lunedì 11 gennaio 2021

Fontaines D.C., A hero's death


Il music business inglese, si sa, è, ancora oggi, nelle macerie di quello che una volta era il mercato discografico, il maggior generatore di hype ci sia al mondo. E' tanto veloce ad indicare con assoluta certezza la next big thing che stravolgerà la musica negli anni a venire, quanto lo è ad accantonarla e accendere i potenti riflettori su altri fenomeni. Per questo, oltre che per una istintiva diffidenza nel gettarmi sui nomi più acclamati dalla critica indie, ci sono andato cauto con gli irlandesi Fontaines D.C. dopo l'indubbiamente interessante debutto Dogrel, dell'anno scorso. Ma quando "il difficile secondo album" supera, a mio avviso, il debutto, anche per un dinosauro come il sottoscritto giunge il momento di accantonare ogni riserva e fare coming out.

Stabiliamo le coordinate: i cinque di Dublino (il front-man e cantante Grian Chatten più due chitarre, basso e batteria) pescano in quello che nell'ultimo decennio è diventato un infinito oceano di ispirazione e che risponde al nome di new wave/post punk inglese (genere che vede il suo apice nel lustro 1977/1982), con il nome luminare dei Joy Division a guidare la truppa. Nulla di particolarmente originale, se vogliamo, ormai non bastano le dita di due mani ad elencare le band di successo che devono al gruppo del povero Ian Curtis la propia profonda ispirazione.

Ma, come sempre, la differenza tra una cover band senza idee se non una scaltra fonte di ispirazione e un artista di talento (ecco, mi sono sbilanciato) è la qualità delle composizioni. E dentro A hero's death, com'era avvenuto per Dogrel, le canzoni di qualità ci sono eccome. A partire da una I don't belong languida, magnetica ed affascinate che apre il lavoro e via via per pressochè ogni singolo brano degli undici che vanno a comporre la tracklist. Per i primi ascolti ci si può divertire ad individuare gli apparentamenti degli stili (già detto dei Joy Division, con A lucid dream sovvengono i Cure di Three imaginary boys, così come Living in America rievoca gli U2 degli esordi o I was not born odora di P.I.L), ma, ascolto dopo ascolto, ogni ricerca delle fonti originarie di ispirazione viene spazzata via e resta l'incommensurabile piacere di ascoltare un'opera originale, densa, stratificata, ipnotica, realizzata con la personalità di chi, e sono pochi, piega un preciso genere musicale alla propria visione artistica e non il contrario.

A hero's death non può che rientrare in quella che sarà la mia scarna classifica dei migliori del 2020. Speriamo i Fontaines D.C. non si perdano per strada. Tuttavia, anche si fermassero qui sarebbe già tanta, tantissima roba.

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