La station wagon fuori moda viaggia sorniona seguendo una direzione in cui l'highway è completamente deserta. Nel senso di marcia opposto il traffico è invece intenso. La vecchia familiare si ferma nel parcheggio di un bowling. L'uomo al suo interno esce, ha i pantaloni slacciati. Si stira e poi svuota sull'asfalto il contenuto di una borraccia di plastica. Il colore del liquido e la sua quantità fanno pensare si tratti di urina, rilasciata nella bottiglia per evitare di perdere tempo con una sosta. L'uomo, capelli lunghi e stetson in testa, fissa con disappunto il locale. "Un merdoso bowling. Mi fanno suonare in un merdoso bowling."
Questo è il malinconico inizio (mi piace pensare che contenga una sorta di inside joke con The big Lebowski, dove la vita di Bridges/Dude ruotava attorno al bowling) di Crazy Heart, film tratto dall'omonimo romanzo di Thomas Cobb sulla figura immaginaria (ma che ha una pletora di corrispondenze con la realtà) di Bad Blake, artista country caduto in disgrazia, soprannominato Il Cowboy dell'Amore. Sin dalla presentazione della pellicola il soggetto solleticava la mia curiosità per la possibilità che ci intravedevo di assistere ad una storia che parlasse della musica country e dei suoi eroi minori, che desse autorevolezza e dignità ad un genere molto bistrattato fuori dai confini del sud degli states.
Questo avviene solo in parte, per il resto la storia racconta della discesa verticale di un uomo che una volta aveva talento ed era stato accarezzato dal successo, ma che oggi ha un problema serio di dipendenza dall'alcol che oltre alla poca gloria residuale rischia di portarsi via anche la sua vita. Delle sue ultime chances di avere degli affetti (sprecate) e di avere un'ultimo shot of glory (colte). Camei piacevoli ma senza guizzi di Colin Farrel e Robert Duvall.
Per gli appassionati della musica roots U.S.A. un gradevole cameo di Ryan Bingham (bravo autore di americana ma a mio avviso anche molto "raccomandato"), qualche riferimento ai grandi e a chi suona vero country rispetto a quello pop che imperversa nella radio e infine una buona colonna sonora nella quale spiccano, tra le tracce composte appositamente per il film, I don't know; Somebody else, The wearing kind e i classici Hello trouble di Buck Owens, Are you sure Hank done it this way di Waylon Jennings e If i needed you di Townes Van Zandt. Ci sarebbe stata bene anche la title-track, che è il titolo di un successo di Hank Williams. A sovraintedere alla commistione con il country, la produzione di T-Bone Burnette, di norma ricercatissimo producer di americana.
Film piacevole, al di là delle forse eccessive aspettative. Di sicuro conferma quella che era da tempo una mia certezza: se mai ci arriverò, a sessant'anni voglio essere figo come Jeff Bridges.
3 commenti:
Lo sai che ciò significa farsi crescer i capelli, vero?
Se li avrò ancora...
AHAHAHAHAHHAHAHAHAHAHH!
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