domenica 13 settembre 2009

I migliori della vita, Creedence Clearwater Revival, Willy and the poor boys

Creedence Clearwater Revival, Willy and the poorboys, 1969

I miei facevano la spesa grande una volta al mese, nell'unico, enorme (per i criteri di cinque lustri fa) supermercato che c'era in zona. Io mi univo alla trasferta perchè mi era concesso l'acquisto di un 33 giri, e così mentre loro giravano le corsie, stazionavo al reparto dischi per scegliere il mio acquisto. Il più delle volte loro facevano in tempo a riempire a dismisura il carrello e io ero ancora lì indeciso, a pesare in mano artisti e titoli.



Quella volta invece ero partito bello deciso. Avevo scoperto che Bruce Springsteen adorava un gruppo chiamato Creedence Clearwater Revival, di cui suonava anche delle cover, e avevo deciso che dovevo ascoltarli.
Mi sarei buttato su di una raccolta, ma erano su doppio vinile e andavano decisamente fuori dal budget imposto. Allora, senza una ragione che riesca a ricordare, scelsi Willy and the poorboys, nonostante la copertina poco rock e anzi piuttosto artigianale e uncool.

Più tardi dei CCR sono arrivato ad assemblare l'opera omnia in cd, a farmi come si dice una cultura, a scoprire che sono tra i più sputtanati in assoluto nelle colonne sonore dei film americani dei 60/70, che sono adorati da quel personaggio icona dei fricchettoni che risponde al nome di "Dude" Lebowski, che quasi tutti, critica e fans, individuano in Cosmo's Factory la loro opera migliore.
Ma io beh, sono rimasto affezionato a questo album da molti considerato di transizione, poco compreso e schiacciato tra due masterpiece come Green River e Cosmo's Factory, appunto.


I Creedence furono una fottuta cometa che sconvolse in soli due anni e sei dischi la musica americana fino alle fondamenta.
Non inventarono niente John Fogerty e compagnia, si limitarono ad assorbire tutta la storia musicale USA, dalle radici ai frutti, e la rielaborarono attraverso una fulgida ispirazione nei testi e nella composizione, che gli permisero di scrivere canzoni che sopravvivono ancora oggi nella cultura e nella memoria di un intero popolo.


Ogni disco spaziava dal folk al blues al rock'n'roll al country (in qualche caso persino all'errebì). Anche se, a mio avviso ogni album aveva un suo carattere predominante, pur contenendoli sempre tutti. Così in Green River prevale il blues, in Cosmo's Factory il rock e in Willy and the poorboys il folk e i traditional.

Torniamo a me ragazzino. Arrivato a casa pieno di aspettative e di eccitazione, metto il vinile sul piatto del mio Pioneer . Per sbaglio comincio dal lato B (trattasi davvero di pura casualità). Il primo pezzo del secondo lato è Fortunate's son. Merda, che grande canzone. Parte la batteria e subito si sovrappone un semplice riff di telecaster che si ripterà per tutto il brano, poi arriva il cantato di John, così rauco e americano (in un testo a suo modo anti-americano, considerata l'epoca): "Some folks are born made to wave the flag/ Ooh, they're red, white and blue. And when the band plays "Hail to the chief" / Ooh, they point the cannon at you / Lord, It ain't me, it ain't me / I ain't no senator's son, son / It ain't me, it ain't me; I ain't no fortunate one, no" , e io sono già bello che conquistato.
Tanto per dire, non è stato quello di Smoke on the water il primo riff che ho tentato con la chitarra, ma proprio questo.

In seguito lo ascolto nell'ordine giusto, senza che il mio entusiasmo adolescenziale ne venga minimamente intaccato. Down on the corner apre il lavoro con le chitarre acustiche a menare le danze. Anche qui c'è un tema portante, un riff costruito sulle corde basse, che è un gioiellino. It came out of the sky è più rock'n'roll, mentre Cotton fields è il primo, stupendo omaggio al seminale bluesman Leadbelly, l'altro, Midnight special, è piazzato nella stessa posizione (traccia numero tre) del lato due.

Si prosegue con lo strumentale Poorboy shuffle e quindi la facciata si chiude con una ballata poco considerata, ma che andrebbe rivalutata: Feelin' blue. Oltre a me di certo è piaciuta ai Gov't Mule, che l'hanno suonata sulla prima parte del loro Deep End.

Di Fortunate son, che è diventato un solido inno anti-militare ho già scritto, restano da segnalare il tipico sound creedenciano di Don't look now, poi Side o' the road un altro strumentale ( questa volta elettrico) e la conclusione di Effigy, il pezzo più lungo del lotto, una ballata tesa, con un lungo bridge chitarristico nella parte centrale e in quella conclusiva. Altra composizione poco considerata, ma di grande livello, con il suo crescendo drammatico e intenso.
Dovessi razionalmente consigliare un titolo dei CCR ad un neofita suggerirei forse un altro album, ma Willy and the poorboys ha poco a che fare con la ragione e molto più con il sentimento. E non è questo che conta davvero, alla fine?

1 commento:

Anonimo ha detto...

Grandi Creedence...