lunedì 18 gennaio 2021

Commenti sonori che questo nefasto 2020 mi lascia in eredità (the post formely know as "i migliori album dell'anno")

Solita premessa sull'irrilevanza statistica del post: questi sono i dischi che mi sono piaciuti nel corso del 2020, ma, come sempre, ho ascoltato poche release nuove, pertanto se qualche utente della rete fosse stato indirizzato qui (evento alquanto improbabile) avendo inserito nel motore di ricerca la stringa "migliori album del 2020" può tranquillamente chiudere la pagina e rivolgere la sua attenzione ad altri risultati, sicuramente più attendibili, della sua ricerca. Mettiamola così: se, in quelle sempre più rare finestre di tempo nelle quali, magari con un Toscano tra le dita e un bicchiere di Irish Mist nella mano, qualcuno mi chiedesse quale musica mi porterò oltre questo disgraziato ventiventi, in premessa risponderei che la mia short list (nella quale, preciso, tutti i titoli sono ad ex aequo) trova sicuramente posto il più importante cantautore vivente, quello che, assieme ai Beatles e ad Elvis, ha cambiato il corso dell'arte (e non solo), e che nel 2020 ci ha regalato un lavoro straordinario, forse ormai insperato. Mi riferisco ovviamente a Bob Dylan, e al suo Rough and rowdy ways (uscito il 19 giugno): disco che reclama dall'ascoltatore attenzione, tempo e pazienza ma che, per liriche e musiche, ammalia e commuove come una vecchia foto consunta rinvenuta dentro un libro che non si apriva da tempo.

Dal nome luminare della old time music ad una giovane artista multimediale, Moriah Rose Perieira, in arte Poppy. Il suo I disagree (uscito giusto un anno fa, il 10 gennaio), titolo strepitoso e copertina black metal, è un frullatore di generi e stili anche antitetici fra loro (pop/j-pop/k-pop/rap/synth/industrial/rock/death/metal/prog/art), assemblati in maniera schizofrenica, per un risultato originale, eccitante e coinvolgente.

I Fontaines D.C. li ho recensiti (A hero's death, 31 luglio) due post sotto, quindi ho poco da aggiungere, se non che il loro è l'album più solenne e magnetico del lotto. 

La sorpresa dell'anno è rappresentata senza tema di smentita da Mothers of all motherfuckers (7 febbraio) dei Green Day, un disco festoso, caciarone e carico di groove, imbullonato alla migliore tradizione garage-rnb. E' piaciuto a pochi, e questo aumenta il piacere del mio lato snob.


Il disco emozionale dell'anno non può che essere il ritorno dell'irresistibile Huey Lewis, sempre coi fidati The News, alle sue più classiche sonorità con l'EP Weather (14 febbraio). 


Con questi cinque dischi avrei anche terminato, non fosse che, analogamente a quanto fatto con il consuntivo dell'anno scorso e gli Swallow The Sun, mi gioco un azzardo, anzi due. Sono alle prime settimane di ascolto, ma  Starting over (13 novembre) di Chris Stapleton e Wednesdays (13 dicembre) di Ryan Adams, mi hanno trasmesso grandiose vibrazioni, che confido saranno dal tempo confermate.

 

Chest'è.


2 commenti:

Anonimo ha detto...

Ryan Adams ti piace solo perché la copertina è impaginata come Nebraska di Springsteen.

monty ha detto...

Ecco cos'era!!! :D