lunedì 29 settembre 2025

Skunk Anansie, The painful truth

Tracciamo qualche coordinata. Era il 1996 e nei cinema italiani usciva Strange days della Bigelow. Un film che a tutt'oggi resta uno dei mei preferiti tra i "moderni". La colonna sonora, il cui CD acquistai ad occhi chiusi, recitò un ruolo significativo nella riuscita del film e dentro la colonna sonora Selling Jesus degli Skunk Anansie fece da formidabile traino per il lancio della band. 
Da allora il gruppo guidato dall'inconfondibile voce e presenza di Skin ha fatto il suo percorso composto da sette album (a cui vanno aggiunti i due solisti della frontwoman), ma sul blog non ne ho mai parlato. E non è che fossi distratto, semplicemente dopo l'epifania iniziale, quello che girava in termini di singoli e video non mi ha mai fatto venire la voglia di approfondire. Cioè, quella confidence zone fatta di ballate e midtempo, costruita su misura per esaltare l'ugula di Skin, proprio non confaceva ai miei gusti. 

Qualche settimana fa inserisco The painful truth, il loro ultimo lavoro, nella chiavetta USB che uso in auto (sono anziano, eh), ma non lo ascolto mai, finchè, per il caso determinato dal fatto che gli album sono riprodotti in sequenza alfabetica, terminato il disco di Samantha Fish parte il lavoro degli Skunkies, e parte con una traccia sensazionale, destinata ad entrare nel novero delle mie migliori dell'anno. A quel punto, maledetti, mi hanno agganciato.

La traccia è An artist in as artist, una sorta de L'avvelenata in abito rock, se mi passate il paragone, dove Skin rivendica orgogliosamente la sua postura artistica ("An artist is an artist/Without followers or fartists/Without comments, without views, without consequence/They ain't here for your pleasure/Changing up like British weather") e tanta è l'urgenza comunicativa che il frenetico cantato lambisce il rap. Pezzo della madonna, davvero, non ho la necessaria conoscenza della discografia della band per dirlo, ma nel mio piccolo questo è il tiro che vorrei sempre da Skin e soci.

Ovviamente gli Skunk Anansie non abdicano dal sound che li ha visti affermarsi al grande pubblico, perciò This is not your life è esattamente quello che ti aspetti da loro, così come Shame o Lost and found, che con l'inizio a cappella enfatizza la clamorosa pulizia della voce di Skin (come mi piacerebbe vederla misurarsi col classic soul). Devo ammettere che fosse stato per questi brani, sebbene oggettivamente validi, avrei abbandonato l'ascolto, e invece qualche perla che aumenta le battute lungo la tracklist l'ho ancora scovata, come Cheers, Fell in love with a girl e, soprattutto, Shoulda been you, centrato omaggio ai primi Police.

Colpo di coda.


giovedì 25 settembre 2025

Recensioni capate: Un uomo perbene (1999)


In attesa della distribuzione a inizio 2026 di Portobello di Marco Bellocchio, la nuova serie che si occupa del "caso Tortora" (il tempismo, ahimè, a ridosso del referendum sulla separazione delle carriere, temo ne favorirà la strumentalizzazione propagandistica del governo, benchè il contenuto della proposta di legge niente abbia a che vedere con la responsabilità dei magistrati), sono andato a recuperare la prima produzione cinematografica che si è occupata del caso: Un uomo perbene, girato da Maurizio Zaccaro. Il film può essere preso a caso di scuola di come spesso non bastino le buone intenzioni. Ci teniamo quelle, il grande valore civile e divulgativo del più noto e kafkiano caso di persecuzione contro un uomo innocente, ma il risultato è ai limiti dell'inguardabilità. C'è poco da aggiungere, il film, nonostante un buon cast (Placido, Accorsi, Melato, la Mezzogiorno, Gemma) è pessimo sotto ogni punto di vista. La regia è piatta, da fiction televisiva, ma a livello Gli occhi del cuore e le recitazioni ne risentono, non riuscendo mai ad essere convincenti, Leo Gullotta è parodistico, nonostante il ruolo assegnatogli (il pentito Pandico) poteva essere il più stimolante, per un attore. La narrazione in flashback e flashforward aveva delle potenzialità, ma è gestita male, fino ad arrivare ad una sciatteria inqualificabile nella caratterizzazione dei personaggi, che mette in bocca a Pasquale Barra (O'Animale) un dialetto siciliano, lui che era camorrista campano. 
Sicuramente faranno di meglio Bellocchio e Gifuni, ma, onestamente, ci vuole poco.

