lunedì 15 luglio 2013


Mi sono avvicinato a Random Access Memories e ai Daft Punk (un monicker e un genere che non ho mai seguito) grazie alla gigantesca discussione che si è sviluppata in rete a seguito della pubblicazione del nuovo disco del duo francese, che mancava una nuova release da otto anni. Fans e amanti della musica elettronica hanno riempito migliaia di pagine sui forum musicali,  analizzando e dissezionando il lavoro dei deejay transalpini con una meticolosità che ritenevo di pertinenza esclusiva del mondo rock. Insomma, ho scoperto l'esistenza di una galassia (quella della musica elettronica, perlappunto) vastissima e popolata di gente che trasmette una sana e contagiosa passione. Una volta capito questo, e saputo che il cd è stato annunciato come un lavoro di "elettronica suonata con strumenti reali" tutta la discussione ha cominciato ad assumere un senso compiuto e il lavoro ad intrigarmi maledettamente.

Ora, io non mi darò arie da ascoltatore illuminato che sente "un pò di tutto", come è noto, di norma le mie coordinate segueno essenzialmente le ascisse del genere americana e le ordinate dell'hard rock/heavy metal. Però ecco, un merito me lo riconosco, se mi scatta la curiosità non mi precludo alcun genere. E, come spiegato sopra, di curiosità Random Access Memories (RAM per gli amici) me ne ha smossa parecchia, senza che, per una volta, le mie aspettative venissero poi deluse.
L'album è infatti un divertentissimo viaggio nella disco music anni 70/80, con tanto di ritmi cafoni, falsetti, vocoder e pezzi killer che farebbero la felicità di Tony Manero. Si sente eccome la collaborazione dell'ex-Chic Nile Rodgers nel creare il mood del progetto ed assemblarlo. La tracklist consta di tredici tracce e di un timing che arriva quasi a saturare la soglia massima di ottanta minuti del supporto digitale.

Si comincia con Give life back to music e The game of love stilose e propedeutiche ad orientare l'ascoltatore nella giusta dimensione, ma è con Giorgio by Moroder che viene calato il primo asso. Il pezzo infatti è uno straordinario tributo a questo produttore (e musicista) italiano che tanto ha inciso sulle sonorità pop-dance americane e sulle soundtrack di svariati film tra la fine dei settanta e gli ottanta (tra gli altri Fuga di mezzanotte, American Gigolò, Il bacio della pantera, Flashdance, La storia infinita, Scarface). Il brano è introdotto da un parlato di Moroder che racconta brevemente la storia della sua carriera, dall'adolescenza in Italia passando per la prima migrazione in Germania e poi negli USA, accompagnato da un sottofondo musicale discreto che non distoglie l'attenzione dell'ascoltatore dalle parole di Giorgio, per poi, terminato lo spoken, deflagrare in un coinvolgente funky-disco strumentale . Non pensavo di potermi emozionare con un pezzo di queste coordinate, ed invece il connubio tra le parole di Moroder, il suo inglese con cadenza italiana ("my name is Giovanni Giorgio, but everyboy calls me Giorgio")  e il crescendo della musica, mi hanno provocato esattamente quella reazione.

L'ascolto di RAM prosegue senza cali fino ad oltre la metà della tracklist, che entusiasma ancora con le ottime Insant Crush (feat. Julian Casablancas degli Strokes); Lose yourself to dance (feat, Pharrell Williams), Touch e, ca va sans dire, il singolone-tormentone Get Lucky (ancora con Pharrell Williams). Si può dire quello che si vuole sui pezzi che hanno appiccicato addosso il bollino delle hits, ma questa, a prescindere dallo straordinario successo commerciale (e di traino) conseguito, resta una traccia vintage elegante ed irresistibile, con il solo problema legato  alla sovraesposizione mediatica, che alla lunga te la fa venire a nausea.
Ecco, Get Lucky è la traccia numero otto, fino a qui il disco viaggia come un bambino che si lancia inconsciamente a tutta velocità su uno scivolo saponato, poi, a mio avviso cala un pò (o semplicemente a subentrarmi è un pò di stanchezza), per poi riguadagnare quota con Fragments of time e Doin' it right.

Un disco inaspettatamente entusiasmante, che ha penetrato la mia più totale indifferenza iniziale per passare all'inclusione pressochè certa nella top ten del 2013 di Bottle of smoke.
Perciò, anche se in pista ho l'eleganza di uno scaldabagno, non posso che congedarmi da questa recensione con il perentorio invito dei Daft Punk: lose yourself to dance!

8/10

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