lunedì 15 giugno 2009

Rock in Idro 2009



Ormai Patrizio non lo aspetto più da anni. Quando il giorno prima ti dice: “dovrei farcela”, sai benissimo che non verrà. Nemmeno se tornano in Italia dopo vent’anni i Pogues. Non sto nemmeno lì a sprecare un sms per chiedergli perché. Ecco cosa si è perso:

Gaslight Anthem




Entro nel palazzetto verso le 16, proprio mentre attaccano i GA, che mi sembra confermino quanto di buono emerse dall’ascolto dell’album. Freschi, diretti, onesti. Saturano tutto il tempo a loro concesso suonando una canzone via l’altra senza mettere del tempo tra un brano e l’altro. Il cantante trova il tempo di dire due parole solo alla fine del set. Devono un po’ crescere, neh, i brani si somigliano un po’ tutti. Se azzeccassero un paio di refrain come dio comanda potrebbero anche farcela.
All American Rejects

Salgono sul palco gli AAR, il cantante è uno spilungone vestito con jeans attillati e camicia bianchi. All’inizio sembra divertente, è tarantolato e già dal primo brano cerca di far cantare il gruppetto di spettatori sotto il palco. Ma il feeling non si accende, e così poco dopo diventa incazzoso, con i soliti fuck di qua fuck di la intercalati ad ogni parola. Qualcuno devi avergli fatto capire che aveva rotto perché chiude mandando a cagare la gente e i Floggin Molly, a cui cede il posto. Da segnalare le buone esecuzioni di Top of the world e Gives you hell.

Flogging Molly



Un boato accoglie i Flogging Molly, e non sto esagerando. Il parterre si è riempito, segno che la fama dei sette cresce. Ottimo. La simpatia del gruppo americano-irlandese è contagiosa, ma quando parte la musica non si scherza più. Paddy’s lament apre le danze (letteralmente intendo), poi Requiem for a dying song, Seven deadly sins, Drunken Lullaby, Tabacco road, What’ s left of the flag, Float. Una gig al calor bianco. Dave King incita al ballo (come se ce ne fosse bisogno…) e il pogo sotto il palco è ininterrotto. Peccato non resti il tempo per un brano come Swagger.
Al momento , senza dubbio, una delle mie band preferite.

Gogol Bordello


Molta gente è qui anche per Gogol Bordello, infatti sotto il palco si registra un bel pienone. E il gruppo di Eugene Hutz regala un ottimo spettacolo, senza fronzoli o atteggiamenti posticci. Not a crime è una bolgia, Start wearing purple una festa interminabile. Hutz lascia spesso i riflettori ai suoi musicisti, il gigantesco violinista, il piccolo tastierista/ rapper/ intrattenitore colombiano (in un pezzo si esibisce con una maschera caratteristica della lucha libre Messicana), le danzatrici.
A fine set la band si ferma a lungo a salutare il pubblico, si capisce che avevano appena iniziato a scaldarsi.

Social Distortion



Mike Ness è proprio un tipo figo. Cool, per rendere meglio l’idea. Tatuaggi a parte sembra un tizio d’altri tempi, da noir americano degli anni trenta. Ha stile, uno sguardo impenetrabile, non si scompone mai. Passa metà concerto a litigare con l’uomo del mixer, ma lo fa senza sbracare. Al massimo alza un sopracciglio e quello capisce che proprio non ci siamo.
Finalmente, dopo una mezza dozzina di pezzi, sulla cover di Ring of fire tutto va a posto e Mike si rilassa. Erano già passate tra le altre The creeps (il brano d’apertura, introdotto da Strange Fruit di Billie Holiday) Mommy’s little monster ed Another state of mind. Per inciso, la gente se ne batteva il cazzo che il sound fosse imperfetto e ci dava dentro lo stesso alla grande.
Arriveranno anche Higway 101, Reach for the sky, Nickels and dime, Bad luck,Ball and chain prima degli encores (i Social Distorion sono il primo gruppo della giornata a permetterselo) nei quali Mike finalmente dice due parole (“come va gente? Ma che cazzo è successo, pensavo di suonare in un parco!”) e regala un inedito dall’attesissimo nuovo album (“so che deve uscire da un pezzo, ma ci stiamo ancora lavorando su”), il brano si chiama Still alive. Chiude lo show The story of my life. Ottime vibrazioni.

