domenica 28 febbraio 2010

Thief in the temple


Pensavo di essere rimasto vittima di un salto nel tempo o di una specie di allucinazione...uditiva, ma invece no, Radio Capital l'altra mattina ha davvero dato l'esclusiva del nuovo album di Jimi Hendrix.

Giusto quarant'anni dopo la sua morte la famiglia trova ancora da grattare il fondo del barile, pazzesco. Ancora più incredibile che tutto l'ambaradam mediatico pompi questa release come se fosse davvero qualcosa di imprescindibile.

Jimi in vita è riuscito a registrare solo tre dischi in studio, che hanno progressivamente rivelato il suo genio , in sostanza, più ha avuto il controllo in sala di incisione e più è emersa la sua diversità musicale rispetto a qualunque altra cosa vista prima.

Queste pubblicazioni postume vanno invece a pescare nel canovaccio più noto e apprezzato dell'artista di Seattle, quello cioè più blues oriented, anche se lui se ne era ormai allontanato. Mi viene in mente Miles Davis (a proposito, i due non hanno jammato insieme solo per uno sfortunato malinteso) al quale nei primi anni chiedevano sempre di suonare del bebop, mentre lui lo considerava un genere ormai morto e sepolto, tant'è che in un quarto di secolo le sue sperimentazioni sono esplose in tutte le direzioni, come mille riflessi di un diamante colpito dalla luce della creatività divina.

Già. E invece il giorno 8 marzo 2010 esce Valleys of Neptune, il nuovo disco di Jimi Hendrix, le cui tracce sono registrate a cavallo tra l'uscita di Electric Ladyland (1968) e il 1970. Contiene dodici versioni inedite di brani più o meno noti, con due cover (Sunshine of your love dei Cream e Bleeding heart di Elmore James).

Sarei ipocrita se dicessi che non lo ascolterò, ma certo conciliare l'amore che nutro per il più epocale chitarrista di tutti i tempi con l'immagine della famiglia che si dà di gomito e si frega le mani davanti al suo lascito mi viene difficile.

1 commento:

Anonimo ha detto...

E non da adesso...