Prime

lunedì 22 settembre 2025

I delinquenti (2023)

Moràn è un grigio impiegato di banca di Buenos Aires, dall'esistenza monotona e scandita dall'abitudinarietà. Decide di deviare il corso già scritto della sua vita sottraendo denaro al suo istituto di credito, farsi arrestare e godersi il malloppo dopo qualche anno di carcere. Perchè ciò funzioni ha bisogno di un complice, e, a cose fatte, lo individua in Romàn, un collega incredulo e restio al coinvolgimento, che però, sotto ricatto, accetta. 


Approfitto della promozione estiva di Mubi (sei mesi a quasi un terzo del prezzo dell'abbonamento) e comincio a buttare un occhio ai titoli in catalogo. Parto con questo film argentino di Rodrigo Moreno perchè, lo ammetto, la sinossi sembra essere quella di un heist movie. Niente di più sbagliato, o meglio, potrei azzardare che I delinquenti stia all'heist movie come Fino all'ultimo respiro di Godard sta al noir. Siamo cioè nel campo in cui una manifestazione artistica libera prende a pretesto un genere popolare per esprimersi liberamente. E mai "inganno" si è rivelato più felice di questo.

Faccio un parallelo con la nouvelle vague perchè ritrovo molti dei suoi elementi dentro la pellicola di Moreno che, in tre ore di film, utilizza il furto esclusivamente come perno sul quale agire per mettere in scena l'alienazione, la libertà autentica (anticonvenzionale, sessuale, anti-capitalistica), le maschere che portiamo, la fragile stabilità su cui è costruita la nostra vita, le convenzioni sociali alle quali soccombiamo.

Moràn (un Daniel Elias bravissimo a lavorare per sottrazione), come il Belluca di Pirandello (anche lui contabile, casualmente), ad un certo punto della sua vita sente "il fischio del treno" e decide di rivoluzionare il suo destino. Il repentino raggiungimento di questa consapevolezza avviene però fuori scena,  lo spettatore assiste alla mutazione del personaggio senza indizi, ne deriva che il momento del furto è privo delle canoniche fasi preparatorie e spogliato di qualunque escalation di tensione, viceversa elemento irrinunciabile di qualunque heist movie.

La narrazione è sostanzialmente divisa in due scenari, il primo nella capitale argentina, ripresa negli aspetti più negativi delle grandi metropoli, il grigiore, l'indifferenza della gente per strada, la solitudine, l'alienazione, le abitazioni che tentano di essere abbellite ma risultano opprimenti e, come contrasto, i luoghi naturali di una bellezza indescrivibile dell'Alpa Corral, regione selvaggia a circa settecento chilometri di distanza da Buenos Aires, dove, chi ha scelto di viverci, ad esempio la giovane Norma (Margarita Morfino) assieme alla sorella e gli amici,  lo fa all'insegna della vita frugale, della simbiosi con la natura e della più completa libertà, a spregio di ogni ipocrita convenzione sociale. Ad un Moràn, visitatore occasionale che le dice di volersi trasferire lì risponde che tutti i cittadini lo affermano, ma poi non trovano il coraggio di farlo. In seguito, quando Norma passa del tempo a Buenos Aires trova noiosa la metropoli e patetico il suo piagnucoloso partner che fallisce nel tentativo di ricattarla emotivamente, ponendosi d'ostacolo al suo essere anticonvenzionalmente libera.

Le sezioni del film - una storia nella storia - che si svolgono all'Alpa Corral sono quelle che più lo affrancano dalle consuete dinamiche heist/crime e più richiamano, nei tempi dilatati, nell'andare fuori tema, la nouvelle vague. Entrambi i protagonisti maschili, in modalità differenti, vivono, e sono trasformati, dall'esperienza di questo paradiso incontaminato, l'uno però tornerà mestamente alla sicurezza della vita passata mentre l'altro cercherà fino all'ultimo (letteralmente) di sradicarsi dalla sua esistenza precedente.

