lunedì 26 agosto 2019

Dario Argento, Paura (2014)

Risultati immagini per dario argento autobio paura

Dopo diciannove film per il grande schermo e sei per il piccolo, qualche anno fa Dario Argento decide che è il momento di raccontare sè stesso.
Così, nel 2014 esce per Einaudi Paura, prima autobiografia del regista italiano, che arriva dopo un numero incalcolabile di libri sulla sua arte, scritti da altri, negli ultimi quarant'anni.

Dopo una doverosa premessa sulla sua infanzia (in cui cresce nello studio fotografico delle dive, gestito dalla madre) e la sua formazione artistica, personale e politica (il ruolo sempre più ampio nella testata di sinistra Paese Sera, la "fuga" a Parigi, il suo dichiararsi alla famiglia di fede comunista) finalmente Argento, anche grazie ad un padre inserito negli ambienti cinematografici, riesce a realizzarsi nella settima arte, arrivando a collaborare con un giovane Bernardo Bertolucci e lavorando con Sergio Leone (sceneggiatura di C'era una volta il west).
Dopo una decina di script, ha un'idea, basata molto sulla forma del racconto, sul suo aspetto visivo, più che sulla storia, che presto diventa una sceneggiatura. A differenza delle altre però, questo lavoro Dario non vuole "appaltarlo" a nessuno, ma girarlo da sè.
A seguito di tanti no ricevuti dai produttori gli viene incontro il padre, che riesce a fargli ottenere un contratto per girare il film, a patto di non sforare per nessun motivo tempi e budget di realizzazione.
Il giovane Argento riesce nell'obiettivo, ma il risultato finale è osteggiato dal produttore e anche dal padre, che pur sostenendolo pienamente, gli chiede di apportare delle modifiche.
Dario si impunta, non vuole toccare nulla di quel prodotto che sente come un figlio. E' stremato dalla lavorazione, l'esperienza l'ha talmente provato dal non voler più dirigere un film in vita sua, ma quella pellicola non si tocca, deve andare in sala così.
Alla fine il regista la spunta e ottiene un successo strepitoso.
Il film era L'uccello dalle piume di cristallo.

Da quel momento parte la carriera di regista di Dario Argento, che si dipanerà per oltre quattro decadi e titoli noti in tutto il globo (Profondo rosso, Suspiria, Inferno, Opera, Phenomena) con grandi riconoscimenti soprattutto all'estero e la costante amarezza del regista, che si sente perennemente profeta in patria, data la scarsa considerazione della critica italiana per il cinema di genere, l'horror su tutto. Parallelamente si snoda la vita privata di Dario, gli amori (due matrimoni), l'amore per le figlie Fiore e Asia, i problemi finanziari, una brevissima detenzione, le fobie, la liason con droghe leggere, l'intenso rapporto con il padre.

Paura non è una autobiografia che spicca dal punto di vista letterario, il libro è estremamente scorrevole ma non certo epocale, in alcuni passaggi le considerazioni del regista appaiono davvero schematiche, elementari.
Spesso però su queste pagine mi sono lamentato di altre biografie per il poco spazio che l'autore lasciava alla genesi dei suoi lavori, al racconto della loro realizzazione, alle difficoltà incontrate, alle intuizioni, insomma alle cose che rendono felice un fan adulto, ma dell'età mentale di un adolescente.
Ebbene, dentro Paura ho trovato davvero pane per i miei denti, ogni film del maestro è sezionato e raccontato dallo spunto iniziale all'esito del botteghino e questo, nonostante alcuni passaggi fossero già noti, è probabilmente l'aspetto del libro che ho maggiormente apprezzato.


lunedì 19 agosto 2019

Justified, dalla stagione 3 alla conclusiva 6

Risultati immagini per justified raylan boyd


Rayland Givens (Timothy Oliphant) prosegue la sua battaglia contro il crimine nella contea di Harlan, assieme al gruppo di Marshall capitanati da Art Mullen (Nick searcy) e ai colleghi Rachel (Erica Tazel) e Tim (Jacob Pitts). Nell'eterna contesa tra bene e male, Rayland se la vede con buzzurri e criminali di mezza tacca, ma anche con gli esponenti della dixie mafia, che ciclicamente mandano i loro capetti in quell'angolo del Kentucky, dove è sempre presente l'emissario Wynn Duffy (Jere Burns). Senza mai dimenticare Boyd Crowder (Walton Goggins), amico d'infanzia di Givens nonchè suo autentito doppelganger che, tra alterne fortune, rappresenta la minaccia costante del territorio.
Probabilmente una sinossi così superficiale potrebbe non invogliare alla visione di questa serie della Fox, conclusasi nel 2016 alla sesta stagione. E allora, in fase di commento, aggiungerò che questa è una delle serie crime più divertente degli ultimi anni.

