martedì 24 febbraio 2009

I migliori della vita, 5


George Michael, Faith


Non fate quella faccia.

C'è stata un'epoca in cui Georgios Kyriacos Panayiotou, in arte George Michael, non aveva bisogno di farsi beccare dietro i cespugli con altri uomini per fare notizia. C'è stato un momento in cui, pensionati gli Wham!, le canzoni di questo cantante inglese di origine greca hanno cominciato ad evolversi dal poppettino da ragazzini, in qualcosa di diverso, che reinterpretava anche il soul, l'errebì e che in un paio di casi sfiorava la ballata jazz.

Faith uscì nella primavera nel 1987, anticipato dallo scandalo annunciato di brano e video di I want your sex (ah! Bei tempi quelli, quando bastava davvero poco per mandare in tilt i bigotti). Il pezzo, come sicuramente ricorderete era un'accorata richiesta del bel castano, che all'epoca non aveva ancora fatto outing, di lasciare da parte le stronzate, e beh, andare al sodo.

Con un traino così, l'album ha fatto immediatamente il botto. A mente fredda, dopo aver ascoltato le tracce contenute nel disco, posso serenamente asserire che non c'era bisogno di alcuna strategia di marketing per comprarlo, bastavano le canzoni.
Tolta I want your sex (che nella versione LP durava qualcosa come nove minuti), Faith era un compendio di potenziali singoli (e infatti ne furono estratti sei su una track list di nove ), che, sparsi a due per volta nei dischi successivi di George, gli avrebbeo assicurato gloria, successi e una luminosa carriera anche negli anni a venire.

L'album era aperto dalla title track, un gioioso pezzo che sembrava una cover dei fifties, nel quale il nostro si divertiva un mondo a giocare all'Elvis Presley. Il ritornello "causa i gotta have faith", che veniva cantato in una frazione di tempo nel quale la musica si fermava, mi mandava in estasi.

A seguire, subito una delle perle del disco, Father figure, love song dal testo originale, sospesa tra gospel e soul e dall'inciso irresistibile.

Chiude la facciata il lentaccio One more try, fenomenale strappamutande.

Il lato B parte con il ritmo di Hard day; Hand to mouth (pezzo minore che ancora oggi è tra i miei preferiti) e Monkey. Il mood si fa suadente con la conclusiva Kissing a fool, che mette in luce le abilità da crooner dell'ex Wham! e che viene ancora oggi coverizzato da artisti senza arte ne parte, come i vari Bublè.

Finiti i bagordi di questo disco, purtroppo il bel George avrebbe dissipato il suo talento, tra casini personali e dischi senza ispirazione. Un colpo di reni con l'ottimo Older, nel 96 e poi il nulla. Paranoie, infelicità, foto sui tabloid dove appare sempre come un cervo che esce dal bosco e viene catturato dai fari di un pick-up, e tanta nostalgia dei bei tempi, al punto di far girare insistentemente da qualcuno la voce di una reunion con il socio della prima ora Andrew Ridgeley.

Ci sono dei pezzi nella mia collezione, nella mia formazione musicale, che considero scheletri nell'armadio, e che un pò mi vergognerò a tirare fuori. Non oggi. Nel caso di Faith è opportuno andare oltre le apparenze, lasciarsi andare. Per citare George Michael stesso, to listen withou prejudice.


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