martedì 9 marzo 2010

Testamento



Niente futili orpelli o colpi di teatro nell'ultimo capitolo della saga Rubin/Cash. Nessuna intuizione ad effetto, come la cover di Personal Jesus, restituita alla sua matrice blues più pura, o come la stupefacente versione di Hurt dei NIN. In questo sesto episodio del progetto che ha rilanciato l'uomo in nero, la centralità assoluta della scena è lasciata ad un essenziale strumetazione di accompagnamento e alla voce di Cash, stremata, dolente, strascicata, greve.

E non potrebbe essere altrimenti, viste le condizioni fisiche e psicologiche (la grave malattia legata al diabete e il lutto della amatissima moglie June Carter) che affliggevano Johnny e che lui si è imposto di ignorare pur di continuare a registrare fino alla fine, lasciando, pare, una montagna di materiale inedito (solo in parte già pubblicato nel cofanetto Unearthed). Le ultime canzoni presenti in questo album postumo sono state incise nei primi giorni di settembre 2003. Johnny Cash morirà il 12 di quel mese.

Ain't no grave contiene dieci tracce, per un timing che supera di poco la mezzora. Le cover, che rappresentano la maggioranza dei pezzi in lista, sono pezzi poco noti di artisti nella migliore delle ipotesi coetanei di Cash, unica eccezione a questa regola, Redemption day di Sheryll Crow.
Apre la spettrale title track, originariamente scritta da Claude Ely nel 1953, che non può che essere definita come un capolavoro assoluto. Sostenuta da un incedere sofferente, con una ritmica che ricorda vagamente le cose rumoriste di Tom Waits (a proposito, che bello sarebbe sentire una sua versione di questo pezzo), la traccia spalanca all'ascoltatore le porte dell'oscurità. L'uomo in nero è pronto per il suo ultimo viaggio, venite a prenderlo, ne ha passate così tanto, ha avuto e perso tanti e tali cose da non temere più niente. Aspetta solo di sollevarsi dalle miserie della madre terra:
When I hear that trumpet sound I'm gonna rise right out of the ground /Ain't no grave can hold my body down / Well, meet me Jesus, meet me / Meet me in the middle of the air /And if these wings don't fail me / I will meet you anywhere /Ain't no grave can hold my body down / Well, meet me mother and father, meet me down the river road / And momma you know that I'll be there when I check in my load / Ain't no grave can hold my body down (se volete potete ascoltarla qui, a corredo di un altro mio breve post).

For the good times (di Kris Kristoffen, un altro grande vecchio combattente) probabilmente concepita come una canzone d'amore/d'abbandono si trasfigura invece in una struggente ultima dedica a June: Don't look so sad, I know it's over /But life goes on, and this old world will keep on turning/ Let's just be glad we had some time to spend together / There's no need to watch the bridges that we're burning
Da segnalare anche Satisfied mind (Porter Wagoner) e I don't hurt anymore, portata al successo da Dinah Washington.

Chiude il lavoro Aloha Oe, saluto hawaiano reso celebre sotto forma di canzone da Elvis Presley nel suo Blue Hawaii. E stavolta Cash sceglie un commiato quasi ironico, irriverente per certi versi rispetto alla cifra stilistica del disco. E' una conlusione che un pò spiazza, ma che in qualche modo si armonizza bene con il resto. Questo è quanto gente, non siate tristi. Vivete la vostra vita e Aloha Oe a tutti.

Un testamento in musica e versi.

1 commento:

iacopo ha detto...

Ce l'ho sul desktop...aspetto di avere una mezzoretta di pace per dargli il giusto ascolto.