente detesta la televisione, durante una vacanza alle Eolie diventa fanatico di Beautiful.

A mia discolpa devo dire che quell'anno la pazzia aveva colpito molti amici, tutti mediamente intelligenti, snob verso la tv e piuttosto di sinistra. Per seguire il gieffe, qualcuno era addirittura arrivato a farsi la tv via cavo (mi pare Stream) solo per vedere "i ragazzi" dormire, scoreggiare e mangiare. Al lavoro avevamo un piccolo televisore, e durante le strisce giornaliere della trasmissione ognuno di noi mollava quello che stava facendo per correre a seguire gli sviluppi dei personaggi.
Taricone & co. avevano sostituito il calcio, la figa e la politica nelle chiaccherate di quei mesi.

Se ci penso oggi era una situazione incredibile, paradossale. Un ipnosi di massa davvero non preventivabile.

Presto, coi colleghi e gli amici abbiamo rimosso quello scivolone poco intellettuale, non ne parliamo più. E' stato come aver partecipato ad un omicidio di gruppo, alla fine del quale ci si ritrova tutti con le mani insanguinate e l'improvviso senso di colpa ad esclamare: "oddio cosa abbiamo fatto?!?". Non se ne parla più, non è mai successo.

Però qualcosa è tenacemente rimasto nella memoria collettiva.
O' guerriero Pietro Taricone che costruiva la tenda per trombarsi la bagnina bresciana, ad esempio.
Un perfetto segno dei tempi che incombevano.

lunedì 28 giugno 2010

Piccoli outlaw crescono


I .357 String Band sono un combo di Milwaukee i cui elementi arrivano da diverse esperienze musicali, tutte comunque all'insegna della scena punk e rockabilly. Suonano esclusivamente strumenti a corda (niente batteria dunque) e sarebbero la band ideale per un saloon di un futuro alternativo dove la solita guerra totale ha riportato tutto il globo ad un enorme far west. Il genere che suonano è riconducibile alla nuova scena outlaw americana, quella oscura e senza leggi dei Those poor bastards, Th' Legendary Shack Shakers (anche loro freschi di una nuova opera) e, ovviamente, Hank III, ma anche al combat folk irlandese, Pogues quindi e compagnia cantante. Parafrasando il termine bluegrass, un genere che ovviamente li coinvolge, definiscono la loro musica streetgrass.

Lightining from the north, edito quest'anno, è il loro terzo album. Quattordici composizioni costruite sui virtuosismi del banjo, costanti e instancabili a fare da filo conduttore di tutto il lavoro.
Il sound è ovviamente unplugged, ma anche così ne esce un invidiabile caciara. Album molto compatto e omogeneo. Chi non apprezza il genere potrebbe trovarlo ripetitivo, ma da banjo-addicted quale sono, non è certo un problema mio.

sabato 26 giugno 2010

MFT, giugno 2010

ALBUM

Estere
, Città Invisibili
The Black Keys, Brothers
Scorpions, Sting in the tail
Nina Zilli, Sempre Lontano
Hank III, Rebel Within
Gogol Bordello, Trans-Continental Hustle
Gaslight Anthem, American Slang
Black Eyed Peas, Singles
357 String Band, Lightning from the north
Lady GaGa, The Fame Monster
Basia Bulat, Heart of my own
Midlake, Courage of others
Slash, omonimo 2010
Tom Petty & The Heartbreakers, Mojo
The Stooges, Fun House
Jesse Malin, Love it to life
The Legendary Shack Shakers, Agridustrial
Lucero, 1372 Overton Park
AA/VV, Return to Sin City
Rolling Stones, Exile on main street
Zac Brown Band, Pass the jar

venerdì 25 giugno 2010

La vendetta di San Patrizio


Pensieri in libertà:


1) Dopo la Francia, esce prematuramente dal mondiale anche l'Italia. Cos'hanno in comune queste due nazionali? Entrambe sono arrivate in Sudafrica a spese dell'Irlanda...


2) Qualche dubbio sulle capacità di valutazione tecnica di Lippi ci doveva venire già l'estate scorsa, quando pronosticò la Juventus campione d'Italia (per i non calciofili: i bianconeri sono arrivati settimi).


3) Non ho visto la partita, ma ho fatto un pò di "zapping" radiofonico, e tutte le trasmissioni sportive si affannavano a tranquillizzare gli ascoltatori: "hey, anche se la nazionale è fuori il nostro programma continuerà fino alla finale!". E stica?


4) E a proposito di comunicazione, prevedo grossa crisi per tutti quei prodotti commerciali che hanno puntato la loro strategia di marketing sul mondiale azzurro. A fine partita sembrava una presa per il culo la pubblicità di una finanziaria che se chiamavi ti regalavano subito subito il tricolore per tifare Italia.


5) Mentre tutti gli organi d'informazione sono listati a lutto per l'atroce figura della nazionale, per dimostrare di avere il giusto profilo e requisiti adatti a questo esecutivo, Aldo Brancher raggiunge un record che di sportivo ha poco. Il giorno dopo essere stato nominato ministro (per l'attuazione del federalismo) ha già chiesto l'applicazione del legittimo impedimento in merito al processo che lo vedeva imputato tra un mese nell'udienza del processo per il tentativo di scalata di Antonveneta da parte di Bpi. Cosa centra coi Mondiali? Niente, però con sta gente è meglio non distrarsi troppo.

giovedì 24 giugno 2010

KnockOut



(...) Un documento molto più incisivo dell'olocausto di nel suo momento più incontrollato e nichilista si trova in Metallic KO, un bootleg d'importazione dell'ultimo ocncerto degli Stooges, al Michigan Palace di Detroit nel gennaio 1974. Io ero stato al concerto immediatamente precedente (in un localino di Warren, sempre nel Michigan, due sere prima), in cui il rapporto di odio-amore che gli Stooges intrattenevano da tanto tempo col loro pubblico finalmente arrivò alle sue conseguenze inevitabili. Il pubblico, composto sopratutto da biker, era stranamente ostile e Iggy come al solito si pasceva di quell'ostilità, l'assorbiva e la ricambiava e ricominciava ad assorbirla in una simbiosi sinistra e spaventosa. "Va bene", ha detto infine, interrompendo una canzone a metà, "voi stronzi volete sentire Louie Louie, e Louie Louie sia". Quindi gli Stooges hanno suonato una versione di Louie Louie da tre quarti d'ora, con testi improvvisati lì per lì da Pop, della serie "Leccatemi il culo / Biker cacasotto finocchi" ecosì via.

A quel punto l'odio in sala è un'unica enorme ondata livida e Iggy se la prende con un disturbatore particolarmente insistente: "Ascolta stronzo, se mi disturbi ancora scendo e ti prendo a calci in culo". "Vaffanculo bulletto del cazzo", risponde il biker. Allora Iggy salta giù dal palco, corre tra il pubblico e il tipo lo picchia a sangue, concludendo così le celebrazioni musicali rispedendo il cantante nella sua camera di motel e poi dal medico. Io entro nei camerini, dove incontro il manager del locale che si offre di prendere a pugni qualsiasi membro del gruppo che voglia sfidarlo. Il giorno dopo la gang di biker, che si fa chiamare Scorpions, telefonerà alla radio WABX e giurerà di uccidere Iggy e gli Stooges se suoneranno al Michigan Palace quel giovedì. Loro invece lo fanno (cioè suonano) e non muore nessuno, ma Metallic KO è l'unico disco rock di mia conoscenza in cui si sente il rumore delle bottiglie di birra scagliate che si rompono sulle corde della chitarra. (...)


Da: Iggy Pop, una fiamma ossidrica in versione sadomaso
di Lester Bangs

mercoledì 23 giugno 2010

E adesso?

