Sì, dunque. C'è questa piccola ragazza che lavora in una grande azienda italiana. Le succede una cosa che normalmente porta con se gioia immensa o preoccupazioni laceranti. Rimane incinta. Il suo è un caso da situazione due. Il padre del nascituro infatti non ne vuole sapere e la lascia. I suoi genitori le consigliano di abortire per evitare scandali e di fronte al suo rifiuto troncano immediatamente ogni rapporto. La piccola ragazza adesso è sola e per giunta lontana da casa. Decide di rivolgersi al sindacato e sceglie il nostro. Il problema è trovare un modo di farla stare a casa il più possibile (oltre la maternità), in modo che possa prendersi cura del piccolo ma con una retribuzione che non sia limitata al 30% previsto dalla legge alla scadenza dei tre mesi dopo il parto. L'occasione si presenta sotto forma di accordo di cassa integrazione siglato da sindacato e grande azienda per circa il 5% del personale. Prendiamo contatto con i capi locali dell'azienda. Ci rispondono picche. Attraverso i nostri responsabili nazionali interpelliamo i dirigenti romani dell'azienda. La faccenda è delicata, spieghiamo. Mettetevi una mano sulla coscienza, esortiamo. Niente da fare.
Qui mi tocca una precisazione. La cassa integrazione è senza dubbio uno strumento drammatico, che abbatte retribuzioni e prospettive occupazionali, ma in questa impresa, in questo settore, è integrata da un fondo di categoria che aumenta un pò l'importo. Nel tempo siamo arrivati a situazioni per cui ci sono molti lavoratori che la chiedono volontariamente per un periodo sabbatico che però a differenza dell'aspettativa canonica è retribuito. C'è discreta richiesta quindi e la grande azienda usa questo strumento, incredibile a dirsi, come merce di scambio con il personale e forse anche come clientela con qualche sindacato che al momento giusto si turerà il naso.
Il tempo passa e la piccola ragazza è smarrita. Le sue certezze cominciano a vacillare. L'importante sindacato non riesce a risolvere l'insignificante (in termini di proporzionali rispetto alle dimensioni dell'azienda) problema. Paga probabilmente una qualche (minima, rispetto all'assertività degli altri) intransigenza in fase di trattativa, qualche NO di troppo.
Un bel giorno il sindacalista che seguiva la piccola ragazza cercando di risolvere il rompicapo prima della deadline riceve un sms con scritto:
Ciao, so che ti sei impegnato a fondo per la mia situazione
ma per risolverla mi hanno detto che dovevo cambiare sindacato.
E scusa ma io l'ho fatto.
Grazie ancora, Giulia.
Il sindacalista si sente un pò sollevato perchè il problema finalmente si risolverà ma è l'indignazione il sentimento che prevale. La frustrazione. L'impotenza. Vomita nel cesso tutta la sua rabbia.
3 commenti:
agghiacciante.
Una vera merda. E forse se l'è meritata tutta sta sfiga, la signorina. Come sai m'è capitato qualcosa del genere, anche se in un ramo diverso, capisco tutta l'amarezza che si può provare. Coraggio al sindacalista ed un consiglio, non prendertela troppo, umanamente parlando. Son tutti bravi a chiedere aiuto nel momento del bisogno...
...E poi, mica è detto che la questione si risolva...ahah...vorrei vedere...
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