lunedì 20 gennaio 2025

Steve Earle, Alone again... Live (2024)


"Ci sono due generi di musica: c'è il blues e c'è lo zip-a-dee-doo-dah. Questo non è zip-a-dee-doo-dah". 

Non so, ma a me basterebbe questa battuta (copyright Townes Van Zandt), pronunciata da Steve nell'introduzione di South Nashville blues, per entrare nel giusto mood di un live album. E sì che di dischi dal vivo l'artista della Virginia, da pochi giorni settantenne, nel corso della carriera ne ha già pubblicati una mezza dozzina, cosa può aggiungere, nel 2024, in una fase artistica dignitosamente calante, questo Alone again?

Il rischio era che non aggiungesse niente, e invece Alone again è uno dei dischi migliori che Steve ha pubblicato da almeno tre lustri. Queste registrazioni catturate durante il suo tour solo acustico del 2023 ci offrono infatti uno Steve Earle inedito, almeno per come lo ricordo io che l'ho visto dal vivo in tre occasioni, sia full band che da solo, e in tutti i casi almeno fino a metà show ho assistito ad un frontman imbronciato, scontroso e poco incline al dialogo col pubblico, e me lo ritrovo qui  ciarliero, di buon umore e bendisposto a parlare non solo di temi politico-sociali, ma anche, con ironia, di sè stesso, della sua infanzia, delle donne della sua vita. 

Oltre alla consumata sapienza da busker, che gli permette di passare con disinvoltura dalle armoniche ai diversi strumenti a corde (chitarre, mandolino, banjo), Steve regala una piccola dimostrazione del valore del proprio repertorio, che resta inestimabile nonostante l'esclusione dalla tracklist delle canzoni di due lavori seminali (i miei preferiti dell'intera discografia) come El corazon e Jerusalem. 
Tuttavia il vero valore aggiunto di questo disco è senza dubbio l'empatia che il texano d'adozione trasmette con tutti gli intermezzi parlati, nonostante il pubblico non sembri sempre essere composto da die hard fans (lo dico per la pigrizia con cui risponde all'invito al classico, attesissimo singalong su Ain't ever satisfied).

Sono anche piccole cose, freddure fulminanti come nel caso della successione in sequenza di due canzoni sulla perdita dell'amore (Now she's gone e Goodbye) legate dal nostro con una semplice battuta ("same girl, different harmonica"), oppure la frase secca che introduce CCKMP (Cocaine Cannot Kill My Pain): " welcome to my nightmare". Poi ci sono anche i racconti più ampi, narrati da consumato reader (Steve ha pubblicato anche un paio di romanzi, la recensione del secondo è qui), come il racconto dell'infanzia texana, in cui Earle matura la consapevolezza che, non essendo portato per il football americano, se avesse voluto uscire da quel contesto (like Bruce said: "it's a town full of losers and I'm pullin' out of here to win"), avrebbe dovuto fare altro. E lui era bravo con la chitarra, al punto da "avere un seguito di 4-5 ragazze che si litigavano il ruolo da protagonista delle mie canzoni, non capendo che erano tutte dedicate... a me stesso". 

Ma il cuore pulsante del disco è inevitabilmente rappresentato dagli oltre nove minuti di It's about blood, estratto dall'album The ghosts of West Virginia, in cui il cantautore ricorda il disastro minerario di Upper Big Ranch (tutti i particolari nella recensione di quel lavoro che trovi qui) in cui morirono una trentina di operai. Lo fa con un'impostazione di base fortemente politica, ricordando il suo posizionamento ("I'm a radical, motherfucker") ma anche richiamando il Paese a ricucire le profonde divisioni (di classe, territoriali, politiche, economiche, sociali) che lo stanno lacerando (come detto, lo show è stato registrato prima del catastrofico ritorno di Trump). 
Lo fa esprimendo orgoglio per quel disco del 2020 ("un disco fatto bene... ne ho fatti anche un paio fatti non tanto bene" - allora non avevo torto...  - ). 
Lo fa descrivendo quella tragedia come la peggiore in quell'ambito dagli anni settanta. 
Lo fa sottolineando come non è un caso sia avvenuta in un contesto non sindacalizzato, richiamando la centralità delle Union nel tutelare i lavoratori e prevenire incidenti e infortuni mortali. In quella immane tragedia, data la povertà dell'area, morirono intere filiere familiari. Fratelli, padri, figli, nipoti. E la conclusione del pezzo, in cui Steve ricorda tutti i loro nomi mette i brividi ancora di più che nella versione originale, in studio.

Un disco bellissimo, finalmente. Ai fan è superfluo consigliarlo, ma sarebbe a mio avviso anche uno straordinario veicolo per far scoprire un artista immenso a chi oggi ancora non lo conosce.


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