A Pomigliano non c'è il plebiscito
62,2% di sì, il fronte del no al 36%

POMIGLIANO D'ARCO (Napoli) - Vince ma non sfonda il sì al referendum tra gli operai dello stabilimento Fiat di Pomigliano d'Arco: un voto che è servito ai lavoratori per esprimersi sull'intesa siglata lo scorso 15 giugno tra la Fiat e la sigle sindacali, eccetto la Fiom. I sindacati si dicono soddisfatti del 63% dei consensi circa conquistato dal sì mentre il ministro Sacconi afferma che adesso il paese è più moderno. Ma nella fabbrica campana della Fiat sono tutti consapevoli che a pesare nel prossimo futuro sarà anche il 36% raggiunto dal fronte del no.
da Repubblica

Facebooked

Un responsabile del personale della mia azienda mi ha confidato che lui ed altri capi usano Facebook per "spiare" i dipendenti.
Occhio quindi. Sei in malattia e posti sul social network che stai partecipando alla 24 ore di Le Mans? Dici che sarai irreperibile e invece smanetti facezie da casa? Sostieni che non puoi fermarti in straordinario perchè hai la famiglia in ospedale e poi sei bello in vista su faccialibro?

Il nemico ti osserva. I tuoi giorni di privacy e d'anonimato sono finiti. Con buona pace dello statuto dei lavoratori.

Sul pezzo

Le dichiarazioni del Presidente della Camera in occasione dei festeggiamenti leghisti per i vent'anni della federazione del nord

Fini: "La Padania è un'invenzione propagandistica che mina la coesione nazionale"

Minchia, riflessi pronti, eh?

Meno Brasile, più Goria

Mi dicono che la RAI, che detiene i diritti di meno della metà delle partite del mondiale, ha mandato in Sudafrica un numero superiore di inviati rispetto a Sky, che invece trasmette tutti gli incontri.
Curioso, no?

lunedì 21 giugno 2010

Il dilemma di Pomigliano (e anche il mio).




Prologo.

In principo volevo scrivere due righe a commento di questo post di Ale sull'accordo dello stabilimento Fiat di Pomigliano d'Arco. Appena ho cominciato mi sono però reso conto che non me la sarei cavata così sbrigativamente.
Poco dopo ci ha pensato l’amico Vittorio a stimolare ulteriormente la discussione, con quest'altro suo scritto. Intanto io continuavo a scrivere, e la traduzione su pc del mio pensiero si allungava sempre di più, complicandosi al punto che avevo quasi deciso di mollare il colpo per manifesta incapacità ad organizzare le idee e renderle comprensibili. Il che è strano, perché in genere, come recita il sottotitolo del blog, non è che i miei pezzi subiscano tutte ste revisioni prima di essere pubblicati. Quasi sempre è bona la prima (con tutto ciò che ne consegue) e via. E allora mi sono arreso ai miei limiti strutturali e ho cliccato su pubblica post. Pazienza se passerò per moderato, i panni del duro&puro non mi hanno mai vestito bene.


In premessa, alcune considerazioni:

1) quando ci sono di mezzo campioni di simpatia e moderazione del calibro dei ministri Sacconi e Brunetta e del tuttologo Capezzone viene voglia di mandarli a cagare. Sempre, e a prescindere dall’argomento.

2) Ha pienamente ragione Epifani a definire Cisl, Uil e Ugl "subalterni" alle scelte di governo, giacchè firmano qualunque cosa gli venga proposta ancora prima che gli venga formalizzata, a partire da Alitalia, passando per i tagli nel pubblico per finire appunto con Pomigliano d'Arco.

3) Queste sigle inseguono da tempo (e potrebbero aver ottenuto in questo senso garanzie dall'esecutivo) un modello di sindacato diverso da quello storico italiano. Sulla falsariga di quello concertativo tedesco per intenderci, ma anche oltre. Un sindacato sportellizzato tipo direzione provinciale del lavoro, un sindacato che quindi, essendo nel tessuto istituzionale, può fare a meno dell'adesione/consenso dei lavoratori (e quindi del loro finanziamento). Una roba tipo enti bilaterali, timbri, consulenze, patrocini e via dicendo. La Cgil no. E per fortuna persevera su un altro binario.

4) Quello che sta attorno ad un accordo difficile (come è sicuramente quello di Pomigliano) è importante come l'accordo stesso. Ciò che si dice fuori dal tavolo, al telefono e nei corridoi, le prove di forza, i tentativi di mediazione, le forzature, le richieste. Non conoscendo questi aspetti e i contenuti specifici dell'intesa è difficile dare un giudizio a ragion veduta. Certo, è strano che una trattativa così difficile e a suo modo epocale si sia risolta in poche ore, questa è roba da mesi di riunioni e oltranze fino allo sfinimento. Per dirla fuori dai denti: sento puzza di accordo tra i firmatari e di imboscata ai danni della Fiom.

5) Tutti i sindacalisti, presi singolarmente, sotto sotto pensano di essere gli unici depositari dell’agire sindacale e che pertanto quello che fanno i colleghi è sempre, se non sbagliato, di certo perfezionabile. Ecco, io socializzo la mia opinione ponendomi fuori da questo celodurismo, ma solo per la passione che continuo ad avere per questo ambito e per una certa insofferenza alle ipocrisie, indipendentemente da dove esse arrivino.

Detto questo, per chi fa sindacato e crede nel suo ruolo, quella di Pomigliano rappresenta una questione lacerante, un dilemma direi morale.Personalmente mi sono sentito dilaniato tra il richiamo degli ideali e un meno affascinante realismo. Banalizzando il concetto: la più grande azienda italiana riporta in patria la produzione del suo prodotto più venduto. Lo scambio che chiede è un peggioramento molto significativo delle condizioni di lavoro e dei diritti acquisiti degli operai, per avvicinare tempi e modi della produzione al modello polacco. Pesanti interventi quindi su orario di lavoro, pause, riposi, malattie, scioperi. Un terremoto nelle abitudini lavorative, e non solo del Mezzogiorno.

Un terremoto però, che se ha pochi precedenti per intensità, è stato sicuramente preceduto da innumerevoli episodi nel merito dei contenuti. Per restare nel generico, molte norme che tutelano la salute dei lavoratori, prevedono al loro interno anche delle deroghe stipulabili dalla contrattazione nazionale. Per fare un esempio, il Dgls. 66/03 (un’ottima legge che norma orario di lavoro, pause, ferie) prevede l’obbligo di riposare dopo massimo 6 giorni di lavoro; che ci sia uno stacco di almeno 11 ore tra un turno e l’altro di lavoro e almeno 35 ore di riposo tra l’ultimo giorno di lavoro, un riposo e il rientro in servizio. Ebbene, questi ultimi due elementi sono derogabili con accordo tra le parti (e molti CCNL infatti lo hanno fatto) e il riposo obbligatorio nella settimana è stato derogato direttamente dal governo con la finanziaria del 2008 (Dlgs 112/08) che arriva a permettere fino a 12 giorni di lavoro consecutivi. Lo sottolineo per dire che, quando non siamo d’accordo parliamo di condizioni inaccettabili, ma quando troviamo la quadra, e le mediazioni (gli scambi) tengono, sottoscriviamo patti che peggiorano il livello minimo di garanzia previsto dai legislatori. Mica lo facciamo perché ce ne fottiamo. Ma perché il contesto vincola, e non potrebbe essere altrimenti, l’agire sindacale.

Ma i problemi più insormontabili che hanno impedito alla Fiom di firmare a Pomigliano sono sostanzialmente due: i limiti posti al riconoscimento dell'indennità di malattia e quelli previsti al diritto di sciopero.
L’assenteismo (l'abuso della malattia) è un problema che riguarda molte aziende, tutte quelle che io definisco pseudo-statali, quelle cioè che pubbliche non sono, ma per dimensioni, storia, tradizione, massiccia presenza sindacale ed assunzioni politiche, associo a quelle statali, o almeno ai malcostumi, veri o presunti, che ad esse si collegano.