Come scrivevo nella recensione delle prime due stagioni, la forza del serial non sta tanto nelle storie, comunque godibili, visto che sono tratte da racconti di Elmore Leonard, e nemmeno in un particolare lato dark o di estremo realismo dei plot (per intenderci, non siamo dalle parti di The Wire o The Shield), ma da una caratterizzazione talmente avvincente di ogni singolo personaggio, da non temere confronti con nessuna altra produzione di analogo genere.
Timothy Oliphand, che ha (irrimediabilmente?) legato la sua carriera al marshall Rayland Givens, continua imperterrito ad avanzare con lo Stetson sempre calato in testa, come se fosse un estensione del suo corpo, e con la mano appoggiata sulla cintura, sempre pronta ad estrarre. Ma questa è solo una componente, a mio avviso nemmeno la più importante, della ricetta vincente di Justified.

I veri trionfatori della serie sono quasi tutti villain, dal padre di Rayland, Arlo (Raymond J Barry) alle famiglie del posto ( i Crowder, i Bennett, i Crow) in guerra una contro l'altra, in una faida che dura da sempre. Poi ci sono i contributi di caratteristi e guest star straordinariamente in ruolo, che sono durati lo spazio di una stagione o magari anche di una sola puntata (Michael Rapaport; Carla Gugino; Mikelty Williamson; Jeff Fahey; Rob Lowe e un meraviglioso Sam Elliott).
Ma sul podio più alto staziona Walton Goggins, che, con Boyd Crowder (dopo Shane Vendrell di The Shield) dà vita ad un criminale affascinante, scaltro e spietato, tanto pronto a togliere la vita altrui quanto loquace, affabulatore e persuasivo, che si prende la scena, stagione dopo stagione e che solo nella conclusione della final season, attraverso un colloquio con una sua vittima (che incarna a mio avviso lo spettatore medio affascinato dal male) mette le cose definitivamente in chiaro sulla sua personalità.
Un gradino sotto nella mia personale classifica colloco l'intrallazzone Wynn Duffy, interpretato da un Jere Burns perfetto nella parte di un criminale in giacca e cravatta imperturbabile e resistente a qualunque situazione avversa, mai impreparato a qualunque twist e dal piano B sempre a portata di mano.

Ma chissà se una popolazione così ampia e convincente di personaggi avrebbe avuto lo stesso successo in un territorio diverso dalla contea di Harlan. Un territorio che un tempo era noto per le sue miniere (famoso fu un lungo sciopero "risolto" dall'apparizione del country outlaw hero Johnny Paycheck), dove lavorava praticamente tutta la popolazione maschile ed ora scenario povero e desolato, nel quale hillbillies e redneck si trascinano in giro, da un bar all'altro, da una droga ad un'altra, senza nessuna possibilità di redenzione.
Ad Harlan tutti bevono bourbon come se fosse un bicchiere di acqua ghiacciata in una giornata di luglio. Tutti girano armati. Tutti hanno un piano per svoltare. Quasi tutti finiscono ammazzati o in galera, ricordando in questo i perdenti cronici, ma non per questo meno pericolosi, portati sullo schermo dai Coen.

Justified è un grande affresco di questa umanità, da vedere rigorosamente in lingua originale, per godere del meraviglioso accento di quelle parti, una cantilena dolce e pigra, che allunga le vocali e impasta le parole (non fosse per questo basterebbe la voce originale di Sam Elliott a giustificare lo sforzo ai meno avvezzi ai sottotitoli).

Ci mancherà.

Risultati immagini per justified season 6


lunedì 12 agosto 2019

Gotti, il primo padrino (2017)

Risultati immagini per GOTTI IL PRIMO PADRINO POSTER FILM

Dopo una gestazione embrionale durata anni, con progetti che hanno via via interessato registi come Barry Levinson e Nick Cassavetes, ed attori come Al Pacino, Joe Pesci e Chazz Palmintieri, il film basato sulle "gesta" del noto mafioso John Gotti viene realizzato nel 2017 con la regia di Kevin Connolly e con John Travolta nel ruolo principale.

