martedì 9 settembre 2008

I migliori dischi della vita


The Clash, London calling
Ogni cosa ha il suo tempo, anche per la musica.
Alcune grandi passioni hanno avuto più di una falsa partenza, stentando e ingolfandosi come una macchina d’epoca, prima di mettersi finalmente in moto. E’ il caso dei Clash e del totemico London calling. Chiunque legge o ha letto di musica sa quanto è imprescindibile,nell’allestimento di una discografia essenziale , il ruolo di questo album, uscito nel 1979 come a chiudere, anche simbolicamente una decade e in particolare un genere, il punk, che in pochi anni ha bruciato ardentemente, ma che altrettanto velocemente aveva perso la sua urgenza comunicativa.

Cosa rimane del punk, dentro London Calling? Se per definire il genere ci riferiamo al furore dell’esecuzione, abbinato ad imperizia tecnica e melodie basate su tre accordi, poco e niente. Se invece pensiamo ad una totale libertà creativa, in sfregio a qualunque regola commerciale imposta, ci siamo in pieno.

Joe Strummer, Mick Jones e gli altri hanno registrato il disco scottati dal fallimento di vendite e di critica del precedente album, Give’em enough rope, che era stato preceduto da un’attesa spasmodica, dopo il botto del debut album, omonimo della ragione sociale del gruppo.

In condizioni che non è esagerato definire disperate ( credibilità artistica in discussione, risorse economiche esaurite, la major come una scimmia sulla schiena), e con un produttore letteralmente psicopatico (ancorché efficace) come Guy Stevens, i quattro inglesi attinsero a piene mani nella cultura musicale americana, inglese e giamaicana, accompagnando alle musiche testi che parlavano di alienazione (Lost in the supermarket) , della decadenza inglese (London calling), di leggende gangster (Guns of Brixton, Wrong ‘em boyo, Jimmy Jazz),di razzismo (Clampdown) in anticipo sui tempi, di critica feroce alle multinazionali e all’american way of life (Koka Kola), di sarcasmo sul music biz (Death or glory), cazzute love songs (Train in vain).

La copertina è ispirata al disco di esordio di Elvis Presley, foto in b/n e nome in rosa verde a formare una "L". Il soggetto in questo caso è però il bassista della band, Paul Simonon, che sfascia per esasperazione un basso al termine di un concerto in cui aveva suonato da cani, anche per problemi tecnici.


Il disco è davvero ispirato e imprevedibile, un ottovolante di generi che riescono però a intrecciarsi in maniera armoniosa e quasi spontanea, testi e musiche rappresentano l’apice della creatività del gruppo, che non aveva mai toccato queste vette, e mai più lo farà in seguito.

Io, ci ho messo un po’, il ciddì ne ha presa di polvere sul mio scaffale, uno, due, tre tentativi. Niente. Poi finalmente, testi alla mano (anche in auto), è scattata la scintilla ed è divampato l’incendio. Questa ora abbondante di musica è stata la mia personale, unica ed esclusiva colonna sonora per intere settimane, a cosa serviva alternare con altra roba, se dentro qui c’era tutto quanto? Il tipico disco da isola deserta.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

ELVIS: Allegro, sorridente e chitarra che spicca il volo = L'INIZIO DEL ROCK

CLASH: Incazzato, frustrato, basso che si schianta al suolo = LA FINEDEL ROCK

Questa è la spiegazione che diedero alla copertina del disco quando l'album divenne un caso.

Uno dei miei dischi preferiti in assoluto.

monty ha detto...

a livello simbolico ci può stare,
anche se poi c'era molta
malinconia nella musica di elvis e
molta gioia in quella dei clash,
e anche se credo che con london calling
sia finita un'epoca,
non il rock 'n roll.

Anonimo ha detto...

Presumo che loro se la siano voluta tirare in quella circostanza, ma credo che quello che hai appena detto sia la sintesi.

massi ha detto...

ma sai che son 5 anni che lo asolto e ancora non riescoad "entrarci". l'unico pezzo che ancora mi resta in mente è solo lo strafamoso london calling. mi sa che è sintomatico verso i clah, che anche con sandinista ho lo stesso problema.

ora lo ascolto di nuovo.