giovedì 26 giugno 2008

The last waltz?

I die-hard fan sono una noia mortale. In genere sono snob e saccenti, guardano col sopracciglio alzato i neofiti, indifferenti e scostanti di fronte al loro entusiasmo. Contano i peli del culo all’oggetto del loro culto, a volte perdendo di vista il valore complessivo di ciò che stanno giudicando.
Faccio questa premessa per dire che in questa recensione emergeranno delle critiche al concerto di Springsteen di ieri a Milano, concerto che per molti versi, nonchè per molti critici e fans è stato perfetto, trascinante, “epocale”.
Per buona parte la penso anch’io così, d’altro canto basta scorrere la scaletta (nel post sotto) e si capisce subito che un concerto che inizia con Summertime blues e si conclude con il Detroit Medley (Devil with the blue dress/Good golly miss Molly/CC Rider) e Twist and shout non ha bisogno di grosse analisi.
Quello di ieri sera è stato senza dubbio uno degli show più “tirati” a cui io abbia mai assistito, tra gli show di Bruce che ho visto. Pochissimi i pezzi lenti e introspettivi, grande voglia di stupire, di divertire senza fronzoli, di tornare ai tempi dei tour di venticinque anni fa, facendo ballare fino allo sfinimento il pubblico.
Concerto senza tempo anche per la scelta dei brani, attinti a piene mani dai dischi più amati, Born to run, Born in the USA, letteralmente saccheggiato Darkness on the edge of town, solo cinque pezzi dall’ultimo, non troppo amato, Magic. Chicche come Racing in streets, None but the brave, Candy's room,Spirit in the night,Rosalita. Record di canzoni suonate (29 per quasi tre ore) in questo tour.


Gli aspetti negativi anticipati in premessa sono a mio avviso altrettanto importanti.
La E Street Band non c’è più. Cioè, resta l’incredibile sintonia tra il gruppo e il suo leader, che sa di poter cambiare, togliendo e/o inserendo brani (confrontate la setlist prevista con quella definitiva e ne avrete la conferma) dalla scaletta a piacimento, con un preavviso di pochi secondi, sicuro di essere seguito dalla prima all’ultima nota dai suoi musicisti, ma quello che è perso è il ruolo centrale che la band aveva nei suoi momenti migliori, mentre oggi è ridotta a fare quasi da triste comparsa in un film che ha un unico protagonista.
Probabilmente dipenderà anche dallo scorrere del tempo,Clarence Clemmons è segnato dall’età e dal peso, è stanco e lento nei movimenti, fa quasi tenerezza. E’ quasi la controfigura del gigante nero, possente e autorevole, che aveva un ruolo scenico centrale negli show.
Little Steven mi è parso imbolsito e svogliato, fosse stato un calciatore avrei detto che non è mai entrato in partita, anche lui in passato era molto di più del chitarrista del gruppo, con le sue movenze, le sue inconfondibili parti vocali e le sue gag rappresentava un pezzo dell’anima della band.
Poi manca Danny Federici, e se la sua presenza dal vivo passava visivamente in secondo piano, la sua assenza si fa notare in modo eclatante.
Si salva il sempre ottimo Nils Lofgren, mentre gli altri svolgono senza sbavature il compito assegnato.
Bruce ci mette tanto mestiere, paraculeggia però troppo(anche in favore di telecamera, tanto da adombrare il sospetto che stia preparando un dvd dal vivo da questa serata) e concede spazio come mai prima al suo pubblico. La sua decisione di interpretare diversi brani a richiesta (richieste espresse attraverso cartelli tenuti dai fans nel pit) mi ha un po’ intristito, lui in versione juke box non è un bel vedere, mi ha ricordato gli ultimi show di Elvis Presley in cui avvenivano in maniera programmata queste cose.
Nel complesso condivido l’opinione di Filippo che ha trovato l’atteggiamento di Springsteen troppo autocelebrativo, e aggiungo io, molto meno spontaneo del passato.

In molti, tra fans e giornalisti, si chiedono se abbiamo assistito all’ultimo concerto della E Street Band, io lo spero.
Siamo al limite della credibilità, devono fermarsi qui, proseguire sarebbe patetico, non credo potrei sopravvivere ad un "farewell tour".
Per quanto concerne Springsteen invece (cazzo, tutto un post senza chiamarlo mai boss!), stupisce sempre l’energia che tira fuori alla soglia dei sessanta; nel suo caso quando si parla di tre ore di concerto, sono tre ore in cui lui è sempre lì sul pezzo, spesso sulla passerella a contatto con i fans, a controrcersi sull’asta del microfono o a maltrattare la sua telecaster.
Lui credo abbia ancora forza e ispirazione per continuare a livelli consoni. Deve però necessariamente chiudere un capitolo della sua vita artistica ed aprirne un altro, libero da abiti che non lo vestono più come una volta.

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