In attesa della distribuzione a inizio 2026 di Portobello di Marco Bellocchio, la nuova serie che si occupa del "caso Tortora" (il tempismo, ahimè, a ridosso del referendum sulla separazione delle carriere, temo ne favorirà la strumentalizzazione propagandistica del governo, benchè il contenuto della proposta di legge niente abbia a che vedere con la responsabilità dei magistrati), sono andato a recuperare la prima produzione cinematografica che si è occupata del caso: Un uomo perbene, girato da Maurizio Zaccaro. Il film può essere preso a caso di scuola di come spesso non bastino le buone intenzioni. Ci teniamo quelle, il grande valore civile e divulgativo del più noto e kafkiano caso di persecuzione contro un uomo innocente, ma il risultato è ai limiti dell'inguardabilità. C'è poco da aggiungere, il film, nonostante un buon cast (Placido, Accorsi, Melato, la Mezzogiorno, Gemma) è pessimo sotto ogni punto di vista. La regia è piatta, da fiction televisiva, ma a livello Gli occhi del cuore e le recitazioni ne risentono, non riuscendo mai ad essere convincenti, Leo Gullotta è parodistico, nonostante il ruolo assegnatogli (il pentito Pandico) poteva essere il più stimolante, per un attore. La narrazione in flashback e flashforward aveva delle potenzialità, ma è gestita male, fino ad arrivare ad una sciatteria inqualificabile nella caratterizzazione dei personaggi, che mette in bocca a Pasquale Barra (O'Animale) un dialetto siciliano, lui che era camorrista campano.
Sicuramente faranno di meglio Bellocchio e Gifuni, ma, onestamente, ci vuole poco.
Sicuramente faranno di meglio Bellocchio e Gifuni, ma, onestamente, ci vuole poco.
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