giovedì 20 dicembre 2018

Nel nome del male (2009)


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Con l'opinione pubblica ancora scossa dall'atroce vicenda di cronaca delle cosiddette Bestie di Satana (gli omicidi compiuti dal gruppo nella zona di Varese si svolsero in un arco temporale che andava dal 1998 al 2004, e la sentenza di condanna definitiva per i colpevoli arrivò nel  2007), Sky commissiona un instant tv-movie in due parti sul tema "satanismo".
I rischi in questi casi sono del pastrocchio perbenista e paternalistico, ma il regista Alex Infascelli evita il trappolone portando a casa un lavoro estremamente valido, che, per confezione e messa in scena, sarebbe stato più che meritevole del passaggio su grande schermo.

Giovanni Baldassi (Fabrizio Bentivoglio) è il classico imprenditore del nord est che si è fatto da solo e che ha raggiunto un ottimo livello di agio e ricchezza per se e la propria famiglia, composta da moglie (Michela Cescon) e due figli. 
Dietro questa patina da famiglia del Mulino Bianco, tutta casa, lavoro e chiesa, si nascondono però profonde crepe, una delle quali rappresentata dal figlio Matteo (Pierpaolo Spollon), sedicenne taciturno ed inquieto che una sera non torna a casa, gettando nel panico i genitori.
Gli inquirenti locali minimizzano l'accaduto, riconducendolo a comportamenti di ribellione adolescenziale, mentre Giovanni non si dà pace e comincia ad indagare per conto proprio, incurante della crisi che si apre nel rapporto con la moglie.

Nel nome del male è un opera che si muove efficacemente dentro un argomento che, come detto, non è semplice da maneggiare in maniera credibile. Infascelli è molto abile nel fotografare la realtà superficiale ed ipocrita della provincia italiana (veneta nel caso specifico), dove l'apparenza conta più di ogni altra cosa e il marcio viene tenuto occultato agli occhi della "gente", persino se si tratta di attività delittuose. 
Lo script evita miracolosamente quasi tutti i clichè del genere thriller/horror (giusto qualche incappucciato di troppo e magari la fine preannunciata di un testimone che vuole spifferare ciò che sa, ma di contro, il tema musica black-metal non è buttato lì a cazzo), conducendo Giovanni dentro una spirale di allucinata disperazione dentro la quale, più di una volta, rischia di andare alla deriva. 
Bentivoglio interpreta in maniera esemplare il dramma di un padre devastato dai sensi di colpa, che vede il suo mondo, quello per cui ha lavorato una vita, andare in mille pezzi. L'attore lavora, come lui e solo pochi altri sanno fare, per sottrazione. Con poche linee di dialogo, le emozioni sono veicolate più da sguardi, espressioni, linguaggio non verbale.
Altro elemento apprezzabile nella trama è rappresentato dalle indagini che Giovanni compie autonomamente, infatti, diversamente da altre opere simili, il protagonista non riesce mai ad andare oltre la superficie delle cose (il satanismo), venendo continuamente depistato dai personaggi che trova sul suo cammino, che lo manipolano, senza che lui se ne avveda, fino alla drammatica conclusione. 
La fredda fotografia dei paesaggi locali (girati tra la provincia di Trieste e quella di Torino) è estremamente coerente con la cifra stilistica, e, assieme ad essa, alcune sequenze, realmente disturbanti, permeano il film di una tensione, un senso di angoscia e di catastrofe incombente che non ti lascia mai. 
Se poi guardi Nel nome del male da genitore di un figlio con l'età dello sfortunato protagonista Matteo, e rifletti su quanto davvero puoi sapere di tuo figlio adolescente, il mix emotivo diventa dirompente.

Di recente, Sky l'ha rimesso in rotazione. A mio avviso è senz'altro da recuperare.




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