martedì 31 maggio 2011

Saxon: hungry years 1979/1984



Non c'è niente da fare,ancora oggi, superata la boa dei quaranta, sono i vecchi dischi di heavy metal a scaraventarmi, come un tuffo da una scogliera, dritto nel mare più profondo della musica che mi eccitava da ragazzo. A sto giro tocca ai Saxon che sono tornati a monopolizzare i miei ascolti a partire dal momento in cui ho rimesso in circolo, a oltre cinque lustri di distanza dall'ultima volta, Denim and leather.




Ci fosse qualcono che non li conosce, i Saxon sono, insieme agli Iron Maiden, Motorhead,Judas Priest ed altri, una delle formazioni di punta della New Wave of British Heavy Metal. Tra i membri storici della band, Biff Byford (voce), Paul Quinn (chitarra), David Ward (batteria), Steve Dawson (basso), e Graham Oliver (chitarra), solo i primi due fanno ancora parte della formazione attuale della band.




Il debutto è del 1979, con l'album che porta il nome del gruppo. Il disco documenta un'attitudine più ad un rock veloce che al punk ma lascia intravedere il potenziale della band e contiene almeno tre pezzi (Backs to the wall, Stallions of the higway e Big teaser) che hanno un loro perchè.




L'anno dopo gli inglesi fanno il botto. Nel giro di pochi mesi escono infatti due dischi, Wheels of steel e Strong arm of the law che pongono le fondamenta della loro affermazione grazie a brani come Motorcycle man, 747 (Strangers in the night), Machine gun, Wheels of steel, Suzie hold on, Heavy metal thunder, Dallas 1 pm e 20.000 ft. che permettono al combo di raggiungere i loro migliori risultati commerciali (entrambi furono dischi d'oro) in UK.





Ma è con i successivi due lavori che a mio avviso i Saxon raggiunsero il loro apice creativo. Il primo(1981) è Denim and leather che è, in prospettiva, praticamente un greatest hits fatto di pezzi inediti visto che contiene i più noti anthem della band: Princess of the night, And the bands played on, Never surrender, Play it loud, la title track. In pratica un manifesto dell'heavy metal, con un suono (ovviamente) strutturato sulle chitarre che ricamano a ripetizione riff blues accelerati o strutture boogie (non così lontane dai parenti australiani AC/DC).




Dopo aver pubblicato quattro album in due anni ed essere stati sempre in tour, la band si prende una piccola pausa di riflessione. Nel 1982 esce la testimonianza live The eagle has landed (di cui scriverò perchè è stata la mia iniziazione al metal) e l'anno dopo è la volta del nuovo lavoro di studio: Power and the glory.


Ebbene, riascoltata oggi è questa probabilmente la loro opera più compiuta. La produzione riesce a conciliare un'ottima pulizia del suono con una potenza di fuoco ragguardevole. La sezione ritmica non è mai stata così esaltata prima, e i primi tre pezzi del disco sono forse quelli più potenti di sempre nella storia dei Saxon. La title track, Redline e Warrior lasciano letteralmente senza fiato, così come This town rocks, più avanti. Ma parlavo di lavoro più compiuto perchè, a differenza dei suoi predecessori,con Power and the glory Biff e soci tentano di ampliare i loro orizzonti sonori. Per la prima volta spazio quindi ad una ballad, la convincente Nightmare (con la quale furono ospiti anche a Sanremo in un'esibizione che a rivederla oggi fa sorridere) e alla melodia di Watching the sky. Ma anche alla conclusiva The eagle has landed dal suo lunghissimo intro strumentale in odore di Pink Floyd. Un disco della Madonna, credetemi.





Ma anche l'inizio della fine. Perchè il diversificare il sound ha fatto probabilmente credere ai ragazzi di poter tentare il grande salto commerciale e li ha portati ad elaborare e realizzare una schifezza indecente come Crusader che pure ha venduto, ma che ha compromesso la loro credibilità tra i fan del metal. Tolta la title-track che si salva dal naufragio generale, infatti, il tentativo è quello di sfondare nel pop-metal (o glam-metal o hair-metal che dir si voglia), genere allora in fortissima ascesa, ma evidentemente non nelle corde dei Saxon. Ne deriva un lavoro inascoltabile, insincero, maldestro. Run for your lives, il pezzo conclusivo del disco è probabilmente la traccia di ambito metal più brutta che sia mai stata incisa nella storia di questa musica (vi dico solo che ad un certo punto ci sono cori da stadio campionati che fanno aleee-oooo manco fosse un disco di Baglioni).











Oggi,quasi trent'anni dopo, la band è ancora in giro, ha appena pubblicato un album (Call to arms) e di recente è passata anche dall'Italia per promuoverlo. E' entrata nel novero delle band metal storiche alle quali però i ragazzi chiedono sempre gli stessi pezzi. Quelli degli inizi. Considerato che parliamo di quattro album sui diciannove complessivamente pubblicati, non si può certo parlare di una carriera straordinaria. Ma di musica che scalda il cuore di un vecchio dinosauro, quello si, dai.




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