Non conosco gli attori (ho delle lacune sul cinema argentino) però l'impressione, data la naturalezza delle interpretazioni, è che si tratti quasi di recitazioni in orbita neorealismo. Tutti davvero convincenti, di qualcuno ho già accennato, tuttavia meritano una menzione anche Esteban Bigliardi (il collega Romàn) e Germàn De Silva, che se si affina la vista lo si riconosce in due ruoli, in entrambi i casi, emblematicamente, come "capo" di Moràn: prima in banca, e poi in prigione.

Essendo questo un blog ad ampia vocazione musicale non posso concludere senza citare la Pappo's Blues, band argentina realmente esistita il cui ellepì d'esordio (1971) fa da filo rosso, passando di mano in mano, alle varie fasi della narrazione e la cui musica (blues con testi sociali) sottolinea più di una scena della pellicola, fino ai titoli di coda.

I delinquenti è una visione che richiede impegno, ma restituisce un'epifania per gli occhi, il cervello e l'anima. 


Mubi


giovedì 18 settembre 2025

Due parole sul nuovo corso di Dexter



Dexter debutta come serial nel 2006, ispirato ad un personaggio letterario creato da Jeff Lindsay e, in un'altra era, agli albori della centralità mediatica che acquisiranno le serie tv, si guadagna una notevole attenzione, al pari ad esempio di titoli come Lost o The Shield
Ne ho scritto molto sul blog, credo tendenzialmente di aver coperto tutte le annate (c'è il tag specifico), quindi non mi dilungo sugli alti e bassi di otto stagioni (l'ultima nel 2013) di un titolo che, almeno nelle intenzioni iniziali, era ricco anche di sottotesti in relazione a chi siamo e ai compromessi che facciamo per farci accettare dentro le convenzioni sociali. Gli autori, come spesso accade con i franchise di successo, al termine dell'ultimo episodio dell'ultima stagione che avrebbe dovuto determinare la fine del personaggio,  si lasciano comunque la porta aperta per ogni eventualità di "recupero".
Al contrario Michael C. Hall, l'attore che dà forma a Dexter, decide di volersi affrancare dal character, onde evitare di essere a lui esclusivamente associato (peraltro Hall aveva già girato cinque stagioni di un'altra bella serie, Six feet under)
Pertanto Michael prova a rilanciarsi nel cinema, con risultati dimenticabili (forse le interpretazioni migliori nella collaborazione con il regista Jim Mickle - Cold in July e All'ombra della luna, che peraltro ho recentemente rivisto - ), e nel teatro, si ammala gravemente, guarisce, ed infine, beh, si consegna allo show biz cominciando a pensare al mutuo e ai figli. 

Così, nel 2022 il serial killer dei serial killer torna, con Dexter: New blood, in cui lo troviamo nello stato di New York, in una piccola e nevosa cittadina rurale, a vivere mantenendo un basso profilo, inserito nella locale comunità. Ovviamente il camuffamento non durerà. La conclusione della serie stavolta dovrebbe porre fine definitivamente al personaggio, e invece no, perchè arriva Dexter: Resurrection (in mezzo Original sin, un prequel con le origini del character, cancellato dopo la prima stagione), e se New blood chiedeva tanto allo spettatore in termini di sospensione dell'incredulità (che nell'epoca moderna ci si possa nascondere e cambiare nome come se fossimo negli anni trenta del secolo scorso non sta proprio in piedi), in Resurrection (già rinnovata per una nuova stagione) entriamo proprio nel campo dell'inverosimile eletto a regola, cioè del tipo che proprio non torna un cazzo ma chi se ne fotte. 
Alla fine ce ne fottiamo anche noi, continuiamo a guardarlo perchè è un rito di famiglia e accantoniamo ogni velleità di analisi e verosimiglianza, lasciandoci divertire (2,5/5) da un intrattenimento crime che è assunto a mito televisivo, e come tale attira nel progetto nomi interessanti, quali Uma Thurman, Krysten Ritter, Peter Dinklage e Eric Stonestreet, senza trascurare un cameo di John Lightgow, indimenticabile villain della quarta stagione originale.




