lunedì 23 febbraio 2015

Hayseed Dixie, Hair down to my grass


Dal 2001, con quattordici album in quattordici anni, gli Hayseed Dixie portano avanti il proprio piano di conquista del mondo attraverso un tamarrissimo contagio tra rock e country blugrass. Nel corso degli anni hanno coverizzato il vasto universo hard and heavy, dedicando interi album monografici ad AC/DC e Kiss e occupandosi negli altri lavori delle canzoni di Led Zeppelin, Metallica, Who, Aerosmith, Black Sabbath, Queen, ma anche Franz Ferdinand, Prodigy e....Mozart, accontentandosi di infilare ogni tanto una composizione originale. Hair down to my grass prosegue fedelmente nel solco fin qui tracciato, concentrandosi, con qualche eccezione come Comfortabily numb dei Pink Floyd, su una manciata di canzoni riconducibili al cosiddetto hair metal degli ottanta. Risultato come sempre divertente per i fan del genere, ma dall'efficacia altalenante a seconda della validità dei singoli arrangiamenti. Molto buone a mio avviso Don't stop belivin dei Journey, Eye of the tiger dei Survivor (al cui interno è richiamata Ghost rider in the sky), Summer of 69 di Bryan Adams (probabilmente la migliore del lotto), We are the road crew dei Motorhead e Don't fear the reaper dei Blue Oyster Cult. Meno ispirate invece tracce come Pour some sugar on me, Living on a prayer o Dude (looks like a lady). Kitsch nel kitsch Wind der veranderund, la versione di Wind of change degli Scorpions tradotta in tedesco per omaggiare uno dei mercati più favorevoli agli Hayseed Dixie. Al di là del paradosso di una band americana che traduce in tedesco un pezzo scritto in inglese da una band germanica, il pezzo sembra proprio troppo buttato lì.
Niente di male. Chi, come il sottoscritto, ama questi cafoni degli Appalachian Mountains prende il buono da ogni loro lavoro e perdona loro qualunque passo falso, nella consapevolezza che se non esistessero, bisognerebbe inventarli, gli Hayseed Dixie.

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