E’ una questione seria, e rispondere a quanti la sollevano sostenendo che bisogna colpire esclusivamente il singolo che approfitta dell’INPS per farsi ferie, secondo lavoro, attività elettorale o altro, equivale a infilare la testa sotto la sabbia. E non lo dico perché sono diventato improvvisamente filo-aziendalista, ma perché non vorrei mai che ad abusare di un diritto sacrosanto e inviolabile, come quello di essere retribuiti quando si sta male, a qualcuno venga in mente di limitarlo o toglierlo. Per fare un esempio, nella mia azienda (assenteismo a balla), c’era la possibilità per gli impiegati di stare in malattia fino a due giorni senza produrre certificazione medica. Vi lascio immaginare l’uso che ne è stato fatto e anche quanto ci ha messo l’impresa a revocare questa condizione.
Un altro fatto che vorrei porre alla vostra attenzione è che diversi contratti, ovviamente di settori deboli e poco tutelati, prevedono da tempo una corresponsione minore o nulla, dei primi giorni di malattia. Questi contratti di lavoro sono firmati anche dalla Cgil.

Per tornare a bomba, leggo nell’accordo di Pomigliano che l’eventualità di non pagamento dei primi tre giorni di malattia è prevista in casi particolari (“astensioni collettive dal lavoro, manifestazioni esterne, messa in libertà per cause di forza maggiore o per mancanza di forniture, nel caso in cui la percentuale di assenteismo sia significativamente superiore alla media”) e il mancato riconoscimento dell'indennità può essere valutato da una commissione bilaterale azienda-sindacati.

Il diritto di sciopero. Nelle contrattazioni è già avvenuto (anche a me personalmente) che a fronte di un grosso impegno a livello occupazionale, con relativo rischio concreto per l'impresa, si convenga di ridurre per un certo periodo la conflittualità sindacale. In questo caso però c'è da sottolineare che in effetti si prevede un adeguato contrappasso per l’impresa, che in genere si traduce nell’impedimento ad attuare azioni unilaterali (ad es. licenziamenti collettivi). Strumentalizzando si può parlare di limitazione del diritto di sciopero, ma forse sarebbe più opportuno riferirsi ad una autoregolamentazione intervenuta a seguito di eventi eccezionali.

In conclusione, quello che a mio avviso andava fatto, in una situazione complessa, piena di insidie e sfaccettature, con le altre sigle già schierate e il governo che faceva sponda sempre e solo dalla parte dell'impresa, era analizzare le conseguenze delle possibili scelte.
Capire cioè se il gioco di un concreto peggioramento delle condizioni di lavoro valesse, e fino a che punto, la candela del rientro dall’est europeo di una produzione di massa di auto in Italia. In caso positivo sarebbe stato opportuno ipotizzare un punto di caduta estremo, e condurre la trattativa per restare entro quel limite, fino a quando, dopo ore, giorni, settimane o mesi di negoziazione si sarebbe arrivati all’ultima mediazione, all’ultima offerta.
Questo è stato fatto dalla Fiom-Cgil? Non lo so. A giudicare dall’ intervista rilasciata da Epifani al Corriere della Sera di venerdì 18 sembrerebbe di no.
Era una trappola per continuare ad isolare la Cgil, e dunque le controparti (più Cisl, Uil, Ugl) non avrebbero mai acconsentito alle richieste del sindacato di Corso Italia? Molto probabile. Ma forse proprio per questo bisognava attuare una strategia diversa, cercare (mi rendo conto che era estremamente complicato) una strada alternativa a quella, prevedibile, della rottura, che ovviamente è stata fatta passare subito come preannunciata da parte di un sindacato che sa dire solo no.
Un atteggiamento diverso, in Alitalia, ha permesso di apportare significativi miglioramenti alla prima stesura, condivisa, manco a dirlo, da Angeletti, Bonanni e Polverini. Modifiche che sono andate a tutto vantaggio di quei lavoratori.

Anche perché, in ultima analisi, il ruolo del sindacato non si esaurisce con la firma in calce ad un pezzo di carta. Il difficile comincia dopo, con la gestione dell’intesa, e con l’opposizione vera a che questo accordo, nato da un contesto eccezionale, non diventi la regola dei contratti di lavoro in Italia.



Ecco, l'avevo detto che mi sarebbe venuta un pò lunga...

Vivere e morire a NY

Non ho mai avuto modo di scrivere una recensione appropriata de La 25a ora, di Spike Lee, e non lo farò nemmeno oggi.
Ho appena finito di rivederlo e ho maturato la convinzione che ormai questa pellicola di Spike Lee ha raggiunto la condizione dei grandi classici, quelli che quando li guardi, fossero anche le due di notte, non riesci proprio a scollarti dal televisore per assistere ai momenti più intensi della storia.
Non mi meraviglia, a mio avviso La 25a ora ci nasce instant classic, con i suoi riferimenti al melting pot newyorkese, al post undici nove, alle paure, alle ipocrisie, alla vera essenza delle relazioni socio-familiari.

Non mi vergogno a dire che ogni volta che assisto a quest'opera arrivo alla fine del film piangendo un liberatorio pianto a dirotto.
Da un punto di vista più oggettivo, pur non essendo un esperto di tecniche cinematografiche trovo che questa pellicola offra numerosi spunti di classe e diverse scene d'antologia, oltre a sontuose prove di recitazione di Edward Norton (Montgomery Brogan, il protagonista) Barry Pepper e Philip Seymour Hoffman (gli amici Francis e Jacob), Rosario Dawson (la fidanzata Naturelle)e Brian Cox (il padre).
Ne posto qualcuna per chi già lo conosce, e invito chi ancora dovesse vederlo a lasciar perdere questi estratti e recuperarlo asap (as soon as possible).

Il monologo



Il "favore"



La venticinquesima ora

domenica 20 giugno 2010

D.A.M. 2.0


E' bizzarro questo amore viscerale che nutriamo nei confronti di Diego Armando Maradona. Un tipo che racchiude in se più contraddizioni di quante se ne possano contare in questi giorni di Mondiale dentro lo stato sudafricano.

E' il commissario tecnico più inverosimile che si sia mai visto, lui che agli allenamenti spesso ci mandava la sua borsa mentre i suoi compagni sgambettavano chiedendosi se sarebbe arrivato almeno per la partitella finale. Oggi mi piacerebbe vederlo, mentre chiede ordine e disciplina ai suoi ragazzi.

Non so se se si reputa comunista, ma di certo ha dichiarato più volte il suo grande amore per Fidel Castro, ha la sua effige, insieme a quella di Ernesto Che Guevara, tatuata sul corpo (e che tristezza leggere che Miccoli se li sia fatti tatuare non per convinzione politica ma per emulare Diego), però a Napoli frequentava le ville dei camorristi e ultimamente se ne va in giro vestito come se dovesse recarsi ad un matrimonio dei casalesi (cit).

Continua (giustamente, a parere mio) a sfottere Pelè, ma buisness is buisness, e quindi non ha nessun problema a fare con lui (e Zidane) la pubblicità per il marchio del lusso Louis Vitton.


E' sempre l'argentino più famoso del globo, ma non fa sconti alla repubblica sudamericana, nel ritiro dei mondiali ha ospitato e dato visibilità ("vi darei il nobel") ad una rappresentante delle nonne di Plaza de Mayo, in un momento in cui, da quelle parti hanno silenziosamente iniziato un'opera di rimozione dalla memoria collettiva.


Difficile capire chi sia davvero Diego Armando Maradona, un rivoluzionario, un tossico, un cafone o un furbastro, ma la ragione per la quale gli vogliamo così bene (beh, oltre al fatto che calcisticamente è stato un marziano, ovvio) forse è proprio legata alle sue contraddizoni e alle sue ipocrisie, che lo rendono così fragile e cialtronesco, un pò come, in misura diversa, ci sentiamo anche noi.

venerdì 18 giugno 2010

Justice, at least

Qualche giorno fa David Cameron, nuovo primo ministro inglese, si è scusato con i familiari delle vittime irlandesi del Bloody Sunday.
Ricorderete l'episodio, il 30 gennaio 1972, i parà britannici spararono contro una folla inerme che stava manifestano a Derry, lasciando a terra 14 morti. E' l'episodio simbolo della guerra civile in Irlanda del Nord, l'elemento scatenante che ha fatto degenerare il conflitto e gonfiato le file dell'IRA di giovani volenterosi.

Il 15 giugno del 2010, a seguito del rapporto finale di quella strage, Cameron si è presentato davanti alla stampa e ha ammesso le responsabilità del corpo speciale inglese, che ha fatto fuoco in modo "ingiusto e ingiustificato".

