martedì 18 novembre 2008

I migliori della vita, 4


U2, The joushua tree


Regolo la sintonia della memoria. Estate 1987, piscina comunale di Melzo, ovvero Tammarroland. L'amico Faccia che continua a schiacciare sui tasti play-stop-rewind-play del radiolone d'ordinanza, mandando a ripetizione With or without you, perché “senti senti, questa mi piace un casino!”.


Qualche giorno prima compravo, primo della compagnia (allargata) dell’oratorio, The Joushua tree. Giusto il tempo che la voce si spargesse, e gente che quasi nemmeno conoscevo mi si presentava con in mano una cassettina (non sempre) vergine da 60 e mi faceva la richiesta: “mi hanno detto che hai l’ultimo degli U2…” Contribuendo così, in breve, a proiettare il disco dritto verso il record, tutt’ora imbattuto, di album più registrato della mia vita.


Se la cosa può sembrarvi tutto sommato normale, sappiate che la comitiva dell’oratorio, a parte qualche illustre eccezione, ascoltava, di norma, gente come Vasco Rossi o Luca Carboni, e si dilettava più che altro con pop da discoteca, ecco perchè l’impatto di questa opera degli U2, fu letteralmente devastante. Per mesi dalle auto della combriccola non usciva altro che la musica del Joushua Tree.

Per mio conto, l’incipit dell’album mi aveva schiantato. Where the streets have no name resta ancora oggi una delle mie canzoni preferite, non solo degli U2, ma in senso assoluto. Un pezzo suggestivo, costruito sullo stile chitarristico di The Edge, che porta a pieno compimento il suo personale sound, certificandolo e collocandolo nella storia. Il testo è ispirato e perfettamente calato nel mood della melodia: " I wanna run I want to hide I wanna tear down the walls That hold me inside I wanna reach out And touch the flame Where the streets have no name". Mi ha sempre trasmesso immagini di desolazione, rabbia, solitudine, speranza. Uno di quei brani che mi è impossibile non cantare fino all’esplosione delle vene del collo, e che per certi versi mi rimanda a Badlands di Springsteen.

Poi arriva il primo tributo che Bono e soci pagano alla tradizione musicale americana. I still haven’t found what i’m looking for è un moderno gospel (elemento questo valorizzato nella sua versione live all’interno del successivo Ratte and hum) , sia nella sua parte strumentale, che in quella delle liriche, ricche di citazioni bibliche.

With or without you, il primo singolo di cui alla premessa, non mi dice molto, anche se oggi immagino che gli U2 darebbero un braccio per riuscire a scrivere un pezzo così.

Bullet the blue sky e Running to stand still sono le vere rocce del disco, a mio parere. Tra gli apici della scrittura di Bono, rappresentano nella loro sfolgorante bellezza, lo stato di grazia della band in quel periodo. La prima si sofferma su quello che una volta si chiamava imperialismo americano, la seconda è una dolente dedica ad un’amica (non so se reale o immaginaria) tossica.

Il lato B del disco (per chi ragiona in termini di cd, da Red Hill mining town in avanti) sulle prime mi era sembrato qualitativamente inferiore, ma col tempo ho adorato In God’s country (ripresa nel discreto film The Three Kings), il folk blues di Trip through wires e la particolarità di Exit.


Considero The Joushua tree, insieme a pochi altri album, un po’ di più che un buon disco, è una di quelle opere che risvegliano sensazioni sopite, basta metterlo su e sei risucchiato all'indietro dai ricordi, quasi come in un posto dell'anima.

5 commenti:

Gemelle a rotelle ha detto...

Ah, guarda com'è strana la vita, pensavo l'altro giorno che gli U2 non hanno lasciato una gran traccia nella mia vita. E' vero, noi proiettiamo tanto del nostro vissuto in ciò che ci piace, tanto che ne facciamo qualcosa di nuovo, che ha un senso speciale molto personale...
Peace

Anonimo ha detto...

Il mio disco prederito degli U2.
Non c'è Achtung Baby che tenga!

jumbolo ha detto...

voglio tralasciare il discorso U2, una band importante ma per me non così come per altri. voglio parlare di come scrive quest'uomo qua.
memore di una conversazione con un amico giornalista prof, vedo monty adatto e probabilmente migliore di molti, allo standard XL. c'è in lui, nella sua scrittura, quell'epica ma soprattutto quel respiro che descrive la musica come una parte fondamentale della vita.
bravò (alla francese)

Filo ha detto...

avrei tantissimo da dire su questo disco.
Se non ti offendi, magari un giorno che avrò meno da fare (a Natale?) ti copio la rubrica e comincio proprio da questo disco.

jumbolo ha detto...

a natale devi riempire il tacchino. ah no quello è il ringraziamento.