giovedì 15 dicembre 2011

L'arte del quasi

Wilco
The whole love (dBpm, 2011)






Per essere uno che arriva in conclamato ritardo sui fenomeni musicali importanti, ai Wilco sono giunto in largo anticipo. Si può dire anzi che seguo Jeff Tweedy da quando portava i calzoni corti e con Jay Farrar inventava l'alternative country attraverso la ragione sociale degli Uncle Tupelo.
Ho ascoltato i primi vagiti dei Wilco con il country-rock convenzionale di A.M. (1995), la svolta lisergico-acustica di Being there, il delizioso gioiellino beatlesiano Summerteeth, la collaborazione di due parti con Billy Bragg sugli inediti di Woody Guthrie (Mermaid Avenue I e II) per approdare infine a quello che è giustamente considerato uno dei must-have degli anni zero: Yankee Hotel Foxtrot, che la band riscattò per cinquemila dollari dalla etichetta Reprise, a fronte del rifiuto di quest'ultima a pubblicarlo (quando si dice la competenza!). I loro lavori successivi (A ghost is born, Sky blue sky, l'omonimo del 2009) si sono infranti contro la barriera dei primi ascolti, probabilmente per una mia saturazione, mentre per tutto il resto del mondo il credito del combo si affermava definitivamente.

Fa piacere quindi riappropiarsi un pò della musica di Tweedy attraverso l'ascolto di The whole love, album in studio numero otto della band. La riconciliazione è in buona parte veicolata dalla lunga traccia di apertura, Art of almost, un pezzo che segue i cambiamenti di umori e le improvvisazioni che la band imprime al proprio sound e che qui trova sfogo con una coda strumentale elettrica che in realtà si prende più di metà timing complessivo. Una canzone magnetica, sospesa tra elettronica,acustica e jamming strumentale elettrica. Davvero il Wilco sound al suo massimo splendore.

Molto convincente anche la successiva I might, benchè suonata in maniera meno spiazzante e più convenzionale, ha una struttura appagante e un ottimo songwriting. Nell'ambito dei pezzi maggiormente introspettivi la palma del migliore va equamente divisa tra Black moon e Open mind. Con Sunloath e più giù, con le movimentate Dawned on me e Capitol City tornano a fare capolino echi delle sonorità dei Fab Four, elemento questo che ormai fa parte strutturalmente del suono della band e che mi fornisce lo spunto per affermare che l'album, nel suo complesso fa pensare quasi ad un abecedario degli stili e delle influenze della vita artistica dei Wilco, con accennti alt country, rumoristi, acustici, psichedelici, indie. Il perimetro del lavoro è delimitato dai due pezzi più lunghi, dei sette minuti di Art of almost ho già detto, mentre a chiudere il recinto ci stanno i dodici minuti di One sunday morning (Song for
Jane Smiley's boyfriend) che riabbraccia in maniera tradizionale lo stile country folk degli esordi. Le dodici tracce dell'opera sono espandibili fino a diciassette con le bonus della versione su iTunes e addirittura fino a ventuno con l'edizione speciale su due dischi.






Personalmente ho preso The whole love come l'atteso ritorno di un amico importante, perso di vista per mia unica responsabilità, da quasi dieci anni. Come spesso accade anche per i rapporti umani perduti, l 'ho trovato cambiato nei dettagli ma esattamente come lo ricordavo nell'essenza.






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