Il progetto Nothin' but a good time (che prende il titolo dal brano manifesto dei Poison) è stato innanzitutto un libro, un racconto orale con le testimonianze dei protagonisti, raccolte dai giornalisti musicali Tom Beajour e Richard Bienstock. La filosofia del volume è ripresa paro paro da questo documentario, diviso in tre episodi, e diffuso da Paramount +.
La carrellata è impietosa nel mostrarci i segni del tempo su corpi e visi degli allora figoni in spandex e lacca: corpi flaccidi, pelli cadenti, alopecie maldestramente occultate da cappellini improponibili e bandane grosse come l'Ohio. In qualche caso, come per Jack Russell, leader dei Great White, l'intervista è avvenuta poco prima della morte (agosto '24) e infatti le sue condizioni ci appaiono veramente al limite.
I commenti a corredo delle immagini (che vanno a ripescare anche il fondamentale volume due de The decline of western civilization) spiegano bene cos'è stato quel periodo. Il sunset strip, la via di Los Angeles affollata di locali in cui le band si esibivano, è stata per qualche anno come Hollywood, solo che invece di aspiranti attori, quel boulevard accoglieva tutta una nidiata di giovanotti che arrivavano anche dalla più remota provincia americana agghindati da manuale, con o senza band, convinti che un bel faccino sarebbe bastato per farli sfondare. E per un pò ha funzionato, anche perchè le major mettevano sotto contratto a ciclo continuo, o meglio a catena di montaggio, una volta capito che il modello funzionava.
Ciononostante, la qualità della musica ha raggiunto anche picchi di autentica qualità: i primi due lavori dei Crue, lo sleaze di Hanoi Rocks e LA Guns, prodomico all'avvento dei GNR, il blues zeppeliniano delle due band White (i Great e Lion) e, sì, chiaramente, il pop appena diluito di aggressività di Poison, Warrant e, ad un certo punto, Def Leppard.
Grande ruolo nell'esplosione del genere è da attribuire a MTV che, attraverso video spesso infarciti di misoginia, determinava vita e morte degli artisti: la vita, nel caso ad esempio di GNR e Def Leppard, i cui masterpiece Appetite for destruction e Hysteria partirono male ma, grazie alla rotazione dei video di Welcome to the jungle e Pour some sugar on me vennero catapultati nell'olimpo delle vendite (oddio, nel caso dei Leppard c'è anche una storiella sugli strip clubs della Florida...), e nel male: quando in un episodio dell'irriverente cartone animato Beavis and Butt-head i due character prendono per il culo un ragazzino cicciottello con la maglietta dei Winger, producono, involontariamente, un autentico tracollo per la band, che è addirittura costretta a cancellare il tour negli States.
La fine arrivò per tutti all'alba dei novanta, e fu così repentina che vide contratti strappati dall'oggi al domani, budget azzerati e video musicali interrotti durante le riprese. Black out, interruttore giù e major che si scapicollavano a nord, dal sole della California a Washington e al drizzle di Seattle, a sfoggiare camicioni di flanella a scacchi e a spompinare il nuovo fenomeno musicale per cui i kids impazzivano.
E, beh, anche questo è molto americano.

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