Babyshambles

Cazzo, al bar una coda pazzesca per prendere il caffè peggiore della storia della ristorazione (e pagarlo un euro e cinquanta, perdipiù). E vogliamo parlare delle bottigliette d’acqua da mezzo litro a due euro? Eh?
All’esterno hanno montato un palchetto sopra un pullman, e sopra ci sta suonando una band italiana di rockabilly, i Dragons.

C’è anche uno stand coperto dove vendono ciddì, magliette, pizze, panini con la salamella e Heineken. Tra il merchandising ufficiale della manifestazione mancano le t-shirts dei Pogues, come mai domando, arriveranno più tardi, mi rispondono. Ma loro saranno arrivati? Dense nubi nere si addensano sulla ragione principale della mia presenza al Rock in Idro. Ad ogni modo compro una T-Shirt dei Gaslight Anthem, che la maglietta con la quale sono arrivato è un sudario.

P.S. Puoi anche mettere una band che deve esclusivamente al gossip la sua fama subito prima degli headliner, ma il bluff dura poco. Pete Doherty e i suoi salgono sul palco, la gente esce.
I Babyshambles suonano di fronte a due-trecento persone, che dopo un po’ cominciano ad invitarli ad andare a zappare la terra.

The Pogues


Si fanno aspettare, ma lo immaginavo. Sistemare tutti i suoni degli strumenti degli Irlandesi richiede sempre un po’ di tempo. Sotto il palco un gruppo di ragazzi intona in loop The wild rover. Si stringono alleanze in vista del pogo che da li a poco spazzerà il pit come un vento torrido.

Alle 23:30 circa si spengono le luci e sulle note di Straight to hell dei Clash arrivano sul palco gli inventori del Combat folk. Rispetto al concerto di quasi tre anni fa a Brixton li vedo da vicino e a parte Spider, li trovo molto invecchiati. Phil Chevron non è uscito indenne dal brutto male che l’ha costretto ad uno stop due anni fa, appare dimagrito e affaticato.
Per Shane valgono le considerazioni fatte per il
concerto di Londra, però in compenso mi è sembrato sereno, molto easy, quasi a suo agio a calcare le assi del Palasharp ( vi sembra poco?!?).
Partono come prevedibile con Streams of whiskey, poi arriva
If i should fall from grace with god.Come consuetudine dopo due-tre pezzi Mac Gowan torna in camerino e lascia la band a suonare un brano senza di lui ( alla fine saranno tre le canzoni eseguite senza il frontman:Repeal of the the licensing laws, Thousands are sailing e Thusday morning) .
A differenza degli altri gruppi che hanno scelto di sfruttare il tempo limitato a loro disposizione per suonare la parte più veloce del loro repertorio, i Pogues sembrano quasi fare la scelta opposta, piazzando in poco più di un ora un discreto numero di pezzi lenti, The broad majestic Shannon, Kitty, Dirty old town, Rainy night in Soho, Thousands are sailing oltre a Sayonara e Sunny side of the street che insomma non sono esattamente le canzoni che danno luogo al consueto pandemonio. Rimangono purtroppo fuori pezzi importanti come Fairytale of New York, The old main drag, Pair of brown eyes, le mie amatissime Irish Rover e Boys from county hell.
Chiude il set The sick bed of Cuchulainn. Apre gli encores Sally Mac Lennanne e dopo Fiesta si va tutti a casa.
I Pogues non sono giudicabili attraverso i normali metri di giudizio. Sono una cosa a parte, altrimenti uno non si dovrebbe neanche prendere il disturbo di andare a vedere una band il cui cantante non si regge letteralmente in piedi. Loro sono così, e finchè dura prendere o lasciare.

La prima giornata del Rock in Idro ha portato al PalaSharp punte di circa due-tremila persone, non esattamente un tripudio, ma diciamo che oggettivamente mancava tra i gruppi presenti, quello capace di trascinare le masse. Gli organizzatori dovranno fare una valutazione complessiva dopo la giornata del 14 giugno, che vede tra gli altri la presenza dei Faith No More. Per quanto mi riguarda mi sono divertito, lo dico soprattutto per quel sola di Patrizio. Alla fine sono persino riuscito a trovare una T-shirt dei Pogues…

TUTTE LE FOTO DEL POST SONO COPIATE DA QUESTO SITO

1 commento:

Filo ha detto...

Mi hai fatto venire voglia di ascoltare "Rum, Sodomy and Suevele".