giovedì 25 ottobre 2018

John Corabi, Live 94 - One night in Nashville

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No, il blog non è diventato una fanzine di John Corabi. Tocca premetterlo visto le recenti recensioni dei Dead Daisies (qui, qui e qui) . D'altra parte, un pò la mia particolare vicinanza ai veri losers del rock, un pò un'insana vena compulsiva che ti spinge a non mollare un osso quando l'hai afferrato, mi hanno portato ancora una volta ad affondare il colpo con il cantante/chitarrista di Philadelphia.
L'ennesima occasione è questo disco dal vivo di recente uscita, ma inciso nel 2017 al The Basement di Nashville, nel quale l'ex Scream, per la prima volta, suona, insieme ad una band che nulla ha a che vedere coi Dead Deasies (e di cui fa parte anche il figlio Ian, batterista), l'intero album Motley Crue del 1994 che lo vedeva alla voce al posto dello storico frontman Vince Neil. 
Pare che il buon John covasse da tempo questa rivincita personale, visto che, nonostante le lodi di molta critica che ha considerato quel disco il migliore di sempre dei Crue, la reazione del pubblico fu invece disastrosa, con un tour cancellato dopo poche date per scarsissima prevendita. Corabi invece ha sempre dichiarato di amare quel lavoro, nonostante abbia rappresentato per lui solo un'illusoria occasione di successo.

E si capisce dalla grinta con la quale, quasi un quarto di secolo dopo, propone quell'intera tracklist (con l'aggiunta di 10.000 miles, presente come bonus track solo in alcune particolari edizioni del cd), riservandosi uno spazio (traccia #7) per raccontare il momento in cui ricevette quella telefonata da Tommy Lee che gli cambiò la vita.
Riascoltando si capisce benissimo come queste canzoni non potessero avere nessuna chance con una fanbase come quella dei Crue, allevata a testi misogini e melodie glam metal (io stesso adoro i Crue, ma probabilmente sono di vedute più ampie).
Qui si fa sul serio, hard-rock settantiano con radici blues e derive lisergiche. Peccato che all'epoca non abbiano apprezzato nemmeno i fan del grunge, che in questi elementi ci sguazzavano.
Qui sta tutta la sfiga di Corabi: proporre il genere giusto, al momento giusto ma dentro la band sbagliata. Un inciampo dal quale ha rischiato di non alzarsi più.

E questa, assieme alla sua coerenza artistica, è la ragione per la quale gli si continua a volere un gran bene.

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