In una piovosa serata irlandese arrivo in solitudine (che del mio socio Patrizio si sono perse le tracce) al Muisicdrome (ex Transilvania) intorno alle nove e un quarto. Il posto lo conoscevo per averci visto i (sigh!) Mission, qualche anno fa. Piccolo e soffocante quanto basta per essere trendy. Il palco è un francobollo, fatico a credere che i sette componenti dei migliori eredi dei Pogues possano starci tutti insieme.
Sul banco del bar hanno già preparato decine di bicchieri di plastica trasparente colmi di birra, pago cinque euro per il mio, mi giro, e un tipo in giubbotto di pelle me ne rovescia una parte addosso. Sorrido, gli faccio il segno di Fonzie e mi allontano. Mi applico nell’esercizio più diffuso per ammazzare il tempo prima di un concerto, l’analisi delle t-shirt degli spettatori. Direi che quelle dei Dropkick Murphys sono predominanti, ma anche Bandabardò e Modena City Ramblers se la giocano. Uno sfigato in con Eddie degli Iron Maiden verrà notato anche dal singer dei Flogging Molly che gli intonerà una "raaaan tu de iiillllssss", accompagnata da una fragorosa risata e un fuck you dovuto. Ad ogni modo il capo d’abbigliamento più inflazionato è la coppolina da irish working class, che fa bella mostra sulle teste di molti. Al banco delle t-shirt ufficiali ne scelgo una splendida verde con disegnato un claddagh ring, ma quando chiedo una XXL mi gelano dicendomi che quella maglietta c’è solo fino alla M, visto che è un modello da donna.
Neanche il tempo di finire la Nastro Azzurro, che salgono sul palco gli open acter Pepper, tipico power trio. Il cantante bassista (in short e petto nudo) che assomiglia in modo inquietante ad Aldo Baglio, il chitarrista, anche lui stesso abbigliamento del socio al basso e il batterista, il più vestito della compagine.
Fanno un genere che,almeno dal vivo, visto che su disco tendono più al dub, si poterebbe definire reggae con break hardcore e a volte hardcore con break reggae. In sostanza cominciano un pezzo con uno degli stili sopraccitati per poi irrompere con l’altro. Comunque si dannano, incoraggiati dalla buona reazione del pubblico, hanno un paio di pezzi che restano in mente (uno è Blackout), alla fine, proprio mentre si stanno scaldando (per modo di dire, visto che già dopo due minuti grondavano entrambi sudore) dal backstage gli fanno il segno dell’orologio. Finiscono l’ultimo pezzo con il coro Flooooo-gi-nn Mo-llllyyy!!! E salutano.
Poco dopo sono al banco mechandising a tacchinare un paio di bionde (sempre seminudi).
Una buona quarantina di minuti dopo, con il locale pieno, anche se non stracolmo, e passando per un’ottima selezione di musica diffusa (Hank III!!!; i Ramones di Blitzkreig bop cantati a gran voce da tutti) , sulle note di Baba O’Reily degli Who prendono posto gli Irlandesi americani. Sono a qualche metro dal palco, mi guardo in giro, giovanotti e ragazzine che sembrano tranquilli, si metteranno mica a pogare, no?
Sbagliato. Parte la fulminante Paddy’s lament e si scatena l’inferno (perdonatemi, era una vita che lo volevo scrivere): in un attimo mi trovo, prima contro le transenne sotto lo stage, e poi dalla parte opposta adosso al banco del mixer. E’ comunque un pogo non da carogne, per intendersi, niente gomitate in faccia o pugni nelle costole. Resisto a fatica ancora per un paio di brani, e che brani, Swagger e Requiem for a dying song, e poi mi arrendo all'istinto di sopravvivenza e arretro fin dove il pogo è occasionale e blando.
Guardo un po’ la band, il leader David King ha la tipica faccia dell’irlandese antipatico, un incrocio tra Mick Hucknaill, Elvis Costello e Patrizio Roversi. Al di là delle apparenze però il suo ruolo lo svolge egregiamente, e la voce tiene alla grande. Gli altri si guardano intorno smarriti ma divertiti, dopotutto i Flogging Molly di recente hanno ottenuto un discreto successo in USA, e spesso suonano in location medie, palazzetti da qualche migliaia di posti. Si trovano a Milano, in un buco afoso, davanti a due-trecento persone che pogano indemoniate e headbangano, e la cosa pare li diverta.
Nonostante il notevole valore dell’ultimo Float (il disco più venduto nella decennale storia della band), la set list ruota sui pezzi più vecchi, quelli maggiormente Pogues oriented, se è vero che solo quattro pezzi (oltre ai già citati Requiem for a dying song, Paddy’s Lament, l’ovvia Float e Lighting storm, stupisce la mancanza di un potenziale anthem come You won’t make a fool out of me) sono scelti dal disco in classifica USA. I pogatori però apprezzano la scelta, dimostrando una profonda conoscenza delle canzoni del repertorio del settetto (?) .
Nel mio piccolo una cultura me l’ero fatta, giusto in tempo per farmi trascinare dall’onda su pezzi quali Selfish man, Drunken Lullabies ( video di questo post) Tobacco island, The likes of you again, If i ever leave this world alive l’assassina Swagger. Tra una dedica a Gorge “double fuckin’” Bush e una a Joe Strummer, dopo una ventina di pezzi e un ora e mezza di show, David e i suoi salutano e se ne vanno. Tipico esempio di show in cui la durata è perfettamente coerente con il grado di resistenza fisica degli spettatori, o almeno del mio. Gran concerto, mi ci voleva una serata come questa.
Compro un paio di ciddì a dieci euro cadauno e mi avvio all’uscita proprio mentre il locale manda a tutto volume Perfect day di Lou Reed, ad accompagnare l’uscita della gente, dimostrando gusto e tempismo apprezzabile.
lunedì 26 maggio 2008
Perfect night
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3 commenti:
Bella rece Monty, complimenti, come piacciono a me. Poi in privato ti dico un paio di cosette.
whenever you want, my dear
sei un supergggiovane!
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