Superata in fretta la prima reazione sarcastica, legata all'ovvietà della conclusione e al tempo che c'è voluto per ammetterla, è subentrata in me l'ulteriore certezza della differenza abissale che esiste, ed è sempre esistita, tra la politica di questi popoli e la nostra.

Quante situazioni simili abbiamo avuto in Italia, dal dopoguerra in poi?
Gesù, non è stata fatta piena luce nemmeno per Portella della Ginestra (lì di anni ne sono passati più di sessanta), figuriamoci se un presidente del consiglio si scuserà mai per il ruolo dei servizi segreti nelle stragi dell'Italicus, Ustica, Piazza Fontana, Bologna e via discorrendo.

No, non c'è un cazzo da scherzare.

mercoledì 16 giugno 2010

Nella Casa del Divertimento


E' magnifico essere in fissa con un disco. Ma i dinosauri lo sanno, non basta ascoltare frequentemente un album per avere diritto ad utilizzare questo slang da ggiovani, bisogna proprio entrarne in simbiosi , averne una dipendenza fisica, succhiarne avidamente la linfa vitale, attendere trepidamente un passaggio, poi un altro e un altro ancora, nutrirsi di ogni singola nota, gemito, vibrazione. Pensateci bene e ditemi quante volte, davvero, siete entrati così in sintonia con un opera musicale. Con mio sommo rammarico, a me capita ormai sempre più di rado, ma quando succede, beh cazzo, torno ad inebriarmi dello stupore fanciullesco delle prime, più sorprendenti, scoperte.

Ed è esattamente questa la spirale nella quale sono precipitato da qualche giorno, da quando cioè, quasi per caso, ho messo su Fun House degli Stooges.

La prima cosa che ho fatto è stato rimpiangere di non averlo ascoltato su vinile. Le tracce in totale sono sette. Le prime quattro erano distribuite sul lato A dell'LP, le altre tre sulla side B. Non era ovviamente una scelta casuale. La separazione dei pezzi aveva un suo perchè, dovevi alzare il culo dal divano, girare il disco sull'HI-FI, resettare quanto avevi fino a quel momento ascoltato e ripartire daccapo.

Si parte con il tosto sound che ha caratterizzato il debutto dei quattro. Down in the street, Loose, T.V. eye sono derivazioni sudicie (blues? rock and roll?) degli Stones, sono schegge infette di anfetamina, roba all'epoca ineticchettabile. La traccia numero quattro, Dirt, è un delirio erotico di quasi otto minuti in cui Iggy (non ancora) Pop ci fa tastare il pacco sotto i pantaloni di pelle (Ooh, I've been hurt And I don't care Ooh / I've been hurt And I don't care / Cause I'm burning inside / I'm just a dreaming this life / And do you feel it? Said do you feel it when you touch me? Said do you feel it when you touch me? There's a fire Well, it's a fire) vestendo i panni di un Jim Morrison strafatto di speedball invece che di acidi. L'album è solo a metà e già abbasterebbe per fregiarsi del titolo di masterpiece. Ma, come si dice, siamo solo all'inizio.

La svolta spiazzante, geniale, arriva d'improvviso, quando offriamo all'ipotetica puntina del giradischi la docile resistenza dei solchi impressi sul lato due del vinile, e più precisamente, al minuto 3.34 del pezzo 1970. Out of my mind on Saturday night / 1970 rollin' in sight / Radio burnin' up above / Beautiful baby, feed my love / All night till I blow away / All night till I blow away / I feel aaaawwwriiiight, I feel aaawwwriiiight provoca l'Iguana prima di lasciare la scena ad un imprevedibile cambio di rotta nel sound. Irrompe nella canzone, nel resto del disco e in questo pezzo di storia del rock, Steve MacKay, di professione sax tenore, che si mette a duettare con la voce sgraziata dell'iguana, in un crescendo di improvvisazioni free jazz che continuano nella successiva title track e che trovano il loro acme nel delizioso, atroce frastuono(cit) strumentale di L.A. Blues.

Basta, non c'è n'è più per nessuno. Il tavolo è sparigliato. Restano inebetiti quanti (all'epoca)sostenevano che i quattro manco sapessero suonare (il che magari era anche vero, ma come al solito si prestava attenzione al dito e non alla luna), non capendo che in quel periodo gli Stooges erano talmente carichi, avevano una tale urgenza comunicativa interfacciata dalla personalità provocatoria e autodistruttiva di Iggy Pop, che era difficile distinguere se la coca la tirassero loro, o se fosse la bamba a farsi ogni tanto una pippata degli Stooges per darsi una botta di vita come si deve.

Pur non avendo convinto critica e pubblico alla sua uscita, il piccolo culto che è nato e si è tramandato dietro a Fun House è tale che, questo album, a quanto ne so, è l'unico ad avere avuto una incredibile, inverosimile special edition composta da 7 cd senza l'aggiunta di alcun inedito, ma solo alternate take delle versioni originali, che, lo ricordo, sono solo sette, per un minutaggio finale di meno di quaranta minuti. Questa edizione, ormai introvabile, è stata condensata in un doppio ciddì, che ho testè provveduto ad ordinare (insieme a Raw Power).

Gli Stooges e Iggy Pop sono anche uno dei gruppi preferiti di Lester Bangs, al quale, si sarà capito, mi sono ispirato per questo delirio mistico.



Lost chronicles, final chapter

Lost è senza dubbio la serie televisiva moderna che più di ogni altra ha fatto dibattere i fans. La rete pullula di forum e blog che hanno vivisezionato ogni singolo elemento di ogni singola puntata di ogni singola stagione, dal 2004 ad oggi.

Una delle ipotesi più battute riguardo la natura dell'isola è stata, da subito, quella che il posto fosse un limbo post-morten, una sorta di purgatorio buono per tutte le religioni, dove i (mal)capitati devono guadagnarsi l'accesso al livello superiore (paradiso e similari).

Beh, finalmente sappiamo che non è così. Però gli autori (a mio avviso) si sono divertiti a manipolare questa teoria, applicandola in modo alternativo all'ultima stagione, e dando vita ad un finale sorprendente, molto commovente ed ad alto tasso di emotività.

Compiuto dunque il fato dei superstiti e stabilito chi fossero il prescelti, l'insoddisfazione di più di un fan è per le domande rimaste senza risposte. Beh, io non mi aspettavo che venissero risolti tutti i quesiti, è chiaro che negli anni gli autori abbiano cacato spesso fuori dalla tazza per poi coprire maldestramente con un pò di terra, come fanno i cani al parco.
C'è però da dire che gli stessi che vogliono spiegazioni, spesso sono scontenti di quelle che ricevono (ad es. origini della Black Rock e distruzione della statua gigante), che a volte le spiegazioni sono intuitive (l'orso bianco ad esempio si può dedurre sia arrivato con il teletrasporto, così come si vede pe una coniglio/cavia) e che altre sono futili (cosa c'è da spiegare riguardo la presenza delle Dharma?).
Altre sarebbero state invece opportune (il rapporto Linus-Widmore, ad esempio), ma a mio avviso non è così scandaloso che Lost si sia concluso in questa maniera, progetti di questo tipo sono per la massa, non per i die-hard fans che non ci dormono la notte sfinendosi di pippe mentali.

La critica che mi sento di avallare è invece quella che sostiene che la sesta stagione sia un pò a se stante, slegata da quello che è successo dalla seconda in avanti. Presa da sola ha un suo valore (positivo, secondo me) ma stacca troppo di netto rispetto a quelle precedenti. E questo in parte è vero.

In definitiva Lost è una serie che ha agito sull'immaginario collettivo in misura non necessariamente proporzionale al suo riscontro di pubblico (che alla fine negli USA si è stabilizzato intorno ai 12 milioni di telespettatori, non una cosa fenomenale). Ha inciso su cultura (pop), sui costumi, sul linguaggio. E' senza dubbio una delle serie più "importanti" in senso lato della televisione.

