domenica 1 novembre 2009

Ready or not, here they come...

E così, preceduto dai soliti clichè dell'industria di settore, che prevodono una politica di marketing fatta di annunci di ritrovata intesa artistica e personale tra individui che faticavano anche solo a salutarsi se s'incontravano per strada, è uscito il nuovo disco degli Spandau Ballet.

I cinque cavalieri inglesi del new romantic degli anni ottanta erano rimasti tra i pochi a non raschiare il fondo del barile della reunion, e la ragione a quanto pare era proprio il sedimentare di rancori e risentimenti mai sopiti dalla fine del 1989, anno in cui uscì, non su tutto il mercato mondiale, l'ultimo disco della band, Heart like a sky. Da allora ognuno per la sua strada . L'unico che ha insistito con la musica (e con le cattive abitudini alimentari, a giudicare dalla forma fisica) è stato il cantante Tony Hadley. Che, per dire, anche se avesse smesso non se ne sarebbe accorto nessuno.

Dopo anni di complicate trattative diplomatiche che nemmeno i negoziati in Palestina, eccoli qui dunque gli eroi della mia adolescenza (dovrei vergognarmi un pò, ma ho le spalle larghe: Parade è uno dei dischi che più ho consumato quando avevo 16 anni, e forse anche un pò dopo).
Album e turnè alla fine della prima decade degli anni zero. Chi l'avrebbe mai detto?

Come già annunciato, Once More, il disco del ritorno, non è composto da pezzi nuovi, ma da successi rielaborati. Contiene solo due inediti messi lì come parentesi: la title track posta all'inizio e Love is all, piazzata in chiusura.

La raccolta appare costruita perlopiù sulle doti vocali di Hadley e su di un sound caldo, vicino all' unplugged. I pezzi sono tutti abbastanza rallentati, molto spazio alle acustiche di Gary Kemp, basso e batteria il minimo indispensabile, il sax di Steve Norman, che costituiva un elemento cardine nell'economia dei pezzi del gruppo, passa in subordine, viene spesso estromesso, se usato è nel tentativo di creare l'effetto di nervose improvvisazioni, di norma all'interno del bridge.

Alcune canzoni suonano molto vicine all'originale. Data la loro forza melodica, è difficile inventare chissachè per True, Gold o Lifeline, mentre alcuni pezzi che in originale erano movimentati, come ad esempio Only when you leave o With the pride, diventano delicate ballate, molto in linea con le robe da crooner modaioli alla Bublè.

I'll fly for you, una delle mie preferite di sempre, è privata del suo intro di sax e nel cambio secondo me non ci guadagna, mentre, in un classico strappamutande (nonostante il testo a sfondo sociale) come Through the barricades, Hadley tenta di scalare una o due posizioni nella parte bassa della classifica dei cantanti di musica leggera, e forse forse ce la fa .

Abbastanza prevedibili gli inediti, mezzo voto in più va comunque a Love is all, che cerca di reinventare il sound Spandau Ballet mantendosi in qualche modo collegato all'impianto classico che ha fatto la fortuna della band, mentre Once More sa tanto di inedito rimasto nel cassetto di Tony Hadley e tirato fuori per l'occasione.

Tutto fa brodo per rimettersi in piedi e uscire per strada. Il difficile sarà restarci.







2 commenti:

Filo ha detto...

bellissima recensione.
cmq, a giudicare dalla foto: i fratelli Kemp in grande forma.
Gli altri: insomma.

Gemelle a rotelle ha detto...

Non ci posso credere che hai dedicato più parole agli Spandau Ballet che ai Muse :((( Anche bendati e con una mano dietro la schiena sono meglio dei fratelli Kemp and co. Per altro l'ultima volta che ho sentito la voce di Martin Kemp faceva la pubblicità di un negozio di divani in una radio Londinese.