lunedì 15 settembre 2025

Recensioni capate: Samantha Fish, Paper doll

Originaria di Kansas City, classe 1989, Samantha Fish è una delle realtà blues più interessanti e stimolanti di un panorama musicale storicamente monopolizzato dal genere maschile (al netto di qualche storica, significativa eccezione), ma che di recente, come tutto l'universo rock, sta cambiando. 
La Fish viene notata nel 2009 dopo l'auto-pubblicazione di un album dal vivo (Live bait) nel quale proponeva standards e pezzi inediti. Da allora pubblica una decina di dischi a proprio nome, più qualcuno in comproprietà con altre blueswomen. 
Paper doll esce quest'anno e ci propone una musicista completa, sia dal punto di vista dello strumento che da quello vocale nonchè in relazione alla qualità delle composizioni. 
Nove tracce (esiste anche un'edizione a dieci con la cover di Neil Young Don't let it bring you down) per una quarantina di minuti di blues e rock-blues eccelso, che accende la miccia con la pirotecnica, orgogliosa I'm done runnin' e che mantiene la tensione con il rhythm 'n blues Can ya handle the heat? e Lose you, prima sciogliersi nella ballata Sweet southern sounds la quale, come suggerisce il titolo, si sposta in ambito southern rock. 
Le dinamiche nelle singole canzoni aggiungono un elemento di valore ad un album tosto e piacevolissimo, che dimostra come Samantha sia oggi un'artista matura, che riesce a coniugare una notevole presenza scenica ad una capacità artistica e produttiva non scontata. Insomma,  oggi si rischia di essere fraintesi ma una  volta si diceva senza problemi bella e brava.

lunedì 8 settembre 2025

The Alto Knights - I due volti del crimine



New York, anni cinquanta. Frank Costello è diventato boss della città dopo che l'amico fraterno Vito Genovese è scappato in Italia per sfuggire all'arresto e gli ha passato l'incarico. Costello governa un regno di pace con politica, magistratura e polizia, grazie ad un solido sistema di corruzione sul "modello Lucky Luciano". Quando Genovese torna dall'esilio non vuole sottostare a questa condizione e, impaziente, riporta sangue e morti nelle strade, preoccupando i capi. Contestualmente Costello, che nel tempo ha lavorato per ripulire la sua immagine pubblica, insiste nel non voler lanciare l'organizzazione nel mercato della droga e anzi vorrebbe uscire dal giro, disponibile a cedere tutto all'amico che però, purtroppo, nel tempo si è fatto paranoico e non crede più alle buone intenzioni dell'antico fratello di strada.



Progetto che pare essere nato addirittura nei settanta, questo biopic sulla mafia americana che si concentra sui noti boss Costello e Genovese, è uscito nelle sale a fari spenti, essenzialmente senza promozione, nonostante la presenza di un De Niro che torna al gangster movie. Lo recupero grazie ad una promozione di Prime sui titoli a pagamento, incoraggiato dalla regia di Barry Levinson (non un fenomeno, ma regista solido, che in quarant'anni di carriera una mezza dozzina di film li ha centrati alla grande), ma al tempo stesso un pò prevenuto appunto per l'anomala assenza di copertura critica (anche sui social). Forse è per quella dinamica psicologica che ti fa rivalutare film da cui non ti aspettavi granchè, ma The Alto Knights non è il disastro che i (pochi) critici ne dicono. Certo, arriva un pò fuori tempo massimo e dopo veri e propri capolavori del genere (serve che scriva i titoli?), però d'altro canto, quella del dualismo tra i due boss è una storia poco raccontata fuori dagli USA, e quindi il fatto che si arrivi "vergini" alla catena di eventi è un elemento a favore del film (tra l'altro, aneddoto del tutto personale, in maniera casuale mi sono trovato nel breve a guardare tre titoli - due film e una serie - che trattano lo stesso argomento, spostando solo il focus nel tempo e tra i protagonisti: The Alto Knights, Hoodlum e Godfather of Harlem).

Tornando in topic, anche sull'interpretazione di De Niro ho pareri discordanti rispetto alla bocciatura delle (poche) recensioni. Posto che sono prevenuto (qui sì) sui film in cui gli attori si sdoppiano in più ruoli, a meno che non si tratti di Peter Sellers, Mike Myers o... Tom Hardy, guardando il film in lingua originale il vecchio mi è piaciuto. L'ho trovato a suo agio nelle due parti, e pazienza se il personaggio di Vito Genovese sembrava forgiato su misura per Joe Pesci e forse per questo Bob sembra un pò ricalcare il suo acting. Mi è piaciuto sicuramente più che nelle interpretazioni recentemente offerte per The Irishman e Killers of the flowers moon, in cui l'ho trovato inspiegabilmente spaesato, tacendo di quelle atroci commedie che hanno lordato il suo cv.
Difetti la pellicola ne ha, ad esempio non è gestito benissimo il raccordo tra finzione e materiale originale d'archivio (non tutti sanno copiare Oliver Stone) e alcune sequenze realizzate dentro i folkloristici, abusati locali per italiani sono telefonate, però il film vive anche di momenti ben realizzati, come il botta e risposta a distanza dell'interrogatorio della commissione a Costello trasmesso in diretta con i commenti davanti alla tv di Genovese e la sua cricca oppure la lunga scena conclusiva con la riunione alla fattoria di Barbera. 