Probabilmente poteva durare qualcosa di meno, e prendere meno la mano agli sceneggiatori, ma in fin dei conti è stato comunque bello esserci e viverla fino in fondo.



martedì 15 giugno 2010

Little lies, ultima parte


la prima , la seconda e la terza parte

I CONDONI


C'è infine una sfera "pubblica", che riguarda le decisioni che il Cavaliere ha assunto come capo del governo, nella lotta contro gli evasori fiscali e nella "disciplina" di casi che, sotto questo profilo, hanno riguardato direttamente lui stesso o le sue aziende.

1) Nella primavera 1994 Berlusconi "scende in campo" e vince le sue prime elezioni. E' l'epifania della Seconda Repubblica. Per festeggiarla, il governo vara il suo primo condono fiscale: frutta ben 6,4 miliardi di euro. Forte di questo trionfo, lo stesso governo vara anche il suo primo condono edilizio, che porta nelle casse del fisco 2,5 miliardi. Seguiranno altre cinque sanatorie, nel corso delle successive legislature guidate dal Cavaliere: nel 2003 nuovo condono fiscale di Tremonti, per 19,3 miliardi, insieme il primo scudo fiscale per il rientro dei capitali all'estero da 2 miliardi, poi nel 2004 nuovo condono edilizio di Lunardi da 3,1 miliardi, e infine tra il 2009 e il 2010 l'ennesimo scudo fiscale, appena concluso, e con un rimpatrio di capitali previsto in oltre 100 miliardi di euro. L'infinita clemenza verso chi non paga le tasse, praticata in questi sedici anni, non è servita a stroncare il fenomeno dell'evasione, anzi l'ha alimentato.

2) Dei condoni hanno beneficiato milioni di italiani. Ma ha beneficiato anche il premier e il suo gruppo. Dopo la Finanziaria del '93 che introduce il secondo condono tombale, rispondendo ad un articolo di Repubblica che anticipava la sua intenzione di beneficiare della sanatoria, Berlusconi fa una promessa solenne durante la conferenza stampa di fine d'anno: "Vi assicuro che né io né le mie aziende usufruiremo del condono". Si scoprirà poi che Mediaset farà il condono per 197 milioni di tasse evase, versandone al fisco appena 35, e lo stesso farà il Cavaliere per i suoi redditi personali, risolvendo il suo contenzioso da 301 milioni di euro pagando all'Agenzia delle Entrate appena 1.800 euro.

3) Condono peri i coimputati: con decreto legge 143 del giugno 2003, presunta "interpretazione autentica" del condono di quell'anno, il governo infila tra i beneficiari anche coloro che "hanno concorso a commettere i reati", pur non avendo firmato dichiarazioni fraudolente. Ennesima formula ad personam: consente di salvare i 9 coimputati del premier nel processo per falso in bilancio.

4) Condono di Villa Certosa: Il tribunale di Tempio Pausania indaga da tempo sugli abusi edilizi commessi nella ristrutturazione della residenza sarda del premier. Con decreto del 6 maggio 2004 il governo attribuisce a Villa Certosa la qualifica di "sede alternativa di massima sicurezza per l'incolumità del presidente del Consiglio". Nel 2004, con la legge 208, il condono edilizio dell'anno precedente viene esteso anche alle cosiddette "zone protette". Villa Certosa, nel frattempo, lo è appunto diventata. La Idra, società che gestisce il patrimonio immobiliare del premier, presenta subito dieci richieste di condono, e chiude così il contenzioso con il fisco. Versamento finale nelle casse dell'Erario: 300 mila euro. E amici come prima.

Massimo Giannini, Repubblica

lunedì 14 giugno 2010

The Shield: The Final Act, part 2/2


La pallina corre veloce, inarrestabile, sul piano inclinato dei rapporti tra Mackey e Vendrell, nel momento in cui Vic e Ronnie Gardocki, l’ultimo rimasto nello Strike Team, decidono che Shane deve pagare con la vita per l’omicidio di Lem. Vendetta chiama vendetta, e Shane, sopravvissuto fortuitamente all’imboscata, decide di vendicarsi, affidandosi ad un killer che però fallisce il colpo, viene arrestato e accusa Shane di averlo assoldato.

Comincia a questo punto un'inverosimile fuga di Vandrell, che scappa e si porta appresso la moglie incinta e il figlioletto malato. Questa incredibile, disperata, stupida mossa, cementa il malsano legame della coppia, ma segna definitivamente il loro destino, agghiacciante ma inevitabile.

Vic Mackey dal canto suo, pensa di prendere in contropiede Shane (che potrebbe confessare tutti i crimini dello Strike Team e affossarlo) e riesce a fare un accordo con i federali, una sanatoria totale sui suoi crimini in cambio dell’arresto di un big one della mala che solo lui è in grado di prendere. La puntata in cui Vic confessa tutti i suoi reati (condannando al carcere a vita Ronnie che non ha salvacondotti) è da storia della televisione. Perfetta. Spietata. Un meccanismo ad orolgeria. Tutti i suoi nemici (che a rigor di logica sarebbero i buoni) sono annientati, è lui ancora una volta il vincitore, la sua astuzia ha avuto la meglio.

La spietata bravura degli autori riesce a ribaltare tutto nell’ultimo episodio, quando si compie il fato di Shane e famiglia. Venendo a cadere la minaccia dell’ex amico di rivelare tutte le malefatte della Squadra, è di fatto inutile la confessione preventiva e il conseguente tradimento nei confronti di Ronnie, che è dunque spacciato solo per le accuse di Vic.
Corinne, dopo aver collaborato con la polizia per incastrare il marito, lo abbandona portandosi appresso la famiglia. Mackey viene convocato nella stanza degli interrogatori, fatto sedere dalla parte dei sospettati e messo al corrente della fine di Shane. Poi assiste all'arresto di Gardocki che viene portato via con la forza mentre impreca contro di lui. I federali si vendicano dal raggiro ricevuto assegnadolo a banali mansioni d’ufficio fino al raggiungimento dell'età della pensione.

Il grande e potente Vic Mackey subisce quindi una condanna peggiore della morte, privato della famiglia, degli amici, della stima dei colleghi, del suo amato lavoro nelle strade. La telecamera si ostina ad inquadrare i suoi occhi azzurri, forti, determinati. Sembra che da un momento all’altro possano cedere, lasciar sgorgare le lacrime. Ma quel momento passa. La mano di Vic si sposta, va a cercare qualcosa sotto la giacca. E’ l’ inconfondibile oggetto nero e lucido che l’ha contraddistinto da sempre, quello che è diventato ormai una naturale appendice del suo corpo. La sua pistola. Lei c'è ancora. Non lo ha abbandonato. Il contatto con il ferro gli conferisce forza, gli dà fiducia. Il ghigno di sfida al quale tutti i suoi nemici si sono dovuti arrendere torna ad incorniciargli il viso. Titoli di coda.

Un plauso agli autori, capaci di concludere magnificamente una delle serie poliziesce più riuscite di tutti i tempi, che ha regalato a pochi ma affezionatissimi fans, momenti di straordinaria tensione e coinvolgimento. Seppur imperfette, nessuna delle sette stagioni della serie si è rivelata deludente o "tirata via". Oltre alle prime due, impossibile non celebrare la quarta (guest star una memorabile Glenn Close) e la quinta (con un implacabile Forest Whitaker). Tra gli interpreti, impossibile non segnalare la bravura di Michael Chiklis, la crescita espressiva di Walton Goggins
e la certezza rappresentata da CCH Pounder.

Per il realismo delle situazioni e la distanza dai tipici drama polizieschi televisivi, sono in molti a sostenere che l'unico rivale di The Shield sia stato The Wire. Non avendo sufficiente esperienza della serie in questione, mi permetto di aggiungere alla lista l'antenato Hill Street Blues (in Italia Hill Street giorno e notte), vero e proprio precursore dei polizieschi realistici e di qualità.



domenica 13 giugno 2010

Anti

E' in giro AntiFA, il nuovo singolo dei 99Posse, l'avete ascoltato? Si può scaricare gratisse dal sito di XL, dove trova spazio anche una bella intervista.

sabato 12 giugno 2010

Why, p'cchè?


