lunedì 6 giugno 2011

Boris, stagioni 1,2 e 3






Al termine dell'ultima puntata dell'ultima stagione (complessivamente parlando la numero 42), lo stagista Alessandro (Alessandro Tiberi) propone ad Arianna (Caterina Guzzanti), aiuto regista, un progetto: una serie semi-autobiografica sulla loro esperienza sul set. Una storia che parli del regista, degli attori,della troupe, della produzione, della rete televisiva. Lei risponde algida "a chi vuoi che interessi, è una roba da addetti ai lavori".

Ebbene, contrariamente a quanto, in maniera molto ironica, gli autori hanno fatto dire al personaggio di Arianna, la serie tv Boris (un progetto di Sky) è risultata essere una delle più apprezzate e riuscite nel panorama televisivo italiano degli ultimi tempi.

La storia si svolge sull'immaginario set de Gli occhi del cuore, una soap italiana tra le tante che impestano la televisione. Qui il lavoro viene svolto a catena di montaggio e tra tempi ristretti e atteggiamenti da star degli attori, è quasi sempre buona la prima. Il regista è Renato Ferretti, ex giovane di talento, oggi paraculo che per pigrizia e necessità si trova a dirigere prodotti da elettroencefalogramma piatto. I suoi gesti con le dita, le sue parole d'ordine (l'ormai leggendario dài, dài,dài!!!) si ripetono come mantra nei capannoni della produzione.

Nella prima stagione familiarizziamo con i personaggi, con le dinamiche da caserma (peggio, da schiavitù) del set, con le bizze di Corinna (Carolina Crescentini), protagonista femminile che per la qualità della sua recitazione è "affettuosamente" chiamata cagna da Ferretti, con gli esiti incerti dell'auditel, con il direttore di rete Diego Lopez (Antonio Catania). Nella seconda l'ingerenza della politica si fa più forte, entrano nuove star nella soap, figlia di un potente industriale una, conturbante coatta l'altra. Sopratutto c'è Corrado Guzzanti che interpreta i ruoli di uno psicopatico attore riluttante a proseguire con la soap e del suo prete-manager. Anche se in qualche momento si ha l'impressione che maramaldeggi un pò troppo, entrambi i personaggi varrebbero da soli la visione della stagione. Nella season three, irrompe la qualità. Basta soap, si fa fiction all'americana, il nuovo, ambizioso progetto è Medical Dimension. Il picco è a mio avviso nelle prime due puntate, nella quali Renè, provvisoriamente senza lavoro, decide di fare un programma per la concorrenza (leggi mediaset). Ebbene, laddove il set della rete pubblica è scalcagnato e sempre a corto di fondi, quello della concorrenza è faraonoico, mezzi all'avanguardia, produzione che pensa a tutto, dalla coca per Duccio alle escort nella stanza d'albergo. E' in questa parte che la parabola della storia d'amore tra Alessandro e Arianna ha la sua fugace traettoria, a causa di una tremenda incompatibilità politica tra i due.

Numerosi i camei spalmati nelle tre stagioni, cito almeno Giorgio Tirabassi, Laura Morante, Sergio Sorrentino, Sergio Brio e Valerio Mastandrea. Il theme d'apertura e chiusura è degli Elii.


Due, a mio avviso gli spunti vincenti della serie. Il primo è che, dietro le vicende di una troupe televisiva della Rai (non la si nomina esplicitamente, ma è chiaro che la rete a cui si fa riferimento è quella pubblica), di per sè divertenti, si torna a fare satira sociale, a mostrare l'italiano medio prepotente coi deboli e ossequioso coi forti. A fotografare cioè in modo corrosivo la borghesia italiana, analogamente a quanto facevano (anche in rai) trenta-quarant'anni fa Luciano Salce, il primo Paolo Villaggio, il miglior Alberto Sordi.

Il secondo sono i personaggi. Raramente si vede in un prodotto televisivo un gruppo di characters così riusciti (tutti!) ed incisivi. La serie è quello che si dice un lavoro corale, il protagonista dovrebbe essere Alessandro, ma spesso passa in secondo piano. Certo, Renè Ferretti (Francesco Pannofino) ha un ruolo centrale nella storia, ma il tutto non si reggerebbe senza Duccio Patanè (Ninni Bruschetta), direttore della fotografia cocainomane incallito, Stanis La Rochelle (Pietro Sermonti), il divo del cast,superlativo nel suo narcisismo; Sergio Vannucci (Alberto Di Stasio) intrallazzatissimo direttore di produzione; Nando Martellone (Massimiliano Bruno) il becero comico televisivo; Augusto Biascica (Paolo Calabresi) capo elettricista, lo strepitoso gruppo degli sceneggiatori debosciati (Sartoretti, Aprea, De Lorenzo) e via via tutti gli altri.
Ognuno di loro contribuisce con una battuta (a decine quelle memorabili, impossibile citarne solo qualcuna) con uno o più tormentoni, con il reiterarsi delle situazioni a costruire il successo del telefilm.


Nel pastone d'idee che ci propinano ormai da tempo i palinsensti di Rai e Mediaset, non è un caso che le migliori intuizioni della tv moderna (Boris come Romanzo Criminale) nascano su di una piattaforma a pagamento. Ci penso ogni volta che, da vent'anni a questa parte, pago il canone, per la miseria.

2 commenti:

teo zini ha detto...

Se muoio, voglio rinascere Stanis ! ...and thank you for being not so italian !!

monty ha detto...

Un uomo, un mito, una leggenda
direbbe Minà.
Meriterebbe un post a sè stante.