La faccio breve: questo film è una ciofeca sotto ogni punto di vista, ma in particolare per la modalità agiografica di tratteggiare la figura di Gotti, che ne esce quasi come un moderno Robin Hood, mentre le forze dell'ordine fanno, quando va bene, da carta da parati, e quando va male da aguzzini.
Manca cioè del tutto quel minimo punto di equilibrio morale necessario quando si raccontano storie di criminali, al punto che sembra un film prodotto e girato dai mafiosi stessi: Gotti ha un cuore d'oro, ama la sua famiglia, uccide solo altri criminali, aiuta le vecchiette con la spesa, etc. etc. 
Per non parlare di quel debosciato del figlio (Junior), fatto passare da vittima del sistema.
Comparto tecnico e messa in scena da film televisivo di basso livello, recitazione di Travolta talmente sopra le righe da risultare quasi folkloristica. 
Cosa si salva? Forse trucco e parrucco.

Statene alla larga come dalla peste.

lunedì 5 agosto 2019

I migliori della vita: Bryan Adams, Reckless (1984)

Risultati immagini per bryan adams reckless

Potenza di uno spot fatto bene. Il recente commercial della DHL , che utilizza Bryan Adams e il suo brano Summer of 69 per celebrare i cinquant'anni dalla nascita del gigante logistico americano, mi ha portato in un batter d'occhio indietro di oltre trent'anni, quando i miei ascolti erano monotematicamente orientati al blu collar rock, dentro al quale il canadese Bryan Adams aveva un posto di rilievo.
Così ne approfitto anche per ribadire il profilo di questi post celebrativi, che non riguardano necessariamente capolavori assoluti della musica, ma molto più semplicemente dischi ai quali sono legato, anche solo da un legame affettivo, che può prescindere, e di certo prescinde, dal valore oggettivo dell'opera.

Nel caso di specie, Reckless è un album di rock mainstream che inanella un numero impressionante di anthem, tanto da configurarsi alla stregua di un greatest hits di inediti,
e basta leggere la tracklist per capirlo. 
Ma sull'analisi delle canzoni ci torno, prima c'è da considerare come il successo dell'album fu tutto, meno che frutto del caso o di un colpo di fortuna, se è vero che Adams ci lavorò per mesi, facendo e disfacendo più volte (come nel caso di Run to you, oltre un anno di gestazione, o di Summer of 69), a dimostrazione di una costante insoddisfazione, propria dei grandi artisti.

Rimettere su il vinile oggi è un vero e proprio tuffo nel mio passato. Non ho comprato il disco in tempo reale (1984), ma solo qualche anno dopo la sua uscita, tuttavia le sue note accompagnano un periodo della mia giovinezza felice, spensierato e inebriante, che le canzoni del disco ben riannodano.
A partire da One night love affair, midtempo d'apertura di grande fascino, con la voce squisitamente roca di Bryan messa nelle migliori condizioni per fare breccia immediata nel cuore dell'ascoltatore.
Da lì comincia un viaggio che ti impediva di estrarre la cassetta dall'autoradio (se non per cambiare verso) per tutti i trentotto minuti di durata del disco, attraverso un viaggio che, per il lato A del vinile si manteneva su un mood più midtempos, non lontano dalle atmosfere AOR tanto in voga in quel periodo, enfatizzate al loro massimo dall'unico lento del lotto, quell'Heaven presenza fissa di qualunque compilation di ballate che abbiamo preparato speranzosi negli ottanta, oltre che per i singoli Run to you e Somebody, ma che aspettava il lato B per darci dentro davvero, a partire dall'anthem autobiografico Summer of 69 e attraverso la canzone manifesto Kids wanna rock e il duetto con Tina Turner It's only love, per avviarsi alla conclusione senza mai prendere fiato con il rock 'n' roll di Long gone e l'ultima sferzata, appena venata di southern, rappresentata da Ain't gonna cry.

Insomma, Reckless è l'indiscussa pietra miliare di un certo tipo di rock, commerciale, effimero, per molti forse anche vecchio (e non vintage), ma che a me smuove ancora molto. Perchè, come si dice, al cuore non si comanda...