Un'operazione che fatico a capire, a giustificare. Che trovo imbarazzante. Non so come andrà commercialmente, ma per Neffa, a livello artistico, questo C'eravamo tanto odiati, mi sembra davvero un autogol, visto lo standard d'eccellenza al quale ci ha abituati. Tra l'altro, più che una collaborazione a due voci, mi sembra più un album di J.Ax al quale partecipa come featuring il nostro amato Pellino.

Tra tanta desolazione, se proprio vogliamo salvare qualcosa, diciamo che Due di picche (la title track) e La ballata dei picche qualcosa di dignitoso ce l'hanno, nonostante la metafora sia abusata e adolescenziale, mentre ascoltando ad esempio I love TH viene la nostalgia di come trattavano lo stesso tema i SangueMisto.
Parafrasando il titolo del disco, spero che i due tornino presto ad odiarsi, o anche ad amarsi vah, ma rigorosamente in privato....
Riprenditi, Giovanni!

venerdì 11 giugno 2010

Way down in the hole




L’incazzatura e il senso d’impotenza nei confronti di questo governo hanno raggiunto da tempo livelli tali da sfociare in una forma di frustrazione che mi blocca, mi intrappola le parole in gola (o nella tastiera del pc), mi fa sentire, me e le mie idee, futili, di fronte a tanta protervia, a tanto autoritarismo, alla violenza intrinseca di queste decisioni.
Dopo tutto cosa potrei scrivere di più, di diverso, di utile, rispetto ai fiumi di parole che vengo riversati su carta o nell’etere da parte dei media che si oppongono alle azioni di questo governo?

Siamo ormai arrivati ad un punto inimmaginabile. Il presidente del consiglio, proprietario di un impero mediatico, che minaccia di togliere le licenze alla RAI.
Che tratta la costituzione come un impiccio venendo per questo applaudito dalla platea dei confindustriali .
Che, per l’ennesima volta, fa apparire come una priorità per il paese una legge elaborata per una delle sue innumerevoli menate e che come conseguenza insignificante aprirà un autostrada senza caselli alle associazioni criminali e renderà sterile il lavoro di polizia e magistrati e ciechi e sordi i cittadini (e che serve a dovere chi - un po’ anch’io, lo ammetto- si era ridotto a sperare di poter contare sul ruolo di sincero statista di Fini. Nel momento di bisogno massimo, anche l’ex di AN è tornato docilmente nei ranghi).
Che tratta il parlamento allo stesso modo, come un fastidioso impiccio.
Che sfotteva chi parlava di crisi invitando al consumo e all’ottimismo e poi approva una manovra tremenda per pensionati e lavoratori dipendenti sostenendo che finora abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità (noi eh?).
Che lacera il paese mettendo il dito nella piaga delle differenze tra nord e sud, che alza al 84% (prima era al 75%) il limite per ottenere l’elemosina della pensione di invalidità giustificando l'iniziativa con gli abusi dei "falsi invalidi".
Che rifiuta di inserire la tortura nei reati penali come invece richiesto dall’ONU.
Che interviene a fari spenti sul diritto del lavoro (qui gli esempi sarebbero infiniti, il meno noto è stato abrogare subito la lettera di dimissioni protocollata dall’agenzia per l’impiego, norma inserita dal governo Prodi per eliminare l’abitudine di molte aziende di far firmare ai dipendenti, all’atto dell’assunzione, una lettera di dimissioni preventiva, la più recente è togliere l’obbligo alle aziende di comunicare all’ispettorato del lavoro i casi di infortunio con prognosi tra 3 e 30 giorni, evidentemente un’altra priorità per il paese ).
Che sevizia la scuola pubblica e investe in quella privata.
Che parla di amore come i terroristi islamici parlano di dio.

Meanwhile, all’opposizione, Casini e Di Pietro si scannano a vicenda e Bersani pensa che alzare i toni significhi condire di parolacce le sue dichiarazioni.

Il vero dramma è che nessuno qui sa quando usciremo da questa galleria, buia e infinita, e soprattutto non sappiamo se e come lo faremo, e cosa troveremo, cosa resterà del Paese una volta tornati alla luce.
Per la prima volta da tempo immemore, lasceremo ai nostri figli un paese peggiore di quello che i nostri padri, dal dopoguerra in avanti, hanno consegnato a noi.

La cosa più banale da fare sarebbe quella di impiegare questo tempo per cercare di costruire un’alternativa politica e sociale credibile, seria, realmente antagonista al berlusconismo e al leghismo imperante. Cambiare la classe dirigente, svoltare, ricominciare da capo. E farlo in fretta, anche.

A vedere i “nostri” invece sembra che quelli più terrorizzati dall’eventuale caduta del premier siano proprio loro, spaventati a morte dalla concreta possibilità di andare ad elezioni anticipate e perdere di nuovo con lo stesso distacco siderale di due anni fa, il tutto mentre il Paese si sta progressivamente spostando a destra, svuotando il bacino di adesione potenziale ad un'idea di sinistra.


Davanti a tutto questo, davvero, me lo dite voi a che cazzo serve sforzarsi di trovare le parole?

giovedì 10 giugno 2010

Let's play Sun City!

Non so se è un problema solo mio e di quelli della mia generazione che, bene o male, si sono sempre interessati di politica nel senso ampio del termine, ma proprio non ce la faccio ad associare i luoghi e le città del Sudafrica ad un contesto di spensieratezza.

Quando sento parlare di Pretoria, Johannesburg, Cape Town quali sedi per le partite di calcio del mondiale, non posso fare a meno di pensare a quando, questi ed altri posti entravano in casa attraverso l'informazione dei giornali o delle tv per tutt'altre motivazioni. Parlo dell'apartheid ovviamente, della detenzione di Mandela, dei crimini contro l'umanità, delle violenze, delle sopraffazioni perpetrate in quella parte di mondo africano fino al termine degli anni ottanta.

L'aggancio mnemonico successivo è più leggero, e riguarda come a metà eighties questo tema fosse stato adottato da tutto lo star system anglosassone quale crociata del momento.
Sulla scia di operazioni benefiche tipo We are the world, fu anche registrato un disco nel quale gli artisti coinvolti dall'allora schieratissimo Little Steven (Bruce Springsteen, Miles Davis, Ruben Blades, Bob Dylan, Herbie Hancock, Ringo Starr con il figlio Zak Starkey, Lou Reed, Run DMC, Peter Gabriel, David Ruffin, Eddie Kendricks, Darlene Love, Bobby Womack, Afrika Bambaataa, Kurtis Blow, Jackson Browne and then-girlfriend Daryl Hannah, U2, George Clinton, Keith Richards, Ronnie Wood, Bonnie Raitt, Hall & Oates, Jimmy Cliff, Gil-Scott Heron, Nona Hendrix, Pete Townshend, Pat Benatar, Joey Ramone) si opponevano non solo al regime di Botha, ma anche a chi, uomini d'affari e sopratutto colleghi, si recavano periodicamente a Sun City, definita la Las Vegas del Sudafrica, per fare delle serate lautamente compensate ad appannaggio esclusivo della ricca borghesia bianca (Frank Sinatra ebbe a dichiarare: "perchè mai non dovrei più suonare a Sun City? Hanno un green stupendo") mentre nei sobborghi i poliziotti intervenivano nelle sommosse sparando ad altezza uomo.

Le rockstar avevano scelto l'acronimo di AUAA (Artist United Against Apartheid) e Sun City, il pezzo trainante del disco, nel ritornello recitava "ain't gonna play Sun City", dove ovviamente play stava per "suonare". Curioso che oggi gli occhi di tutto il mondo siano rivolti proprio lì, per i mondiali del "playing" più seguito del globo, in un paese in cui l'apartheid è stato sconfitto, ma dove permangono giganteschi contrasti e continue contraddizioni.


Speechless

Dico a Stefano che il giorno dopo, al mio ritorno dal lavoro, gli porterò una piccola sorpresa. Altro non è che un gioco della serie I Pinguini, preso con un Happy Meal dal MCDonalds in aeroporto. Ma la promessa basta per creare in lui un hype debordante, come ben possono immaginare tutti i genitori di bimbi piccoli.
Fatto sta che però il giorno seguente lo dimentico in ufficio.

