lunedì 8 aprile 2019

John Mellencamp, Other peolple's stuff (2018)

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A metà degli ottanta, anche se era una disputa tutta americana e tuttalpiù riservata a nerd italiani appassionati di blue collar rock (come chi vi scrive), la contesa per il trono di true rocker era tra Springsteen e Mellencamp. Poi entrambi hanno virato. Bruce prima sull'introspezione di Tunnel of love e poi smarrendosi e ritrovandosi, John in maniera più salda anche se meno redditizia, sulle radici popolari della musica a stelle e strisce. 
Negli anni l'ex coguaro ha continuato su questa sua personale ricerca, assumendo il ruolo, pressochè incontrastato, di traghettatore delle tradizioni, che propone amalgamandole al suo inconfondibile sound.
Così i violini e la fisarmonica si armonizzano con le sue ritmiche, i suoi refrain ancora irresistibili, la sua meravigliosa voce che il tempo ha reso ancora più roca e struggente.
Al volgere del 2018, dopo aver pubblicato il non meno che ottimo Sad clowns and hillbillies, Little Bastard licenzia un secondo lavoro, oggetto della presente recensione.
A dirla tutta Other people's stuff non è un disco di canzoni nuove, bensì un patchwork con brani altrui (da qui il titolo) pubblicati nel corso degli anni da Mellencamp sui propri lavori o su vari tribute album.
A differenza dello strepitoso Rough Harvest (1999), le tracce non sono nemmeno re-incise, ma solo selezionate e messe in fila una dietro l'altra.

Con queste premesse, in teoria nemmeno il più accanito fan potrebbe trovare motivi di interesse nell'ascolto di questo lavoro. 
E invece il disco suona come se fosse un'uscita a sè stante, e non una raccolta, in qualche caso ci riporta alla memoria grandi canzoni del passato, come To the river, da Human wheels, Teardrops will fall (di Wilson Pickett) o Stones in my passway (di Robert Johnson) da Trouble no more; in altre si pesca dal nuovo Sad clowns and hillbillies (Mobile blue) o dal già citato Rough harvest, come per il traditional In my time of dying, tuttavia è indubbio che, per quanti conoscono a memoria il repertorio dell'ex Cougar, gli spunti interessanti arrivino dai brani regalati negli anni alle varie compilazioni di tributo, come Dark as a dungeon (resa celebre da Johnny Cash), Wreck of the old 97 (interpretata da Guthrie, Seeger e lo stesso Cash), Eyes on the prize (traditional ripreso anche da Springsteen) e I don't know why I love you di Stevie Wonder.
Stupisce, visto il profilo del lavoro, l'assenza di Wild night di Van Morrison, la cover più famosa di Mellencamp contenuta in Dance naked.

In conclusione Other people's stuff sarà anche un disco prescindibile, ma sfido chiunque ad ascoltarlo restando indifferente.


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