giovedì 9 aprile 2020

Noi e lo stramaledetto coronavirus

Questa è la quarta settimana di fila che sto a casa (in cassa integrazione dalla mia azienda e in smart working per il sindacato). Prima di questo periodo ho avuto la fortuna di lavorare ininterrottamente per trentadue anni. Ci riflettevo oggi. 
Cioè su come sia dalle vacanze estive della quarta superiore (visto che nell'estate della quinta già lavoravo), a.d. 1987, che non mi fosse capitato di restare tra quattro mura domestiche per un periodo così lungo (che peraltro è verosimile possa proseguire).
E' una sensazione inedita e straniante.
Una delle tante.
Basti pensare a tutte le limitazioni a cui siamo obbligati per la salute nostra e della collettività.
Se solo un paio di mesi fa, a contagio cinese già noto, ci avessero prospettato la condizione in cui oggi ci troviamo, ci saremmo fatti una risata.
E' inquietante il video del 2015  in cui Bill Gates individuava non nelle guerre nucleari, ma nelle pandemie la vera minaccia per l'umanità negli anni a venire, giustificando la propria previsione con gli investimenti pressochè nulli che i Governi avevano stanziato per prevenire questo tipo di eventi rispetto a quelli per gli armamenti.

Non mi sono mai schierato per nessuno dei due partiti che per un pò si sono confrontati sul tema Coronavirus, registro che c'è stato un periodo in cui gli stessi virologi si spaccavano su come il Covid fosse un'influenza un pò più tenace e, al contrario, l'apocalisse.
Ricordo bene ancora oggi quando, il conduttore di una delle più seguite trasmissioni radiofoniche italiane, presente sul palinsesto della radio di Confindustria, si scagliasse ferocemente (come sua abitudine) contro il governo che, nella prima fase, aveva prodotto minime restrizioni alle attività commerciali, tacciandolo, chissà se per spirito di squadra o verve polemica, di aver causato inestimabili danni all'economia per un nonnulla. Ecco, era da tempo che quella trasmissione non mi divertiva più, ma da allora ho smesso definitivamente di seguirla. 
E ricordo come la Lega Calcio, nel pieno dell'incertezza sulla salute pubblica, non avesse trovato di meglio che proporre di disputare un'importante partita di calcio totalmente aperta al pubblico, solo spostandola di lunedì, invece che la domenica.
La partita era Juventus - Inter e se non si è disputata è stato solo per il fermo rifiuto della Società di Milano. Non lo dico da tifoso, mi limito a fotografare un dato di fatto. Quando si è disputata, a porte chiuse, la Juve ha vinto meritatamente (e più d'un giocatore delle due squadre è stato contagiato).

La verità è che nessuno ha mai dovuto fronteggiare un nemico di questa natura, non esiste un manuale a cui affidarsi che ci dica cosa fare a garanzia di pieno successo. Non ancora almeno. E quando l'esibizionismo di taluni scienziati e il cinismo politico si mettono di mezzo, tutto diventa ancora più complicato.
Ci vorrà del tempo per capire se, come e dove abbiamo sbagliato, ma, permettetemi, molto sommessamente di affermare come, stavolta, mi sembra che l'Italia abbia agito meno peggio degli altri stati europei (Inghilterra, Germania) o mondiali (USA) che hanno l'ulteriore aggravante di aver continuato a sottovalutare il contagio anche quando esso si era chiaramente irradiato fuori dalla Cina e stava flagellando il nostro Paese.
Insomma, per una volta non sono i nostri governanti ad aver banalmente parlato di "immunità di gregge" (Boris Johnson, in questi giorni colpito in forma grave dal virus) o di come come il COVID sia stato "praticamente sconfitto" (Trump,a febbraio).
Ho l'impressione che ci sia stata una prima fase (keep calm) nella quale il nostro governo ed enti locali volessero allertare la popolazione senza seminare il panico (da qui l'orribile #milanononsiferma che Sala vorrebbe poter cancellare dalla memoria collettiva) seguita da uno step successivo (ok, panico) nel quale si è presa coscienza dei rischi e si sono attuate, decreto dopo decreto, le norme necessarie (e, speriamo, efficaci).

Ma come al solito ho iniziato parlando della mia situazione per poi divagare. Torniamo a bomba. Con il post del 14 marzo mi lamentavo della nuova condizione di clausura imposta. In realtà, settimana dopo settimana, per quanto le difficoltà ci siano (non abito in un castello e a volte trovare una stanza tranquilla per lavorare è un'impresa) rischio di abituarmi a questa nuova modalità lavorativa. Intendiamoci, continuo a preferire l'ufficio, ma tutto sommato, chi mi conosce lo sa, io sono tipo piuttosto pantofolaio, e quindi stare in casa non è che mi sconvolga la vita. 

E poi, diciamoci la verità, che salvata ci ha dato 'sto virus, rispetto alle terrificanti, temutissime e fantozziane proposte di "gite fuori porta" per Pasquetta?

Siamo gli unici in strada", rider a Milano prendono possesso della ...

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