Stefano: - Allora pà, ti sei ricordato la sorpresa?-
Io, con una contrizione degna di un corso in arte drammatica all'actor's studio: -Noooooo, accidenti, l'ho dimenticato! Cavolo mi spiace moltissimo...-
Stefano: - Mi sa che hai pensato più al lavoro che a me, eh?-
Io, imbarazzato: - Beh no, ma sai com'è...-
Stefano: - Fa niente, dai. Tanto ce l'hai in ufficio e me lo puoi sempre portare domani, no?-
Io, smettendo di balbettare: - Eh, sì. Certo, certo!-
Stefano: - E poi è meglio che quando sei al lavoro pensi al lavoro, sennò quelli ti licenziano!-

Non vorrei avesse visto di nascosto qualche puntata di Annozero...

Little lies, parte 3


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I PROCESSI

Insieme alle parole, ci sono gli atti che Berlusconi compie e ha compiuto in questi anni. Prima di tutto come privato cittadino e come imprenditore che guida un impero mediatico, industriale e finanziario. Un ruolo che lo ha esposto a numerosi processi, per comportamenti illeciti che configurano altrettante evasioni tributarie. Qui rilevano solo i principali procedimenti con ricadute fiscali, dunque, e non anche quelli per reati penali di altro genere (come ad esempio il processo per il Lodo Mondadori, per corruzione, o il processo Mills, per corruzione in atti giudiziari, anche questi per altro "risolti" grazie alle leggi ad personam varate nel frattempo dallo stesso governo Berlusconi, come il Lodo Alfano prima, il legittimo impedimento poi).

1) Tangenti alla Guardia di Finanza: Berlusconi è accusato di averne pagate per evitare controlli fiscali su quattro sue società, Mediolanum, Mondadori, Videotime e Telepiù. In primo grado viene condannato a 2 anni e 9 mesi. In appello i magistrati applicano le attenuanti generiche, e quindi scatta la prescrizione. Cioè l'imputato ha commesso il reato, ma per il giudice è scaduto il tempo utile alla condanna.

2) All Iberian 1: Berlusconi è accusato di aver pagato tangenti per 21 miliardi a Bettino Craxi. Viene condannato in primo grado a 2 anni e 4 mesi. In appello, ancora una volta, scatta la prescrizione.

3) All Iberian 2 e 3: in questi altri due filoni di questo processo Berlusconi è accusato di falso in bilancio, con costituzione di fondi neri per 1000 miliardi di vecchie lire, ed evasione delle relative imposte, attraverso quello che i periti tecnici della Kpmg e i pm di Milano definiscono il "Group B very discreet" della Fininvest, cioè il "presunto comparto estero riservato" della finanziaria del Cavaliere. Viene assolto perché "il reato non sussiste più": nel frattempo, alla fine del 2002, il suo governo ha approvato la legge che depenalizza il falso in bilancio e i reati societari.

4) Medusa Cinema: Berlusconi è accusato di illecito nell'acquisto della società cinematografica, per 10 miliardi non iscritti a bilancio. Condannato in primo grado a 1 anno e 4 mesi, viene assolto in appello, ancora una volta con la formula della prescrizione. Il reato c'è, ma i termini per la condanna sono scaduti.

5) Diritti televisivi Mediaset: Berlusconi è accusato dai pm di Milano per appropriazione indebita e frode fiscale per 13,3 milioni di euro. La procura ha chiesto il rinvio a giudizio, ma il processo è stato sospeso, prima per effetto del Lodo Alfano (dichiarato successivamente incostituzionale dalla Consulta), e ora per l'intervento della legge sul legittimo impedimento.

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mercoledì 9 giugno 2010

The Shield: The Final Act, part 1




La discesa agli inferi dello strike team e del suo indiscusso leader Vic Mackey si chiude dunque qui. Dopo anni di intrighi, bugie, doppi giochi, fallimenti personali e successi professionali, il re e il suo esercito personale sono destituiti.

Ma quando è morto veramente lo spirito della sua squadra d’assalto?

Già alla fine dell’episodio pilota, nel momento in cui Mackey, con la complicità di Shane e all’insaputa del resto del team, ha freddato guardandolo negli occhi l’agente Terry, infiltrato dai federali nella squadra per far emergere le responsabilità criminali di quegli agenti; quando hanno deciso di rapinare un treno pieno di soldi della mafia armena o solo di recente, quando Shane ha ucciso, per paura di essere coinvolto, il compagno Lem incastrato dalla disciplinare?

Ognuna di queste risposta è valida. Oppure nessuna di loro lo è. Forse lo spirito cameratesco di fratellanza che sembrava cementare i quattro è sempre stato solo un alibi, una grande menzogna, dietro ai quali si nascondevano tutte le iniziative illegali che lo strike team compiva.

La certezza è che la testa pensante dietro a tutto è sempre stata quella di Vic Mackey. Era lui che stabiliva il campo da gioco, fissava le regole, era lui arbitro e giocatore. Lo stratega, il tattico e anche l’esecutore. Era lui a trovare le soluzioni ad ogni situazione, anche a quella più intricata. Un grande poliziotto che si muoveva nei peggiori ghetti criminali d’america come un luccio fa nello stagno. Uno che se si poneva un obiettivo, nove su dieci lo portava a termine. Uno che ovviamente non badava ai mezzi che occorrevano per raggiungerlo.

L’estensione naturale di questo concetto lo ha portato in fretta alla convinzione che con i rischi che correva e con tutto il tempo che passava nelle strade, mica era giusto che lo pagassero quella miseria.

Gli spettatori sono dunque avvisati sin dall’inizio sulle caratteritiche del personaggio. Eppure decidono di stare dalla sua parte, di schierarsi.
D’ immedesimarsi con lui.

Shane Vendrell è il suo braccio destro, ha imparato tutto da Mackey. A differenza sua però, è solo un farabutto col distintivo. Uno senza scrupoli e con poco cervello. Se mai ha avuto dei valori, li ha dimenticati presto. Quello che ha imparato nel tempo a fianco di Vic, l’ha assimilato distorcendolo, decontestualizzandolo. Il loro è un rapporto di fratellanza che diventa negli anni tragico, asfissiante, shaksperaiano.


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martedì 8 giugno 2010

Little lies, parte 2



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3) Autunno 2004: Berlusconi, sempre capo del governo, interviene alla cerimonia annuale della Guardia di Finanza e, dal palco, arringa così le Fiamme Gialle, impegnate nella lotta agli evasori: "Voi agite con grande equilibrio e rispetto dei cittadini, nei confronti di chi si vuole sottrarre a un obbligo che qualche volta si avverte come eccessivo. C'è una norma di diritto naturale che dice che se lo Stato ti chiede un terzo di quello che con tanta fatica hai guadagnato ti sembra una richiesta giusta e glielo dai in cambio dei servizi che lo Stato ti offre. Ma se lo Stato ti chiede di più, o molto di più, c'è una sopraffazione nei tuoi confronti: e allora ti ingegni per trovare sistemi elusivi che senti in sintonia con il tuo intimo sentimento di moralità, che non ti fanno sentire colpevole...".

4) Primavera 2008: Berlusconi è in piena campagna elettorale, dopo la caduta del governo Prodi. Il 2 aprile interviene all'assemblea annuale dell'Ance, l'Associazione nazionale dei costruttori. E afferma quanto segue: "Se lo Stato ti chiede un terzo di quanto guadagni, allora la tassazione ti appare una cosa giusta, ma se ti chiede il 50-60% ti sembra una cosa indebita e ti senti anche un po' giustificato a mettere in atto procedure di elusione e, a volte, anche di evasione. Noi abbiamo un'elusione fiscale record giustificata da aliquote troppo elevate...".

