Ray Charles
Rare Genius
Universal (2010)
Dopo il treno merci di roba uscito a seguito della sua morte (2004), i duetti, il film biografico e le mille antologie, c'è ancora musica di Ray Charles che vale la pena ascoltare?
Diamine, la risposta è sì.
Sì, se il lavoro di recupero nei suoi archivi porta alla luce brani dalla bellezza cristallina, che coprono quasi un trentennio (70/95) di stili e influenze.
Così si gode dello swing di Love's gonna bite you back e di It hurts to be in love, del croonering in Sinatra's style di Wheel of fortune, del soul classico di I'm gonna keep singin'.
Come fosse un prezioso vino d'annata, si assapora la voce di Ray, il suo stile pianistico, di ogni singola nota distillata dalla band, come nel lentaccio There'll be some change made, di un irresistibile midtempo quale Isn't wonderful, della contaminazione tra modern e classic soul di I don't want no one but you, del quasi country di She's gone.
Rare genius è un gran bel disco anche perchè quando ormai pensi che abbia dato tutto quel che aveva da dare e ti resta solo l'ultima traccia da ascoltare, ti piazza il colpo definitivo che ti fa stramazzare. Un duetto, l'unico dell'album, con Johnny Cash. Il brano è lo splendido Why me Lord (di Kris Kristofferson, già in American Recordings) e per la verità Ray si limita a fare il controcanto, lasciando campo libero al suo pianoforte e alla voce dell'uomo in nero.
Brividi, groppo in gola e tanta malinconia garantiti.
E' anche a questo, dopotutto, che servono dischi così.
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