Emblematica infine la considerazione messa in bocca a De Niro/Costello: "quando siamo arrivati dall'Italia avevano già ucciso quasi tutti gli indiani, preso l'oro, succhiato tutto il petrolio. A noi erano rimasti solamente americani assetati (si riferisce al proibizionismo, ndr), poliziotti e politici corrotti. Ma ne abbiamo tratto il massimo." 

Insomma, una chance a The Alto Knights - I due volti del crimine (3/5 per me) secondo me la si può dare.


su prime video (a pagamento)

giovedì 4 settembre 2025

My favorite things, agosto '25

ASCOLTI

Helms Deep, Chasing the dragon
Alice Cooper, The revenge of Alice Cooper
Tyler Childers, Snipe hunter
Frank Zappa, Joe's garage 
Dorothy, The way
Cody Jinks, In my blood
Alice Wolf, The clearing
Big Head Todd, Sister sweetly
Cuco, Ridin'
Billy Idol, Dream into it
Bush, I beat loneliness
Hayes Carll, We're only human
Kamasi Washington, Heaven and earth
Robin Trower, Bridge of sighs
Samatha Fish, Paper doll
The Who, Quadrophenia
King Witch, III

Monografie

The Kinks
Halestorm
Fairport Convention/Richard Thompson


VISIONI

in grassetto i film visti in sala

Ombre malesi (3,75/5)
Pride and glory - Il prezzo dell'onore (2,75/5)
Fantastici Quattro - Gli inizi (2,75/5)
Tucker - L'uomo e il suo sogno (3,5/5)
Un uomo tranquillo - Bad blood (3/5)
Operazione San Gennaro (3,25/5)
Hoodlum (2,5/5)
Twilight of the warrior - Walled in (4/5)
Nome in codice: Imperatore (2,25/5)
Uomini e cobra (3,75/5)
Io sono nessuno 2 (2,25/5)
The outlaws (2017) (3,5/5)
La rapina perfetta (2,5/5)
The monkey (3,5/5)
The Alto Knights - I due volti del crimine (3/5)
Scanners (3,75/5)
Warfare - Tempo di guerra (3,75/5)
Velluto blu (4,5/5)
















visioni seriali

Untamed, sei episodi (2,5/5)
Godfather of Harlem, dieci episodi (2,5/5)



lunedì 1 settembre 2025

Recensioni capate: Dorothy, The way


I Dorothy si mettono assieme a Los Angeles nel 2013, per debuttare qualche anno dopo. Sono caratterizzati dalla presenza di una singer dall'ugola potente ed elegante, Dorothy Martin (da cui il nome della band), e da un inizio carriera fatto di porte girevoli che hanno coinvolto i musicisti dietro di lei. 
Con The way arrivano al quarto album. Il genere è un hard rock moderno sporcato di blues e soul (per farsi un'idea basta ascoltare il bell'incipit vocale della Martin su I come alive, opener dell'album). 
Non so se esiste ancora una programmazione radiofonica mainstream in America, ma se così fosse, il disco sembra realizzato col bilancino proprio per sfondarla. Tutto è al posto giusto, la voce portentosa della frontwoman, i suoni, la costruzione delle composizioni, le ospitate (Slash su Tombstone town), l'alternanza scientifica tra pezzi tirati (The devil I know, Mud, Bones), midtempoes (Unholy water - dove la singer ricorda la Annie Lennox blues di Be yourself tonight -, Putting out the fire ) e i lenti (la conclusiva title track). 
Lavoro piacevole che fai girare ad alto volume in auto mentre ti godi gli ultimi giorni di strade libere in questo sgocciolare d'estate. 
Non è necessariamente un male creare musica in laboratorio invece che per una disperata urgenza artistico creativa, se a farlo sono mani sapienti. E però in questi casi il pacchetto completo prevede anche lo status di one-season-album. Prendere o lasciare.