venerdì 20 febbraio 2015

Battle Beast, Unholy savior


Non traggano in inganno copertina, etichetta discografica (Nuclear Blast) e monicker della band (Battle Beast). Unholy savior, terzo album del gruppo, il secondo dopo l'arrivo della nuova vocalist Noora Louhimo, è tutt'altro che un ottuso mattone power metal in stile Manowar: niente testi fantasy e sfoggio di testosterone quindi, ma un viaggio che parte dall'heavy metal classico per riservare più di una sorpresa.
La formazione finlandese dimostra infatti una consumata scaltrezza, collezionando un eleven tracks in gran parte potente e rassicurante, che muove dagli stilemi classici della nwobhm, attraverso gli inconfondibili intro di chitarra degli Iron Maiden (Lionheart), l'impronta dei Judas Priest (I want the world...and everything in it) e il tiro dei Saxon (Far far away), contaminati in salsa soft epic.
Ma guai a dare per scontata l'impronta musicale del disco. Da metà tracklist alla fine infatti, il combo infila ben tre ballate (Sea of dreams, The black swordsman, Angel cry), uno strumentale (Hero's quest) e un pezzo, Touch in the night, messo lì come un maiale in una macelleria islamica, al preciso scopo di suscitare un vespaio di polemiche per la cifra stilistica, che, incredibilmente, oscilla tra il synth pop e la dance italiana degli ottanta. Addirittura il brano è stato scelto come singolo che ha anticipato l'uscita dell'album, spiazzando fans e critica, per una strategia commerciale spericolata ma efficace.
Disco dall'indiscutibile sapore retrò, con una grande attenzione alle melodie ruffiane che mette in mostra il dinamismo vocale della brava Noora Louhimo, Unholy savior, senza essere un capolavoro, è una delle sorprese più piacevoli di inizio anno.
P.S. Consiglio di recuperare l'edizione speciale comprendente come bonus track la cover di Wild child degli W.A.S.P., pezzo che annovero tra i miei preferiti di sempre e che i Battle Beast interpretano in maniera convincente.

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