lunedì 27 maggio 2019

Until the light takes us (2009)

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La recente uscita del film Lord of chaos ha acceso di nuovo i riflettori su un genere musicale, il black metal, che comunque proprio privo di attenzione mediatica non è mai stato.
Prima di Lord of chaos a tenere un riflettore acceso sui fatti, ormai noti, accaduti in Norvegia tra la fine degli ottanta e la prima metà dei novanta, nell'ambito del cosiddetto black metal inner circle, era stata la divulgazione di Until the light takes us (tradizione in inglese del titolo del seminale album di Burzum Hvis lyset tar oss), un documentario di Aaron Aites (nel frattempo purtroppo deceduto) e Audrey Ewell che, attraverso interviste ai principali attori del periodo, ricostruiva quegli avvenimenti musicalmente straordinari e umanamente tragici.

Protagonisti principali delle interviste sono Gylve "Fenriz" Nagell dei Darkthrone (vedendolo senza il caratteristico trucco facciale corpse painting si nota un'inquietante somiglianza con il calciatore tedesco Mesut Ozil) e il mefistolico Varg Vikernes aka Burzum aka Count Grishnackh, che stava finendo di scontare il periodo di detenzione per l'omicidio di Øystein Aarseth, aka Euronymous,anche lui come, se non più dei due altri intervistati, inventore del black metal norvegese.
Non sto qui a ripercorre i fatti nel dettaglio (l'incendio di chiese, l'omicidio di un presunto omosessuale, il suicidio di Dead, cantante di quei seminali Mayhem nei quali suonavano assieme Varg e Euronymous, fino al terribile omicidio dello stesso Aarseth da parte di Vikernes), il documentario a mio modo di giudicare va assolutamente visto, non solo per approfondire la personalità dei musicisti intervistati, ma anche per capire in quale contesto sociale nasce un genere così alienante (le immagini di città come Oslo o Bergen sempre cupe, nella penombra, lerce, non appaiono certo come un inno alla vita), disturbante, per molti molesto e quanto un modo di vivere la propria esistenza combaciasse, per qualcuno, fino alle estreme conseguenze con il genere musicale estremo inventato.

Dalle interviste traspaiono tratti caratteriali e personalità dei protagonisti del movimento. Così, per un Fenriz che appare molto low profile, sempre rilassato, quasi rassegnato al ruolo che i media gli hanno affibbiato, ecco il contraltare di Vikernes, sguardo orgoglioso e ghigno beffardo, che, dalla prigione dove sta scontando i suoi ventuno anni di carcere (massimo della pena in Norvegia) ricostruisce senza lesinare dovizie di particolari splatter l'omicidio di Euronymous. Ancora più agghiaccianti sono però le sue idee politiche reazionarie, purtroppo veicolate con una modalità comunicativa ed una capacità persuasiva che nell'attuale situazione socio politica potrebbero anche fare enorme presa, se Burzum "scendesse in campo".
Tralascio ogni commento su Abbath e Demonaz degli Immortal, tronfi e banali, e mi concentro invece sull'incredibile figura di Kjetil "Frost" Haraldstad dei Satyricon, altra band cardine del movimento black.
A Frost è dedicata la conclusione del documentario, con le immagini più sconvolgenti di tutto il girato. Il batterista dei Satyricon infatti, viene immortalato in una "performance artistica", tra l'altro eseguita a Roma, dove il musicista non suona alcuno strumento, ma si esibisce in una serie di azioni distruttive, in cui a farne le spese sono alcuni mobili, nonchè, ed è la parte più terribile, autolesioniste, nelle quali si provoca profondi tagli sul corpo per mezzo di un coltellaccio, per poi adagiarsi, esausto.

In qualche modo dentro questa performance c'è tanto dello spirito del movimento black norvegese, una malsana valvola di sfogo che si irradia in più direzioni: ambiente, politica, morte, dolore, violenza, e che poi ogni singolo individuo coinvolto nel suo sviluppo ha fatto propria, incanalandola secondo personalità ed orientamenti personali. 
Insomma, se esiste una modalità principale per suonare il black metal (o almeno, c'era all'epoca), ed è quella che Euronymous ha inventato, mutuandola dall'embrione sonoro creato dai Bathory, ci sono decine di modi diversi con cui diversi soggetti hanno vissuto sulla propria pelle quel canone.
Quei ragazzi (non dimentichiamo che erano tutti giovanissimi) sono stati tutti artisti innovatori.
Alcuni di essi erano anche dei criminali.

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