giovedì 8 febbraio 2018

U2, Songs of experience


Ho smesso da una vita di seguire i video musicali. E' perciò per puro caso che sono incappato in quello di Get out of your own way, filmato dagli U2 a Trafalgar Square nell'ambito degli MTV EMAS e la mia reazione immediata è stata di uno sconforto che ha via via lasciato spazio ad una profonda pena per la fine artistica della band. Vedere Bono e gli altri interpretare un pezzo tronfio e scontato sullo stile degli ultimi Coldplay, con le espressioni di chi per primo non crede a quello che sta facendo e il pubblico totalmente indifferente all'esibizione è stato, per me che ho amato alla follia questo gruppo, un colpo al cuore. Mi sono pertanto approcciato all'album più per dovere che per piacere, con la certezza di stroncarlo senza riserve.

Le canzoni di Songs of experience erano state concepite già nel processo di lavorazione del precedente Songs of innocence e sembrava che l'album dovesse uscire a stretto giro dopo quella release. Poi alcune disavventure accadute a Bono (incidente in bici, molto poco da rockstar) e il tour per i trent'anni di The Joushua tree ne hanno procrastinato completamento e uscita. 
Nella recensione di Songs of innocence avevo scritto che, fatte tutte le considerazioni del caso e  ponderate le differenze tra "quegli" e "questi" U2, l'album si lasciava ascoltare senza sussulti particolari o sbracature clamorose ma con qualche vibrazione positiva.

In fin dei conti, contrariamente alle mie poche aspettative espresse in premessa, devo replicare lo stesso giudizio anche per questo lavoro concettualmente gemello, anche se a mio avviso il precedente lo supera di misura.
Il lavoro è super-curato, arrangiato, levigato e prodotto (basta scorrere la lista dei producer, ben nove, dal vecchio sodale Steve Lillywhite al genietto Danger Mouse) e questo elemento, di per sè, per me rappresenta un difetto dell'opera: sarò un inguaribile ingenuo, ma qualche brandello di spontaneità nella musica lo cerco sempre. Qui ovviamente non ce n'è traccia, in compenso ci sono tredici composizioni (ampliate nelle varie edizioni deluxe) che indubbiamente restano in mente grazie a subdole melodie catchy e al lavoro dell'esercito di professionisti reclutato per ottenere un esito che andasse incontro ai mood musicali del momento. 
Pezzi come Love is all we have left, The blackout, Lights of home, Red flag day, You're the best thing about me (con Kendrick Lamar che, nell'outro sconfinante nell'intro della successiva American soul, restituisce l'ospitata del gruppo su DAMN.) sono discreti prodotti pop con, a seconda, venature modern errebì o mainstream rock elegante e raffinato, che sarebbe ipocrita definire brutti, ma che nella loro impersonalità suonerebbero adeguati sia come musica da ascensori che suonate ad un concerto a Las Vegas.

Tranquilli, non chioserò la recensione rimpiangendo i vecchi tempi, quando a quattro ragazzi bastavano un mucchio di idee, tanta ispirazione e un qualunque studio di registrazione per tirare fuori un disco intenso come War, altrimenti non avrei nemmeno perso tempo ad ascoltare e recensire il disco, però se per primi gli U2, nella comunicazione (la bellissima copertina raffigurante figlio di Bono e figlia di The Edge che si tengono per mano) vogliono dare un senso di continuità col passato, beh, allora tocca piccarsi un pò, perchè del passato qui non c'è traccia e a prevalere è invece un pragmaticissimo tiriamo elegantemente a campare.

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