5) Autunno 2008: Berlusconi ha stravinto, per la terza volta, le elezioni. Il 4 ottobre, di nuovo in conferenza stampa a Palazzo Chigi (immortalato dalle telecamere dei tg delle tre reti Rai) sostiene: "Se io lavoro, faccio tanti sacrifici... Se lo Stato poi mi chiede il 33% di quello che ho guadagnato sento che è una richiesta corretta in cambio dei servizi che lo Stato mi da. Ma se mi chiede il 50% sento che è una richiesta scorretta e mi sento moralmente autorizzato ad evadere, per quanto posso, questa richiesta dello Stato...".


Sul tema evasione fiscale mi permetto di aggiungere un mio ricordo personale. Durante la campagna elettorale delle regionali di quest'anno, Berlusconi arringava la folla con i suoi mussoliniani "volete voi...", ad un certo punto, nel pieno della sua esaltazione da predicatore televisivo americano è arrivato ad urlare: "volete voi che vinca la sinistra e vi tormenti con la sua polizia tributaria???" Come dire, tranquilli che con noi la G.d.F. avrà altro a cui pensare.


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domenica 6 giugno 2010

Ritorno alla città del peccato


Non mi ci metto a cercare di spiegare, lo farei di certo male, quello che ha rappresentato Gram Parsons per la musica, in particolare, ma non solo, per quella country. Potrei limitarmi a dire che il traghettamento di questo genere nell'era moderna è in gran parte merito suo, di quello che ha fatto con l'International Submarine Band, con i Byrds, con i Flying Burrito Brothers e da solo, prima di trovare precocemente (e non di raffreddore, purtroppo) la morte, a soli 26 anni, nel settembre del 1973.

Nel luglio del 2004, su iniziativa della figlia Polly, un manipolo di suoi eredi artistici e fans si è cimentato in un concerto tributo, di seguito immortalato in un cd e un dvd dal vivo. Scrivo del ciddì con un pò di ritardo, consapevole del fatto che in realtà con gli evegreen si è comunque sempre in tempo.

L'album consta di 21 brani, la partenza (con la Sin City All Stars, Jim Lauderdale e Jay Farrar) è molto tirata, quasi a lasciare che la componente rock surclassi quella country, poi si tira un pò il fiato con Raul Malo (ah! che nostalgià dei tempi in cui non cantava così imbolsito...) e si rallenta nella parte centrale, con Steve Earle e Lucinda Williams. Dwight Yoakam ha l'onore di interpretare i pezzi più famosi di Gram, Wheels e Sin City (che era nel "soundtrack" dell'opera a fumetti di Miller, mentre è sparita dalla sua rappresentazione cinematografica), lo fa svolgendo il compitino, senza slanci particolari.


Arriva Norah Jones e insieme a Keith Richards ci lasciamo trafiggere volentieri il cuore dalla straziante Love hurts, poi il chitarrista degli Stones resta solo a cantare Hickory wind. La chiusura vede tutti gli artisti sul palco ad intonare Wild horses e Ooh Las Vegas.


Un'operazione sincera, anche se riuscita solo a tratti. Alcune esecuzioni coinvolgenti, altre un pò scolastiche. Stupiscono un pò alcune assenze tra gli artisti chiamati (Mc Guinn, Crosby e l'amica Hammylou Harris su tutti), ma insomma si sa come vanno queste cose. Dà comunque sempre piacere allo spirito ascoltare le canzoni di Gram, chissà se riuscirò mai anche a vedere il dvd, di questo concerto.


Little lies, parte 1


Dopo la puntata di Ballarò in cui il presidente del consiglio gli ha dato del bugiardo, il giornalista di Repubblica Massimo Giannini ha messo insieme tutto il materiale a sostegno delle sue argomentazioni in studio, e ci ha scritto un bello storico. Probabilmente lo avete già letto o comunque conoscete già tutti i fatti, beh, io l'ho trovato molto utile e visto che è schematico e oggettivo, lo ripropongo.

Evasione, processi e condoni
la favola fiscale del premier

di Massimo Giannini


NELLA sua breve e "inappellabile" telefonata a Ballarò (
qui il video), il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha fornito agli italiani due importanti "notizie". La prima in risposta ad una osservazione effettivamente sollevata in studio da chi scrive. "È una menzogna che io abbia fornito qualunque forma di giustificazione morale ai fenomeni di evasione fiscale". La seconda replicando ad un'accusa che invece nessuno gli aveva mosso: "Non ho mai evaso le tasse, né io né le mie aziende".

Rispetto a queste affermazioni, e affidandosi esclusivamente ai fatti oggettivi della cronaca di questi anni, è utile ripercorrere tutto ciò che è realmente accaduto. Senza giudizi. Senza commenti. Ma attingendo semplicemente alle parole pronunciate dal premier, ai processi nei quali è stato ed è tuttora coinvolto, e ai condoni varati dai governi che ha presieduto.

LE PAROLE

1) Autunno del 2000: Berlusconi è il leader dell'opposizione. Il 15 ottobre è a Milano, e interviene alla festa di Alleanza Nazionale, partner di Forza Italia nella nascente Casa delle Libertà. Ai militanti dell'allora alleato di ferro Gianfranco Fini, il Cavaliere dice, testualmente: "Non ne può più neanche il mio dentista, che paga il 63% di tasse. Ma oltre il 50% è già una rapina... Non volete che non ci si ingegni? E' legittima difesa...".

2) Inverno 2004: Berlusconi è presidente del Consiglio, ha rivinto le elezioni per la seconda volta. In una conferenza stampa a Palazzo Chigi, risponde alla domanda di un cronista e dichiara, testualmente: "Le tasse sono giuste se arrivano al 33%, se vanno oltre il 50 allora è morale evaderle" (
qui il video).
continua

sabato 5 giugno 2010

No future


Dopo la pausa di riflessione causata dall'emorragia di ascolti è ripresa e si è conclusa la prima stagione dell'ambizioso "erede" di Lost, Flash Forward. I quattro mesi sabbatici purtroppo non sono serviti alla produzione per conquistare il cuore degli spettatori americani, se è vero che, dopo una prima puntata incoraggiante (più di 12 milioni di spettatori), la perdita di ascolti è stata continua ed inarrestabile, attestando alla fine l'audience della serie di poco al di sopra dei 5 milioni di fans e portando inevitabilmente alla drastica chiusura del programma.


E' un peccato, perchè, seppur avesse qualche punto debole, Flash Forward nasceva da un' idea sfiziosa (qui la mia prima rece), era sostenuto da un buon cast (Joseph Fiennes, Sonya Walger, John Cho, Dominic Monaghan su tutti) e con un opportuno budget da spendere in effetti speciali. A livello di trama però, dopo un'ottima partenza, la storia aveva rallentato troppo, allontanandosi dal plot originale ed eccedendo in ramificazioni. Questo aveva probabilmente portato al disinteresse del pubblico e al primo stop. Alla sua ripresa la serie ha subito accelerato, portando più azione e cominciando a spiegare qualche mistero dietro al salto in avanti nel tempo che nella storia si è verificato il 6 ottobre. Una maggiore introspezione di alcuni personaggi ( la parte del leone la fa Monaghan, forte del successo in Lost) e il tentativo di dare alla storia uno sviluppo più lineare non sono però serviti ad evitarne la cancellazione definitiva dai palinsesti. Certo, non si può nemmeno dire che la produzione sia stata superstiziosa nel pubblicizzare questo mega progetto che è stato lanciato come successo annunciato e "tarato" ambiziosamente per sei stagioni, con una sicurezza tale da far introdurre nello svolgimento della storia un indizio che indica a Benford e soci la conclusione del mistero nell'anno 2016.


Anche il tempismo dell'annuncio della chiusura non è stato il massimo, considerato che è stato lanciato dalle agenzie prima della puntata conclusiva. In questo senso fa un pò sorridere il cliffhanger finale, visto che la fiction non avrà alcun seguito e non sapremo mai se Benford, le cui ultime immagini , nel più classico dei finali sospesi, lo vedono correre verso la vetrata di un edificio pochi secondi prima che esso esploda, si salverà o meno.

Ma forse ci piace immaginarlo così, intrappolato in un limbo temporale nella posizione plastica della sua corsa al rallenty verso una salvezza (la seconda stagione) che non arriverà mai, vittima ideale della parte sfigata del dominio dei serial sulla tv moderna.