Il belga Michael R. Roskam, già autore del durissimo e disturbante Bullhead, confeziona qui un noir 100% americano, dalle atmosfere quasi neorealiste, magistrale nel descrivere le periferie newyorkesi quasi come metafora delle periferie dell'impero capitalista, dove vige la rassegnazione, le uniche regole sono quelle che ciascuno riesce a imporsi e la polizia è anch'essa rassegnata a non essere mai risolutiva, nelle faccende che contano.
Ovvio che confezione e messa in scena sono rilevanti, ma a fare bum è la coppia principale di interpreti, un Tom Hardy monumentale, che lavora tutto per sottrazione e che ci mostrava in embrione il grande interprete che poteva (e che può ancora, se molla le americanate/bancomat) diventare e un James Gandolfini, qui al suo ultimo ruolo (il film uscirà dopo la sua morte), semplicemente commovente, grazie ad un personaggio regalatogli da Roskam, che nel suo essere cinico, disperato, votato alla sconfitta, è davvero il ruolo (filmico, ovviamente) della vita. Molto convincenti anche il "villain" (le virgolette sono d'obbligo...) interpretato da Matthias Schoenaerts e il detective John Ortiz, mentre Noomi Rapace ha una parte più canonica.
Spiace, ma comprendo sia una cosa mia, che la grammatica noir del film sia "guastata" dall'ultima sequenza immediatamente prima dei titoli di coda. Ma, vedendo ciò che Roskam è stato in grado di fare, in termini di spietatezza nei confronti dello spettatore, con Bullehead, ho l'impressione che quella scena non sia farina del suo sacco, bensì imposta dalla produzione.

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